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Albedo Newsletter - N°14

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Negare l’esistenza di un fiume

Per andare da Roma a San Martino Valle Caudina, piccolo borgo nell’entroterra campano, percorro con l’auto un tratto dell’A1. Davanti ai miei occhi, chilometro dopo chilometro, si srotola un mastodontico lastricato d’asfalto che unisce l’Italia da nord a sud, da Milano a Napoli. La A è la prima lettera dell’alfabeto. L’1 è il primo numero intero positivo. L’A1 è l’autostrada italiana più lunga. Il simbolo per eccellenza della ricostruzione postbellica. Un’illusione di progresso perpetuo lunga 760 km. Che oggi si è schiantata a 300 chilometri all’ora contro una parete chiamata Antropocene. Risultato? L’illusione si è rivelata per quella che è: una mera illusione appunto.

Distolgo lo sguardo dal paesaggio che sfila via dal finestrino, e mi concentro sulla destinazione: San Martino Valle Caudina. Il navigatore indica di uscire a Caianello. Superato il casello, l’auto imbocca una strada che serpeggia un’ampia e fertile pianura, bordeggiata, verso l’interno, da dolci rilievi. Vigne, olivi, frutteti. I campi coltivati che punteggiano i radi centri abitati che incrocio offrono il senso dell’antico nome latino Campania Felix. Poco distante, ai piedi del massiccio del Partenio, si trova San Martino Valle Caudina. C’è un motivo se questo mese Albedo si trova in questo piccolo borgo campano. Nelle sue recenti vicende si possono osservare, in controluce, alcune cause e alcune conseguenze di quello che oggi chiamiamo Antropocene. 


Questa storia inizia la sera del 21 dicembre del 2019. Da almeno tre giorni, il cielo riversa su San Martino Valle Caudina un quantitativo d’acqua anomalo. La pioggia ricopre il borgo abitato e le pendici di Monte Pizzone, l’altopiano ai cui piedi si arrocca San Martino. All’improvviso l’acqua tracima. Un pendio della montagna frana rovinosamente. Avviene tutto in pochi minuti. Una quantità enorme di poltiglia, arbusti e fango si riversa nel torrente Caudino, un piccolo torrente che lambisce la montagna e che taglia a metà il centro di San Martino. Fino alla sera del 21 dicembre, molti degli abitanti hanno completamente dimenticato la sua esistenza: da fine Ottocento infatti gran parte del tratto del torrente che passa per il borgo è stato tombato, molti sammartinesi sono nati quando le geografie del Caudino erano già state nascoste. Del suo passaggio solo i più anziani ricordano. 

A tre anni di distanza si nota ancora il segno della frana lasciato sul pendio del Monte Pizzone.

Ma torniamo alla sera del 21 dicembre 2019. Dopo la frana, un grande boato…il Caudino letteralmente esplode. Chi si trova sul luogo, non capisce cosa stia succedendo. Alcuni, i più religiosi, pensano all’arrivo dell’apocalisse. Lo pensa il salumiere che ha negozio nella piazza dove si trova la sede del comune, una delle aree più colpite dall’alluvione. Il torrente comincia a trascinare con sé tutto ciò che incrocia sul proprio cammino. “Quel giorno ho pensato di morire” racconta il salumiere. 

https://www.youtube.com/watch?v=vKZ4RdTjq0A&ab_channel=AVLIVE (Si apre in una nuova finestra)

Fortunatamente non ci sono state vittime. Il giorno seguente il segno più visibile è un lungo squarcio a ridosso del municipio. Proprio lì dove una volta scorreva il torrente, il giorno dopo la frana c’è un ammasso di poltiglia maleodorante. L’entrata del palazzo comunale è completamente ostruita. Nei mesi successivi molti paesani chiamano “la ferita” la fenditura creatasi sul selciato. Il fiume ha sconfinato in uno spazio che in passato gli apparteneva.

Il letto del Caudino scoperchiato dalla frana, così come appare in una foto dell’ottobre 2023. L’edificio al centro è municipio di San Martino Valle Caudina.

A distanza di più di quattro anni si è cercato di ricostruire i motivi dell’incidente. Come spesso accade, le ragioni sono molteplici. In primis, la geomorfologia del suolo. Durante secoli le eruzioni del Vesuvio hanno adagiato morbide coltri piroclastiche sui pendii rocciosi delle montagne della zona, e questo strato di materiale sdrucciolevole, misto all’elevata pendenza dei declivi, si è rivelata un’equazione che ha facilitato la frana.

A un suolo già di suo ballerino, si è aggiunto anche un cieco intervento umano. La pianificazione urbanistica della zona rimonta almeno all’unità d’Italia, e ha previsto delle portate degli alvei tombati del Caudino che si sono dimostrate palesemente inadeguate. Il resto l’ha fatto poi l’eccessiva impermeabilizzazione del centro abitato, che non ha permesso all’acqua piovana di filtrare nel suolo. Le responsabilità urbanistiche sono chiare. Quella del 2019 non è la prima frana. Dagli anni ‘50 se ne contano quattro. In occasione di una frana precedente avvenuta nel 1999, si legge tra i pareri dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici: “i gravi danni verificatisi sono stati principalmente causati o comunque esaltati dalla non corretta azione dell’uomo sul territorio”. 

Il bello è che a fare da contrappunto alla cattiva antropizzazione c’è un fenomeno di segno opposto, che non ha fatto altro che peggiorare la situazione: il successivo spopolamento di cui soffrono numerosi borghi interni del nostro paese. A San Martino Valle Caudina la popolazione gradualmente diminuisce e l’età media continua a crescere. Girando tra i suoi vicoli non si vede un ragazzo; invece abbondano gli annunci “vendesi” affissi vicino alle pareti degli edifici. Lo stato di completo abbandono in cui versa il bosco montano, la mancata gestione e manutenzione dei castagneti che esistevano una volta nella zona, non hanno fatto altro che acuire la pericolosità del rischio frana.

Se poi a tutto ciò aggiungiamo gli effetti dei cambiamenti climatici la frittata è bell’e servita. “Prima della frana del 1999 ha piovuto almeno per una settimana. Invece nel 2019 ci sono stati tre giorni di pioggia, dove però è caduto il finimondo” continua a raccontare il salumiere. 

Il commissario Ingravallo di Quer pasticciaccio brutto di via Merulana, di Carlo Emilio Gadda, l’avrebbe chiamato gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. “Le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato una molteplicità di causali convergenti”. Insomma uno gnommero. L’episodio di San Martino è una sintesi perfetta, in dimensione ridotte - cioè quelle di un borgo di 4.700 abitanti - delle multipli crisi prodotte dall’Antropocene. Da questa storia trapelano una serie di dilemmi. L’azione inadeguata dell’uomo; il nostro rapporto con l’ambiente circostante; gli effetti dei cambiamenti climatici; lo spopolamento dei borghi a favore delle macro concentrazioni delle grandi città…Le letture possono essere molteplici. 

Un recente lavoro realizzato dall’architetta Monica Sandulli ha cercato di far luce su una di esse. Consultando documenti storici e di programmazione d’archivio, individuando tracce spaziali e toponomastiche dell’area, e non per ultimo ascoltando le voci e le memorie degli abitanti di San Martino, l’architetta ha cercato di trovare dei fili rossi che legano il rapporto che la comunità sammartinese ha avuto, durante i secoli, con il suo torrente, il Caudino. Da questa base, Sandulli ha enucleato tre momenti storici rappresentativi di altrettanti tre diversi rapporti comunità/fiume. 

Un primo momento è chiamato dell’alleanza, e risale a un periodo alto medievale. Il borgo si comincia a sviluppare contornando il torrente. L’uomo sfrutta le colline e le alture presenti a ridosso del Caudino. Il fiume viene quindi visto dagli abitanti come elemento difensivo rispetto a eventuali incursioni esterne. 

Una seconda fase è chiamata invece di convivenza collaborativa. La popolazione del borgo cresce, così come la sua dimensione. Le acque del Caudino vengono convogliate in due mulini che macinano grano e canapa di produzione locale. I pendii delle montagne circostanti vengono coltivati a castagno. Il torrente divide il nucleo urbano dalla campagna. Si instaura una sorta di collaborazione reciproca tra i sammartinesi e il Caudino.

L’ultima fase coincide con l’epoca moderna, suppergiù quindi XIX secolo. Viene soprannominata di negazione. A partire dall’unità d’Italia, con la costruzione del palazzo municipale, un primo tratto del Caudino viene tombato (casualmente proprio nel punto che è esploso nel 2019). Scartabellando gli archivi, il motivo dell’operazione non è tanto l’espansione urbanistica del paese, ma quello di rendere la nuova piazza, simbolo della recente unità politica, “maggiormente abitabile per l’uomo”. La frattura è avvenuta. Dopodiché sul finire del secolo scorso, verso gli anni ‘80, un altro tratto dell’alveo viene coperto e cementificato, questa volta per consentire il passaggio delle automobili. L’illusione di progresso perpetuo è arrivata anche a San Martino.

Sandulli parla di una vera e propria “rimozione collettiva”. Può aiutare a capire il senso di questa rimozione la decisione presa nel 2008 dall’amministrazione comunale che, in un piano di sviluppo turistico denominato “San Martino Borgo dell’Acqua”, per sfruttare l’acqua come brand per attirare nuovi turisti, invece di menzionare il torrente Caudino, fa riferimento alle numerose fontane che sono disseminate nel centro urbano “quale elemente essenziale del borgo dell’acqua”. Il Caudino sembra scomparso dall’orizzonte dei sammartinesi.

Insomma il lavoro dell’architetta evidenzia che dall’800 in poi la relazione tra la comunità e il Caudino viene dunque negata. L’insediamento umano si considera estraneo al contesto naturale in cui si inserisce. Ma vi è di più: le “putride” acque del torrente vengono addirittura considerate un elemento ostile all’abitato. 

Subito dopo l’alluvione del 2019, durante le operazioni per disostruire il Caudino, molti abitanti si sono trovati in difficoltà perché non sapevano nemmeno dove scorreva il torrente. Eppure il Caudino è lì da secoli. Prima ancora che si sviluppasse il borgo. La frana del 2019 sembra averlo solo ricordato a chi se lo fosse dimenticato.



Per febbraio è tutto. Durante il prossimo Albedo, con molta probabilità, ci sposteremo in un’altra località italiana. La casella mail per inviare risposte, commenti, richieste di integrazioni, è sempre sebastiano.santoro@duegradi.eu .

Al momento siete quasi mille persone a leggere ogni mese Albedo. Una bella comunità anche la nostra. Quasi un quinto degli abitanti di San Martino Valle Caudina. Sarebbe bello fare una sorta di assemblea condominiale allargata e sentire la voce o il parere di ognuno di voi. Cosa ti piace di Albedo? Cosa invece cambieresti? Questo è uno spazio da abitare ogni mese, cerchiamo di costruirlo insieme. Noi ci risentiamo a marzo. Ciao!

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