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Albedo Newsletter - N°22

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Una devastante alluvione e un gomitolo di concause

Foto da Skytg24 (Opens in a new window)

Cominciamo da dove eravamo rimasti, dallo scorso (Opens in a new window) Albedo, dove insieme all’editor Martina Testa si è parlato di letteratura, di una certa tendenza recente alla pubblicazione di romanzi molto autoreferenziali, chiusi sul sé dell’autore - memoir, autobiografie, autofiction. Bene, Luca Famooss Paolini, caporedattore di Duegradi, dopo aver letto l’intervista, mi scrive questo commento: 


“Condivido che questo tipo di letteratura auto-referenziale vada a beneficio dell'attuale struttura socio-economica turbo-capitalista, rappresentandone il fulcro per eccellenza. Eppure, mi sembra che essa stessa sia rappresentazione di un sentimento potente, che caratterizza tutti noi, vale a dire: la necessità di mostrare che esistiamo, che siamo presenti, che non vogliamo essere fagocitati da una melma informe, che non vogliamo sparire come oggetti, che abbiamo significato. È un grido, lacerato, a volte fine, a volte sguaiato, eppure sempre una richiesta di aiuto”. 


Rileggo queste parole settimane dopo, precisamente il 6 novembre. Sono passati sette giorni esatti dall’alluvione che ha colpito la regione di Valencia. Mi è passato alla mente la carrellata di immagini e fotogrammi che sono stati diffusi dai media nelle ore successive al disastro. Alcune espressioni, ‘fagocitati da una melma informe’, ‘un grido lacerato… una richiesta di aiuto’, rilette ora, assumono un nuovo significato, più potente, più drammatico. Mi ha preso l’angoscia. Quindi per calmarmi ho fatto quello che di solito faccio in questi casi, ovvero cercare di comprendere, razionalmente, le cause di quello che è successo. 


Ci sono le cause più immediate, descritte in un articolo (Opens in a new window) di Nicolas Lozito: in alcune zone della regione, in poche ore, è piovuto la quantità di acqua che cade in un anno; il fenomeno della DANA, dove masse enormi di aria fredda isolate ad alta quota si scontrano con masse di aria calda; il calore straordinario registrato nel Mediterraneo negli ultimi mesi; e quello dell’aria, che rende le piogge più rare, ma molto più potenti; o l’imbarazzante e colpevole impreparazione del governatore locale, il quale pochi mesi fa abolisce (Opens in a new window) l’unità di emergenza regionale perché “non migliora ne amplia i servizi”, e successivamente, il giorno del disastro, prima sottostima i messaggi di allerta dell’agenzia statale di meteorologia, poi, poche ore prima della catastrofe, minimizza e rassicura (Opens in a new window) la popolazione sui pericoli del rischio idrogeologico. 


Volendo andare un pelino più indietro nel tempo, soffermarsi sulle cause meno immediate, ci sono, da un lato, l’inadeguatezza delle infrastrutture della regione a far fronte ad eventi atmosferici di questo tipo, dall’altro, le scelte antropiche di costruire selvaggiamente su terreni già fragili di per sé, esacerbando il rischio idrogeologico, e, soprattutto, di deviare da Valencia il corso del fiume Turia, creando un parco urbano artificiale e lasciando così indifese e incompiute le opere da realizzare nelle periferie limitrofe, dove poi ci sono stati i danni maggiori e il maggior numero di morti (ricordo che esattamente dieci anni fa, mi trovavo in questo parco urbano che ha preso il posto del fiume Turia, e mentre lo percorrevo in bicicletta, sotto al sole, durante una piacevole giornata estiva, pensavo, ignaro di tutto questo: “Ma guarda te, che bell’opera che hanno fatto”...) 


Mentre cercavo altre informazioni ho trovato uno studio (Opens in a new window) pubblicato dalla World Weather Attribution che evidenzia che i cambiamenti climatici hanno intensificato i dieci disastri meteorologici più mortali dal 2004. Ho cercato allora astrattamente di figurarmi le 200 e passa di parti per milione di CO₂ che da duecento anni a questa parte abbiamo introdotto in atmosfera, in larga parte noi esseri umani occidentali, chi molto di più, chi quasi nulla; ho compreso, tornando alle cause della catastrofe di Valencia, che per capire bene questo disastro, e calmare la mia angoscia di fronte a fotografie apocalittiche, la razionalità non è che mi aiutava più di tanto. Allora mi sono messo a lavorare di immaginazione, a congetturare che tra le varie responsabilità da distribuire deve essere inclusa ogni singola parte per milione aggiunta dall’era industriale in poi, e quindi, seppure indirettamente, seppur con il dovuto peso specifico, come un irrisolvibile gomitolo da districare all’inverso, anche ogni singola azione impattante compiuta fino ad oggi. Insomma in tutta questa storia che ha portato alla morte di 227 persone (cifra aggiornata al momento in cui scrivo questa newsletter) e a tutto un insieme di sequele psicologiche (Opens in a new window) da non sottovalutare per chi è riuscito a sopravvivere, un ruolo microscopico, ma allo stesso tempo rilevante, l’hanno avuto tutti i minimi incrementi di CO₂, a partire dall’utilizzo della prima macchina a vapore (o forse ancora prima?), per finire con l’impatto prodotto dal riscaldamento che sta mantenendo tiepida la camera da cui scrivo queste righe. 


È esattamente al vorticare per bene di tutte queste concause, quelle dirette, quelle indirette, quelle lontane e quelle remote, quelle conosciute e quelle inconoscibili, che si ottiene la depressione atmosferica nella piega degli avvenimenti che mercoledì 29 ottobre ha portato a uno dei più gravi disastri meteorologici della storia recente spagnola. 


Tornano allora in mente le parole del caporedattore e quelle di Martina Testa, l'autoreferenzialità e la consapevolezza che può avere un singolo individuo per barcamenarsi in mezzo a tutto questo ambaradan caotico di azioni e reazioni; l’inestricabile presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni singolo avvenimento, tanto il più piccolo, quanto quello più grande. E ho concluso che, forse, un singolo individuo, pur senza sconfinare nel nichilismo o nel fatalismo (ci è pur sempre difficile “sparire come oggetti” dice Famooss Paolini), può sapere e comprendere molto poco di tutto ciò. Dunque la domanda è: se individualmente si fa fatica, come si fa allora?


Lo scorso Albedo ha generato delle risposte. “Dobbiamo ricostruire la nostra spiritualità” scrive Hector, un lettore di Albedo “visto che anche noi possiamo creare e costruire una società postmoderna, riconciliandoci con la natura”. O riprendendo di nuovo le parole del caporedattore. “L'autoreferenzialità che caratterizza queste grida può essere però poco fruttuosa e spaesante [...] un sistema non potrà mai essere realmente compreso, se continuerà ad essere descritto, analizzato, setacciato, con gli strumenti che il sistema stesso mette a disposizione. È realmente “matematicamente” impossibile. Tale autoreferenzialità - conclude Famooss Paolini - è poi così realmente utile? Ci aiuta ad uscire dalla condizione che rende il grido necessario? chissà…”. 


Ricostruzione; cambio di prospettiva: si intuisce da queste mail che ciò di cui abbiamo bisogno sia un vero e proprio cambiamento culturale, non solo energetico o industriale o economico o politico, di cui tanto si dibatte (ehi, COP di Baku mi senti?). Tornando ai romanzi, il punto forse è riplasmare il modo con cui intendiamo la creazione letteraria, considerare nuove frontiere della parola scritta, un nuovo rapporto con il sé. O andando più in là: cambiare gli strumenti e gli stili con cui descriviamo le cose. Sulla letteratura, o meglio sul romanzo, lo diceva Calvino già nel 1961: “il romanzo è una pianta che non cresce sul terreno già battuto; deve trovare una terra vergine per piantare le sue radici”. Invece su tutto il resto, non basta che ce lo dica qualcuno, ormai abbiamo capito che andare avanti così è insostenibile.


Mi dispiace, ma questo numero purtroppo non risponderà alla domanda. La soluzione dell’enigma è in tutti gli Albedo, dal primo, quando si parlava di politici che descrivevano il caldo invernale eccezionale come “estate di San Martino (Opens in a new window)”, o il secondo che parlava di biodiversità e rapporto con le specie selvatiche (Opens in a new window), o il terzo che invece raccontava i paradigmi dell’attivismo ambientale (Opens in a new window), il quarto (Opens in a new window), il quinto (Opens in a new window), il sesto (Opens in a new window), il settimo (Opens in a new window) e l’ottavo (Opens in a new window), ma anche nel nono (Opens in a new window)e il decimo (Opens in a new window), e perché no, anche il tredicesimo (Opens in a new window) e il quattordicesimo (Opens in a new window), e tutti gli altri fino al ventesimo (Opens in a new window). Ma anche il ventunesimo (Opens in a new window) e sì, anche un po’ in questo qui, il ventiduesimo. Ma sicuramente anche in quelli che ancora non sono arrivati e che quindi arriveranno. Anzi, in realtà nemmeno in tutti questi. Però nel frattempo, se non lo hai capito, Albedo compie due anni, quindi auguri a noi!

La questione dei cambiamenti culturali la devo lasciare in sospeso. Rinvio il discorso al prossimo Albedo. Quando lo leggerai consideralo un tutt’uno con questo, e con quello scorso, e con quello prima ancora, e con tutti gli altri. Ti avviso che il prossimo sarà un numero un po’ speciale visto che con quello che stai appena leggendo compiamo due anni. Ventiquattro mesi, 22 numeri (sì perché ad agosto fa troppo caldo e ci fermiamo), e non so esattamente quante battute pubblicate, che 1.097 iscritti e iscritte leggono di mese in mese e ci rispondono di quando in quando. E visto che i rituali sono importanti, per questo anniversario, al prossimo numero, c’è in serbo una sorpresa per te, per voi. Non voglio spoilerare nulla, quindi passiamo ai consigli di lettura, che per questo mese ci sono offerti, di nuovo, dall’editor Martina Testa, e da Elena, una lettrice di Albedo che sta per laurearsi in Environmental Humanities. 


Do la parola a loro anche per uscire dall’autoreferenzialità di questo testo (di questo mi sembra che si stava giusto parlando no?). Noi ci sentiamo quindi a dicembre. Riguardati, soprattutto in tempi di deludente multilateralismo… La parola ora va prima a Martina Testa.

Consigli di lettura

  • Ti avevo promesso una lista di titoli che avessero rilevanza rispetto al discorso fatto l'altro giorno: "La parabola del seminatore (Opens in a new window)", un classico di Octavia Butler, autrice di fantascienza statunitense, racconta una California devastata dalla siccità e dagli incendi, una società al collasso, e il tentativo da parte di una ragazza di ricostruire un minimo di comunità. Dopo 30 anni resta attualissimo.

  • "Capannone n.8 (Opens in a new window)" di Deb Olin Unferth: è la storia di un gruppo di squinternati ecoattivisti che vogliono liberare un milione di galline ovaiole da un allevamento intensivo; alcune parti sono scritte dal punto di vista di una delle galline.

  • Rispetto al filone "climate fiction": Cormac McCarthy, "La strada (Opens in a new window)", ormai un classico della letteratura postapocalittica: è ambientato in un mondo devastato dagli incendi, coperto di cenere, in cui diluvia sempre e la società è quasi scomparsa.

  • Barbara Kingsolver (autrice vincitrice del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2023), "La collina delle farfalle (Opens in a new window)", molto meno catastrofico ma che ruota attorno allo sconvolgimento delle rotte migratorie delle farfalle.

  • Lydia Millet, "I figli del diluvio (Opens in a new window)", un altro romanzo statunitense, in cui un diluvio di proporzioni epiche distrugge la villeggiatura di due famiglie, i cui figli si trovano a ricostruire in qualche modo una comunità sotto diverse regole.

  • Un altro romanzo letterario importante che ha al centro il rapporto uomo-natura, è "Il sussurro del mondo (Opens in a new window)" di Richard Powers, vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2019; qui a quanto ho capito (non l'ho letto purtroppo) non si tratta di catastrofe climatica, ma di un romanzo corale che ruota attorno a varie persone (ecoattivisti, scienziati, ma non solo) che hanno un rapporto particolare con gli alberi. Pare sia bellissimo, ed è un libro che credo vada senz'altro citato in un discorso sull'ecologia e l'antropocentrismo.

  • Infine, una serie di titoli di narrativa usciti recentemente in cui il protagonista è un animale che parla in prima persona, un "io" di una specie diversa dall'uomo: Bernardo Zannoni, "I miei stupidi intenti (Opens in a new window)", il protagonista è una faina.

  • Henry Hoke, "Alla gola (Opens in a new window)" (2023), romanzo in versi statunitense; il protagonista è un puma.

  • James Sturz, "Underjungle (Opens in a new window)" (2023), sempre romanzo statunitense; il protagonista è una forma di vita marina non meglio identificata. 

  • Nella raccolta di racconti di Thomas Morris "Open Up (Opens in a new window)" (2023) c'è un racconto lungo, bellissimo, intitolato "Aberkariad" in cui il protagonista è un cavalluccio marino (i cavallucci marini sono una delle rare specie caratterizzate da gravidanza maschile; il racconto è quindi una riflessione sulla genitorialità dal punto di vista di un maschio che produce figli); il libro uscirà per Edizioni SUR a inizio 2026”. Non so se sia significativo o casuale che tutti e quattro i libri siano scritti da uomini; forse ci sono anche donne che stanno scrivendo narrativa dal punto di vista di un animale e non di un essere umano, ma non ne conosco o non mi vengono in mente.

Per concludere i consigli di Elena:

Gli ultimi articoli di Duegradi

  • Beatrice Ruggieri ci parla delle fanerogame marine (Opens in a new window), una pianta acquatica che può aiutarci a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. 

  • Chiara Galeotti descrive le drammatiche piogge monsoniche che hanno colpito Wayanad (Opens in a new window), in India, e cosa queste ci dicono su come i cambiamenti climatici stanno modificando il fenomeno dei monsoni.

  •  La Rubrica Clima da copertine di Marta Abbà arriva alla quarta uscita. Ad essere intervistato questa volta è Stefano Fenoglio, esperto di Ecologia Fluviale e autore di “Uomini e fiumi (Opens in a new window)” (Rizzoli, 2023).

  • Giordano Zambelli nella sua ottava uscita della Rubrica Le parole sono importanti ci parla del…silenzio (Opens in a new window), e di come la politica italiana sembra aver perso le parole di fronte ai disastri metereologici che stanno colpendo il territorio.

  • Nella Rubrica A tavola con il cambiamento climatico Verdiana Fronza ci conduce sulle sponde del lago Titicaca in Perù e sulle altezze della cordigliera delle Ande, per parlarci delle patate native (Opens in a new window).

Lavoro e formazione

Oggi senza consigli professionali, ché già siamo andati lunghi con il testo.

Riflessi: qualche numero dal pianeta Terra

65000,

I delegati che si sono registrati per partecipare alle COP29, iniziata lo scorso 11 novembre a Baku in Azerbaijan. 

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