Passa al contenuto principale

Albedo Newsletter - N°13

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Onda su onda

Per prima cosa auguri. È iniziato un nuovo anno, il 2024. Ne hai bisogno, ne ho bisogno anche io, di questi auguri. Quello che ci siamo lasciati alle spalle è stato, con molta probabilità, l’anno più caldo mai registrato (Si apre in una nuova finestra). Si sono sfiorati i fatidici 1,5° C di riscaldamento globale rispetto al livello preindustriale. Il limite da non superare che nel 2015 la comunità internazionale si era autoimposta, a Parigi, per evitare gli impatti sempre maggiori dei cambiamenti climatici. 

Stiamo parlando di un numero più alto di morti per malattie relazionate al calore, alla fame e a malattie infettive; un rischio maggiore di alluvioni, siccità, ondate di calore; e inoltre maggiori impatti sugli ecosistemi viventi e sulla biodiversità (delle specie attualmente studiate si perderebbero circa il 6% degli insetti, l’8% delle piante, il 4% dei vertebrati; inoltre tra il 70 e il 90% dei coralli scompariranno).

Con 1,5°C di riscaldamento globale medio, anche il livello degli oceani aumenterà. Così come la loro temperatura superficiale, con enormi impatti sulla biodiversità marina, sulle economie costiere, ma anche sulla velocità stessa con cui il pianeta si riscalda. Gli oceani infatti assorbono grandi quantità di CO₂, attenuando l'impatto delle emissioni di gas serra. Questa capacità però è strettamente collegata alla loro temperatura: tanto più è elevata, tanto meno gli oceani riescono ad assorbire CO₂, inasprendo così il riscaldamento del pianeta (sugli effetti dei cambiamenti climatici sugli oceani c’è questo vecchio articolo (Si apre in una nuova finestra) di Duegradi che è ancora molto attuale).

A me sembra che dopotutto siamo una specie vivente abbastanza bizzarra. Tutti questi dati li conosciamo a menadito, eppure esistono una serie di ragioni che non ci permettono di agire. O quando lo facciamo, di non agire abbastanza. Parlare solo del negazionismo, degli interessi delle aziende fossili e dei petrostati potrebbe essere riduttivo. Si farebbe il solito errore di pensare che economia e politica siano tutto. A volte nel corso della storia ciò che ha spinto gli esseri umani verso una strada e non un’altra è anche una certa idea di gusto. Si, proprio così, di gusto. Se le fonti fossili hanno trionfato è perché le abbiamo considerate belle, e bello è stato anche tutto quello che esse hanno generato. 

E non lo dico io, ma lo scrive in Metamorfosi il filosofo Emanuele Coccia. “La relazione interspecifica che chiamiamo coscienza, intelligenza o cervello - scrive Coccia - non è qualcosa di naturale, non è una condizione spontanea, eterna, puramente biologica, ma un fatto tecnico e, in certa misura, artistico. Ogni relazione tra specie va letta non solo come qualcosa di contingente, ma anche come qualcosa di simile al rapporto tra un artista e la materia che manipola [...] L’evoluzione si basa dunque sul gusto e non sull’utilità. La sensibilità di una specie decide della sorte delle altre specie. L’evoluzione equivale alla moda in natura [...] Ogni paesaggio è l’equivalente di una mostra d’arte contemporanea”.

E l’arte, oltre ad avere una naturale tensione conoscitiva, deve procurarci piacere. Sfido chiunque a trovare qualcosa di bello che però lo annoia, o che la infastidisca. 

Per questo Albedo di gennaio sarà qualcosa di leggermente diverso. Qui di seguito hai il frammento di un racconto breve intitolato Maree. L’ho scritto per un Master che ho appena concluso. C’è un bel miscuglio di stili dentro (ma Albedo è anche questo: cercare di sondare più stili e generi possibili). Ma a conti fatti è un racconto di finzione. L’astronomo, le onde e l’oceano che sono riportati, non esistono. O meglio esistono solo come virtualità potenziali e inespresse. Che però qui, con queste parole, prendono vita. Non solo l’informazione e la ricerca, a cambiare la società è necessario che ci spinga anche l’affermazione di una certa bellezza.


“L’oceano è increspato. Molto meno però a confronto del giorno prima. Questo permette all’astronomo di osservare le onde prima che esse svaniscono sulla riva o si frangono sulle rocce coralline. Che strana cosa le onde, pensa. Crescono, si ingrossano, pian piano cambiano forma e colore. La pancia, di un blu più chiaro, stride con l’oltremare dell’acqua retrostante. Qua e là spruzzi di oro e di bianco. Il bianco trionfa però sulla gobba delle onde, le quali più si avvicinano alla riva e più si avvolgono su sé stesse, fino a scomparire del tutto, inghiottite dall’acqua. Non trasportano acqua, pensa l’astronomo, bensì energia, energia cinetica prodotta dal vento, dal suo soffio sulla pellicola superficiale dell’oceano; soffio che, a seconda dei vari vortici e delle varie turbolenze, a volte è una semplice grattata, altre volte ha l’effetto di un uragano che sconquassa. Le particelle d’acqua urtano una con l’altra, e trasmettono, in un susseguirsi di mutamenti concatenati, null’altro che energia. Energia che è sempre diversa, per effetto e per intensità. Ogni onda è di fatto diversa da un’altra. Al tempo stesso è corpo collettivo e unicità irripetibile. Questa ambiguità irrisolvibile fa vacillare l’astronomo. Che allora smette di lambiccarsi la mente e fa uno sforzo visivo. Con lo sguardo cerca di abbracciare la totalità di una sola onda e vedere cosa ne viene fuori. Ma dopo un po’ capisce che i risultati sono scarsi: il fotogramma gli scivola via, l’onda non occupa uno spazio determinato, e lui non riesce a capire se sospinge o travolge quella successiva. Più aguzza la vista, più si concentra, e più sembra che la stessa onda termini il viaggio in punti diversi della spiaggia. E il tutto non avviene nello stesso momento, ma seguendo un ordine continuo e apparentemente interminabile di piccoli naufragi. La mente allora prende di nuovo il sopravvento: le onde sfidano le leggi della fisica classica, sono la cosa più simile ai buchi neri che abbiamo sulla Terra, paradossa tra sé e sé l’astronomo. Sono qui e altrove nello stesso momento, argomenta. E nell'esatto istante in cui lo pensa, sente una forte fitta allo stomaco. Osservare le onde che si infrangono a riva, vicino ai suoi piedi, insieme al forte odore di mare, mi sta procurando un capogiro, conclude. Questa meravigliosa confusione di spazio e di tempo lo affascina, ma allo stesso tempo lo intimorisce. Ed è per questo che volge lo sguardo verso qualcosa di più familiare, ovvero lo zio e il bambino, che continuano a modellare castelli di sabbia. Tra qualche ora il livello del mare si alzerà e le difese predisposte dai due uomini cederanno, vane, al gonfiarsi dell’acqua. Il piccolo castello verrà sommerso. L'attrazione gravitazionale che il satellite esercita sulla Terra raggiungerà il suo punto massimo, e l’oceano si gonfierà di circa quattro metri: questa notte in pratica ci sarà Luna piena. L’astronomo allora volge lo sguardo alla cupola celeste, che per lui è forse qualcosa di ancora più familiare del mondo terrestre. Sopra la sua testa la Luna si staglia come un fantasma su uno sfondo pervinca. È una circonferenza perfetta ma ancora sbiadita, ha la forma e il colore di un’ostia. Dietro di essa, ci sono i luccichii dei corpi celesti. Riconosce subito Giove, con il suo giallo vigoroso. E c’è anche Saturno, con la sua luce bianca. Questo pianeta lo affascina più di tutti. In questo momento, con l'ausilio dei suoi occhi, non può vederne gli anelli, ma l’astronomo si ricorda di quando per la prima volta con suo padre, grazie a un telescopio, ne distinse con nitidezza i contorni. Una corona di particelle, roccia, pulviscolo e cristalli di ghiaccio: questa è la materia che compone i cerchi che avvolgono Saturno. Secondo una teoria si son formati da quando esiste il pianeta stesso, sarebbe a dire quattro miliardi e mezzo di anni fa. Invece un’altra teoria, minoritaria, sostiene che gli anelli sarebbero nati in un’epoca molto più recente, poco più di cento milioni di anni fa. Verosimilmente ancora, secondo una terza ipotesi, gli anelli non sono altro che frammenti polverizzati dell’esplosione di un’antica luna, la quale, arrivata troppo vicina a Saturno, è stata distrutta dalle stesse forze della marea che la attraevano al pianeta con cadenza regolare. Oggi si sa per certo che il diametro degli anelli è di poco inferiore alla distanza che c’è tra la Terra e la Luna, ovvero circa trecentomila chilometri. Seppure distanti quasi trecentomila chilometri, la Terra e la Luna continuano a influenzarsi a vicenda. A quanto pare per i corpi celesti la grande distanza è un'opzione trascurabile. Ma è bene che si mantenga questa distanza, perché una relazione troppo ravvicinata provocherebbe la stessa catastrofe della defunta luna di Saturno. All’improvviso un lampo: in questo i pianeti sono simili alle persone, i rapporti vissuti troppo da vicino possono guastarsi facilmente, congettura l’astronomo. Ma è solo una folgorazione momentanea che non lascia spazio a ulteriori riflessioni, perché quando l’astronomo pensa a tali grandezze, di spazio e di tempo, trecentomila chilometri o quattro miliardi e mezzo di anni, così come è avvenuto per le onde, sente delle forti vertigini che gli serrano lo stomaco. Il suo corpo non dispone di strumenti per misurare queste cifre. E quindi, nonostante si consideri abituato a farlo, nonostante studi questi fenomeni da anni, più ci pensa e più si sente male. Con l’esperienza ha capito che in fondo osservare le distanze siderali dell’universo lo fa sentire piccolo piccolo. Gli fa diffidare dei propri sensi. In definitiva: gli impedisce di sentirsi a proprio agio nel suo corpo, l’unico che l’evoluzione gli ha messo a disposizione. In questi casi, ovunque si trova, l’unico modo che ha per riprendersi - ormai l’ha capito - è annusare l’aria e guardarsi intorno, non più lontano di pochi metri di distanza da sé. Solo questo riesce a calmarlo.”

Il racconto continua, ma Albedo di gennaio finisce qui. Ci risentiamo il mese prossimo. Di solito nel periodo in cui scrivo questa newsletter, ovvero metà gennaio, mia mamma mi avrebbe intimato di coprirmi bene perché fa freddo. Ma al momento di freddo, qui a Roma, non c’è nemmeno l’ombra. 

Consigli di lettura

Gli ultimi articoli di Duegradi

Lavoro e formazione 

Riflessi: qualche numero dal pianeta Terra

8%,

la quota di veicoli elettrici sul totale delle vendite di nuovi veicoli negli Stati Uniti durante il primo semestre del 2023. In Cina, i veicoli elettrici hanno rappresentato il 19% di tutte le vendite di veicoli, e a livello mondiale, hanno costituito il 15% delle vendite.

0 commenti

Vuoi essere la prima persona a commentare?
Abbonati a Duegradi e avvia una conversazione.
Sostieni