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Albedo Newsletter - N°5

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e informazioni sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque, come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction. E lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza, insieme alla redazione di Duegradi, cercheremo di rispondere ai dubbi e alle tue perplessità (scrivi qualsiasi cosa che ti salta in mente a redazione@duegradi.eu);

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Progresso no, Rinascita sì

Il progresso è una truffa. Il progresso, o meglio l’idea che la Storia dell’essere umano sia una lunga parabola ascendente in cui, anno dopo anno, miglioramento dopo miglioramento, l’uomo riesca a risolvere i problemi dell’esistenza: questa idea qui di progresso è falsa. Vale più o meno zero. Eppure per lungo tempo ce la siamo bevuta veramente. Abbiamo creduto, soprattutto sull’onda di scoperte scientifiche e avanzamenti tecnologici, che gli ultimi diecimila anni siano una lunga linea retta che parte dalle società tribali, selvagge e incivili, e arriva a quelle contemporanee, acculturate e con acqua potabile e aria condizionata.


Se dovessi indicare un segmento temporale in cui l’ottimismo per il progresso si è diffuso largamente, azzarderei la seconda metà del XIX secolo. In questi 50 anni sono confluite le condizioni adatte affinché il genere umano guardasse al futuro con cieco ottimismo. Esisteva una corrente di pensiero che suffragava questo spirito - il positivismo - e una serie di scoperte scientifiche che stavano trasformando la vita di milioni di persone - i primi esperimenti sul magnetismo, le onde elettromagnetiche, le prime basi della genetica, la scoperta dei vaccini, l’invenzione del telefono, i primi fotogrammi, la fotografia, il cinema, i trasporti, eccetera eccetera. 


Nel numero di Medusa (Si apre in una nuova finestra) del 22 marzo Nicolò Porcelluzzi ha scritto: “Troppo spesso raccontiamo la cultura, gli scambi culturali, le ibridazioni come forze per natura eternamente progressiste. È un pensiero consolatorio, perché ha il potere di convincerci che contro le assurdità e le storture del mondo ci possa essere un antidoto: declamare poesie, studiare, leggere, informarsi, dialogare, provare a capirsi. Non sempre è così, [...] Gli esseri umani hanno costruito imperi e acquedotti senza sapere cosa fosse l’RNA, o un bit”. 


Il discorso vale anche a livello individuale. Non è detto che, una volta superate le difficoltà che l’esistenza ci presenta, debba necessariamente avvenire un riscatto, un miglioramento. Tanto individualmente come collettivamente, non esiste alcuna regola scritta che impone una progressione verso l’alto. Dopo il diluvio, non necessariamente deve alternarsi il sereno, e dal diluvio non è detto che ne usciamo sempre sani e salvi. 


Albedo è una newsletter che non ha la pretesa di essere edificante, non vuole fare giornalismo costruttivo (“solution journalism (Si apre in una nuova finestra)” in inglese), proporre risposte ai problemi sociali, economici, politici, che ci attanagliano. Questo lavoro, assolutamente necessario oggigiorno (dove all’orizzonte ci sono molti più problemi che soluzioni), viene fatto molto bene da altri. A cui spesso si rimanda nei consigli a fine lettura. Questa newsletter non vuole essere edificante perché, per cercare di capire come siamo arrivati a tutto ciò, non è forse necessario esserlo. 


Però quando un passo avanti è reale, concreto, quando un miglioramento avviene veramente è importante raccontarlo, dargli il giusto spazio. Ragionare con senso critico sulle cose è importante, ma lo è altrettanto sognare un mondo migliore, desiderare che questo possa avvenire. Ci serve per andare avanti. L’animale sapiens ha bisogno di questo tipo di storie. E l’apparente contraddizione che esiste tra questi due approcci - ragionare con senso critico sulle cose e sognare un mondo migliore - non è qualcosa di necessariamente negativo.


Per questa ragione lascio la parola a Chiara, una lettrice che ha risposto ad Albedo di marzo, il quale chiedeva ai lettori di raccontare le proprie esperienze di vulnerabilità. Nella mail, con un linguaggio velato che sfiora i traumi del suo passato, Chiara racconta la storia della sua adolescenza, fatta di molte difficoltà, un difficile rapporto con i genitori, disturbi alimentari, un ricovero in clinica, e una forma di avversione alla vita. Ma allo stesso tempo la storia che Chiara descrive è anche una storia di amore, di cambiamenti, di consapevolezze improvvise che conducono a trasformazioni benefiche, insomma una storia di rinascita. Per la precisione: di morte e poi di rinascita, perché come ha scritto Salman Rushdie nei suoi famosi Versi satanici “per rinascere devi prima morire”, “come puoi ancora sorridere, se prima non avrai pianto? Come conquisti il cuore del tuo amore, signore, senza un sospiro?”


La storia di Chiara la riporto con alcuni tagli. Spero che l’autrice non me ne voglia. Mi sono permesso di farle da editor, cercando di mantenere il senso del suo racconto.


“La vulnerabilità ha assunto diverse sfumature nella mia vita. Se dovessi collocarla nella sua interezza più totale però, riesco a intravederla in un momento specifico. Un momento estremamente doloroso, ma anche tremendamente potente per la persona che sono oggi. Avevo circa 13 anni, avevo perso il sapore della vita, nonostante forse sono quelli gli anni in cui lo si impara a scoprire. L’immaturità e l’incapacità delle persone che avrebbero dovuto ricoprire la figura genitoriale mi fecero incontrare la parola responsabilità, il cui significato non riuscivo ancora a decifrare. Persi il piacere di vivere, e quando questo succede accade che inizi a dimenticare il senso delle cose. La vita, ai miei occhi, diventò talmente tanto insapore che smisi di mangiare. Iniziai a perdere tutto: la pelle, i capelli, le unghie, le vitamine, la voglia di alzarmi, la vita. Ad un certo punto della mia traiettoria, forse anche consapevolmente, arrivai in clinica. 

Ringrazio ancora le persone che con le loro mani presero la mia vita in mano, stringendola con l’amore più potente che abbia avuto la fortuna di incontrare. Io, che mi consideravo una battaglia persa, per loro ero la rinascita che nei miei occhi avevano già intravisto. Grazie a loro scoprii che dentro di me esisteva una forma di bellezza che mi era ancora sconosciuta. Le lacrime trovarono una loro uscita. E proprio in quel momento, quando le lacrime finiscono la loro discesa e raggiungono la voce di tutte le cose che non riuscivo a dire, il sapore del loro sale mi ricordò quello che avevo dimenticato: le lacrime possono essere molto buone. Ci vollero mesi prima che riuscii a liberarmi da quel tubicino al naso, che rendeva ogni mio respiro dannatamente doloroso. La traiettoria della persona che sono oggi, inizia lì.

Sai qual è la prima cosa che ho mangiato? Hummus. Per tre mesi di fila non ho mangiato altro. La mia rinascita partì proprio da quei ceci che furono per me la dimostrazione di una forza e di una potenza che ancora oggi faccio fatica a pensare mi appartengano. Decisi che per smettere di essere violenta con il mio corpo dovevo cominciare da quello che mangiavo. Ed è stato in quel momento che imboccai la strada di un’alimentazione vegetale. Mi innamorai di una versione di speranza. Riuscii, in qualche modo a me sconosciuto, a salvaguardare quella parte di me che voleva essere leggera nel suo essere pesante. La mia fragilità, la mia impotenza, è quello che mi rende vera e che mi permette di credere al cambiamento. Perché anche dalle parti più oscure si può guarire, si può rinascere.”

Ecco, “anche dalle parti più oscure si può guarire” scrive Chiara. E anche da crisi così nere, come quelle che stiamo vivendo, si possono trovare vie d’uscita.

Rispondiamo alle vostre domande

Il numero di aprile di Albedo finisce qui. Spero che la mail di Chiara sia la prima di tante altre. Raccontatemi perché avete a cuore il clima e l’ambiente; a partire da quale momento o momenti della vostra vita; quale libro vi ha spostato i punti di vista; quale incontro o quale viaggio vi ha scosso nel profondo.

Nelle idee di chi l’ha pensata, Albedo è nata per essere una newsletter partecipativa, quindi chi vuole dire qualcosa, anche qualcosa di più leggero (perché parlare sempre di massimi sistemi, in fondo, annoia un po’), può entrare in questo luogo virtuale inviando una mail a redazione@duegradi.eu (Si apre in una nuova finestra), o alla mia personale sebastiano.santoro@duegradi.eu (Si apre in una nuova finestra). Io non aspetto altro che leggerle, le vostre mail. Noi ci sentiamo a maggio, passate un buon mese, e una buona giornata mondiale della Terra!

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42°C

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Ci vediamo il mese prossimo!

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