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Albedo Newsletter - N°2

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e informazioni sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque, come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction. E lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza, insieme alla redazione di Duegradi, cercheremo di rispondere ai dubbi e alle tue perplessità (scrivi qualsiasi cosa che ti salta in mente a redazione@duegradi.eu);

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Se un gruppo di cinghiali grufola tra l’immondizia

Dei cinghiali sono stati avvistati in città. Hanno un corpo grande, massiccio, lungo un metro, forse anche di più, e pesante oltre cento chili. Una folta pelliccia scura li ricopre interamente. La coda termina con un simpatico ciuffo. Probabilmente è una femmina con i suoi piccoli, perché il maschio è un esemplare più solitario. Sono stati avvistati mentre grufolano tra i cassonetti dell’immondizia alla ricerca di cibo, soprattutto frutta e ghiande, di cui sono molto ghiotti. La gente è sorpresa di vederli, e ha paura di avvicinarsi. Li fotografa a distanza di qualche metro con il proprio smartphone. Di lì a poco una donna pubblicherà un video sul suo social network, che in poche ore diventerà virale. Verrà ripreso addirittura da alcuni quotidiani nazionali e dal telegiornale della sera, e lei si sentirà momentaneamente al centro dell’universo. Nel frattempo il gruppetto di cinghiali non sembra curarsi di questi astratti meccanismi che regolano la vita sociale degli umani. Uno di essi muove freneticamente il muso sull’asfalto per trovare traccia di cibo. È l’esemplare più grande, presumibilmente la madre. Potrebbe essere pericoloso incrociare una madre con i piccoli. Le strategie migliori per evitare contatti indesiderati sono rimanere immobili, o fingersi più grandi alzando le braccia. Agli umani presenti - ignari di queste raccomandazioni - fortunatamente non servirà nulla di tutto ciò, perché in men che non si dica il gruppetto di cinghiali si allontana, attirato da qualche altro odore che il limitato olfatto dell’umano non può percepire. L’ultima cosa che gli umani vedranno sarà un grande, voluminoso, e scuro escremento che uno dei cinghialetti ha lasciato sull’asfalto prima di dileguarsi.

Questo sembra un incipit inventato. Ed effettivamente è così. Ma nemmeno poi tanto. Ultimamente gli sconfinamenti di cinghiali nelle città italiane stanno diventando più frequenti, addirittura di tendenza; e questo genera negli uomini reazioni che vanno dallo stupore allo spavento, fino all’indignazione.

Nel luglio 2022 l’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini denunciava (Si apre in una nuova finestra), durante una manifestazione, il degrado della città di Roma, dove “il cinghiale è diventato il nuovo animale domestico, e ha soppiantato cani e gatti”. Da allora sono stati pubblicati numerosi altri video di avvistamento. Forse uno degli ultimi (Si apre in una nuova finestra) in ordine cronologico è del 22 dicembre scorso, quando un gruppo di cinghiali è stato avvistato pascolare tra le bancarelle natalizie di una centralissima zona romana. Nella parentesi temporale tra il 18 e il 22 dicembre si concentrerà l’intero secondo numero di Albedo, perché il caso vuole che poche ore prima di questo avvistamento - il 21 dicembre - è stato approvato alla Commissione Bilancio della Camera un discusso emendamento alla legge di bilancio che riguarda, a loro insaputa, proprio quella famigliola di cinghiali.

Il nome con cui alcuni l’hanno ribattezzato è “emendamento Far West (Si apre in una nuova finestra)”. Retorica a parte, l’emendamento (Si apre in una nuova finestra) ha modificato la legge 157 dell’11 febbraio 1992 (Si apre in una nuova finestra), cioè la legge che in Italia regola la caccia. Con la nuova normativa si consentono, a certe condizioni, le uccisioni “delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”.

In pratica le novità più importanti rispetto al passato sono due, anzi tre. In primis, viene ampliata la zona in cui è possibile uccidere gli animali selvatici, allargandola anche a città e zone protette. Inoltre aumentano anche i soggetti autorizzati a eseguire tali abbattimenti, che ora sono - oltre le guardie venatorie, cioè pubblici ufficiali autorizzati già previsti dalla normativa precedente - anche agenti di polizia e cacciatori della zona, “previa frequenza di corsi di formazione”.

Infine, terza novità, l’emendamento ha aggiunto un nuovo articolo alla legge sulla caccia, ovvero la possibilità che il governo adotti un piano straordinario di durata quinquennale “per la gestione e il contenimento della fauna selvatica”. Come si legge in un articolo del Post (Si apre in una nuova finestra), “questo piano riguarderà specificamente le uccisioni e le catture di animali selvatici, anche nelle città e nelle aree protette, e quindi potrebbe cambiare le cose nei rapporti con alcune specie molto malviste da una parte della popolazione, a partire da agricoltori e allevatori”.

A questo punto devo aprire una parentesi. Per molto tempo il mondo umano, fatto di corpo e di anima, è stato considerato ontologicamente superiore a quello animale, fatto solo di corpo. Nelle sacre scritture l’uomo è l’unica creatura vivente a essere stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Ma ancora prima, Aristotele nel suo trattato Sull’anima ha distinto tre tipi di anime: quella vegetativa che attiene ai processi nutritivi e riproduttivi, ed è comune anche alle piante e agli animali, l’anima sensitiva che attiene invece alle passioni e ai desideri, che è presente anche negli altri animali; e per ultima l’anima razionale, che appartiene soltanto all’uomo, e che consiste nell’esercizio della ragione. A cavallo tra il XIX e il XX secolo, però, le scoperte di Darwin e la nascita dell’etologia e lo sviluppo dell’ecologia hanno reso meno spirituale e più materiale il nostro rapporto con il mondo e con gli animali. Il fondatore dell’etologia moderna, lo zoologo Konrad Lorenz, scriveva nel suo Anello di Re Salomone: “Io non proietto per nulla qualità umane sugli animali, anzi, faccio proprio il contrario, mostrando quanto sia ancora forte e profonda l’eredità animale nell’uomo”.

Paradossalmente, però, proprio a ridosso di questi due secoli le società umane hanno iniziato a separarsi definitivamente dal mondo naturale. In passato la maggior parte della popolazione mondiale viveva a stretto contatto con gli animali. La relazione umana con mucche, pecore, cavalli, galline e maiali è iniziata decine di migliaia di anni fa. E questa vicinanza non era solo fisica, ma anche simbolica. Nel suo celebre Cristo si è fermato a Eboli, a proposito delle usanze di Gagliano Carlo Levi scrisse: “Tutto è realmente possibile, quaggiù, dove gli antichi iddii dei pastori, il caprone e l’agnello rituale, ripercorrono, ogni giorno, le note strade, e non vi è alcun limite sicuro a quello che è umano verso il mondo misterioso degli animali e dei mostri. Ci sono a Gagliano molti esseri strani, che partecipano di una doppia natura. Una donna, una contadina di mezza età, maritata e con figli, e che non mostrava, a vederla, nulla di particolare, era figlia di una vacca. Così diceva tutto il paese, e lei stessa lo confermava”.

Con la migrazione verso le città e lo sviluppo della tecnologia le cose cambiano, gli animali vengono marginalizzati, l’allevamento diviene un’attività appannaggio delle logiche industriali. Nella maggior parte dei casi gli animali non fanno più parte della famiglia del contadino (si avrebbero ovvi problemi di spazio, considerando che in Italia, in un anno, si allevano circa 50 milioni (Si apre in una nuova finestra) di polli). Gli animali con cui possiamo entrare in contatto più di frequente sono solo quelli - i pochi - che riescono ad adattarsi a vivere nelle città, un habitat pensato e costruito per soddisfare interessi e comodità dell’essere umano. Questo cambiamento ha provocato uno slittamento anche simbolico, e oggi gli animali più popolari finiscono per essere quelli che in realtà vediamo meno e che sono più minacciati dal rischio di estinzione (su questo argomento c’è uno studio del ricercatore Franck Courchamp, “The paradoxical extinction of the most charismatic animals (Si apre in una nuova finestra)).

Ora, ritornando ai cinghiali, negli ultimi anni il numero di questi mammiferi in Italia è aumentato. Le cifre esatte del fenomeno sono ancora abbastanza discusse. Secondo ISPRA (Si apre in una nuova finestra) i 500mila esemplari del 2010 si sono raddoppiati arrivando al milione attuale; stime diverse, e più ingenti, vengono fatte da Coldiretti, che parla invece di 2,3 milioni (Si apre in una nuova finestra) di esemplari. A Roma i motivi di questo aumento sembrano essere vari (Si apre in una nuova finestra), dalla presenza dei parchi regionali e delle riseve naturali dell’Alto Lazio, ai cassonetti della spazzatura lasciati incolti. Questo aumento sembrerebbe portare danni all’agricoltura e problemi di sicurezza stradale. Infatti l’emendamento che è stato approvato lo scorso 21 dicembre è un tentativo di mediare valori generali, quali la “tutela della biodiversità” e “la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale”.

Ma così come è stato formulato, l’emendamento ha subito generato la reazione di alcune organizzazioni ambientaliste. Secondo (Si apre in una nuova finestra) il WWF, è “una pagina vergognosa per la tutela dell’ambiente in Italia”. L’Organizzazione Internazionale Protezione Animali (Oipa) sostiene (Si apre in una nuova finestra) che l’abbattimento non è un metodo corretto per contenere la fauna selvatica, perché ci sono studi scientifici che dimostrano che faccia aumentare la dispersione degli animali. “Se si ammazza la matriarca, ad esempio, i cinghiali si disperdono". Per l'Oipa l'emergenza cinghiali andrebbe affrontata “partendo da una migliore gestione dei rifiuti”.

Ad ogni modo, è anche vero che non sembra che la norma converta le città italiane in Far West, o che introduca nella manovra economica “la caccia a tutti gli animali nei parchi, nelle città, ad ogni ora e in ogni periodo”, come ha detto il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli. O almeno è vero ma con delle specificazioni (Si apre in una nuova finestra) essenziali, perché l’emendamento approvato dalla Camera prevede che siano le regioni ad attivare, in determinate situazioni, dei “piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura” della fauna selvatica. Certo, però è anche vero che adesso l’abbattimento di animali selvatici diviene una soluzione più facile da adottare, a svantaggio di altri “metodi ecologici” che non prevedono l’uccisione. E certo, è vero anche che la norma manca di concretezza perché, per affrontare la cosiddetta emergenza cinghiali, viene adottata una norma che vale per tutta la fauna selvatica, e quindi anche per altre specie meno “pericolose”, per così dire.

Ma continuiamo. Nemmeno tre giorni prima dell’approvazione dell’emendamento alla Camera sulla fauna selvatica, il 18 dicembre scorso si è conclusa la COP15 di Montreal. Dopo due anni di ritardi a causa della pandemia di COVID-19, e quindi quattro anni di negoziati, quasi 200 paesi hanno firmato un accordo (Si apre in una nuova finestra) a Montreal sulla tutela della biodiversità (all’accordo manca però l’importante firma degli Stati Uniti). Partivamo da una situazione critica: secondo l’ultimo rapporto (Si apre in una nuova finestra) dell’IPBES, l’organismo intergovernativo indipendente delle Nazioni Unite sulla tutela della biodiversità (una sorta di IPCC della biodiversità), un milione di specie viventi, cioè un quarto di quelle conosciute, è a rischio estinzione. Alla COP di Montreal, insomma, bisognava quantomeno fare qualcosa per frenare questo pericolo.

Cosa si è deciso? L’obiettivo più mediatico è sicuramente quello di proteggere il 30% del terre e delle acque del pianeta entro la fine di questo decennio, poi il testo finale prevede anche di ridurre i sussidi dannosi per la natura, di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati, e di mettere in atto azioni urgenti per fermare le estinzioni di specie notoriamente minacciate a causa dell'uomo. Un altro punto importante è il riconoscimento del ruolo fondamentale delle popolazioni indigene nella conservazione della biodiversità. Nel testo, infatti, i popoli indigeni e i loro diritti vengono menzionati in ben sette dei ventitre obiettivi finali.

Molti considerano l’accordo quadro di Montreal l’equivalente per la biodiversità dell’accordo di Parigi sul clima. Anche in questo caso, forse, è un accostamento un po’ eccessivo, perché se per Parigi abbiamo una cifra precisa da monitorare - l’aumento della temperatura globale rispetto ai livelli preindustriali - per molti dei target dell’accordo di Montreal non abbiamo degli obiettivi numerici, il che renderà più difficile monitorare l’attuazione. Inoltre l’accordo in questione non è giuridicamente vincolante; e un altro nodo riguarda il tetto complessivo dei finanziamenti, su cui gli stati hanno punti di vista molto divergenti. Insomma sicuramente quello di Montreal è un accordo importante, un punto di partenza, ma molto dipenderà dalla sua attuazione futura.

C’è da dire che, come le negoziazioni internazionali sul clima, anche per la tutela della biodiversità i passi avanti spesso sono molto lenti e quasi impercettibili. Però rispetto agli accordi sul clima, quelli sulla biodiversità, oltre ad avere una risonanza mediatica inferiore (provate a confrontare la copertura dei giornali di COP 27 di Sharm e quella di Montreal), sembrano andare ancora più a rilento. Non è un caso che le conferenze hanno cadenza biannuale, e non annuale come quelle sul clima. Parlare di transizione energetica, di tagli alle grandi corporazioni fossili, e di adattamento è più facile che parlare della salvaguardia delle altre specie viventi con cui condividiamo il pianeta.

Insomma, gli animali, che della biodiversità sono una parte rilevante, entrano a fatica nel nostro orizzonte quotidiano, e continuano ad essere relegati a materia esclusiva di biologi, etologi o studiosi che si dedicano agli Animal Studies (Si apre in una nuova finestra). Se siamo in grado di stimare con esattezza il valore di beni e servizi che circolano in un determinato paese in un preciso lasso di tempo, non siamo altrettanto bravi a calcolare il numero di cinghiali presenti in un territorio. E, sia detto per inciso, le due cifre hanno ordini di grandezza e di complessità estremamente diversi: in teoria sarebbe molto più facile arrivare al numero dei cinghiali che al PIL di una nazione.

Da millenni viviamo insieme ad altri animali, subiamo un’influenza culturale e genetica reciproca. Da questo punto di vista, la scrittrice e filosofa Eva Meijer nel suo Linguaggi Animali (Si apre in una nuova finestra)segnala un interessante studio (Si apre in una nuova finestra) secondo il quale quando un cane e un umano che si vogliono bene si guardano a vicenda, producono entrambi ossitocina, l’ormone delle coccole che i nostri organismi rilasciano quando vediamo o abbracciamo un nostro caro.

Tutti gli esseri viventi vengono plasmati dal loro ambiente, e lo plasmano a loro volta, in una concatenazione di esperienze che vanno avanti da miliardi di anni. Soffermarsi solo a ciò che la nostra azione produce nel mondo equivale a guardare con un solo occhio, o forse a non guardare proprio.

Per concludere ripropongo un frammento di un articolo (Si apre in una nuova finestra) apparso su Duegradi qualche mese fa. Forse non darà l’idea della complessità di un rapporto - quello tra noi esseri umani e gli altri animali - ma di certo queste parole centrano un aspetto della questione. Un singolo aspetto che è, come tutti i singoli aspetti, abbastanza parziale. Ma probabilmente si tratta di un punto di vista da tenere presente quando leggiamo storie di cinghiali che sconfinano nelle vie delle nostre città.

Forse ha ragione lo scrittore Marco Malvestio quando ha scritto (Si apre in una nuova finestra) che ‘la società in cui viviamo ha espulso gli animali dai propri spazi’. Pochissimi, infatti, possono dire di avere rapporti con gli animali (se ci riflettiamo anche quelli domestici vengono cresciuti a nostra immagine e somiglianza). Ci capita di stupirci quando vediamo dei cinghiali selvatici che grufolano tra l’immondizia delle città perché, in fondo, abbiamo respinto tutto ciò che non è umano fuori dall’ambiente in cui viviamo (la parola foresta viene dal latino foris, «all’esterno di»).

Gli animali che sono rinchiusi negli zoo non sono altro che ‘un monumento vivente alla loro scomparsa’ ha scritto John Berger. Qual è il risultato? Secondo Malvestio per moltissimi esseri umani l’unico rapporto con altri animali è quello del consumo alimentare, il quale è ora – a differenza dei millenni passati – completamente allontanato dallo sguardo del consumatore. Quando entriamo in un supermercato vediamo solamente carcasse.

In questo modo, gli animali sono privati del loro nome e sono ridotti a prodotto commerciale. In pratica, il senso sociale del nostro rapporto con essi è ridotto a un’esperienza di consumo, in cui gli unici (apparenti) beneficiari siamo noi.

Rispondiamo alle vostre domande

Lettori e lettrici, per questo mese da Albedo è tutto. Se vuoi scrivermi il modo in cui tu e il tuo animale domestico vi influenzate a vicenda, o se vuoi aggiungere un ulteriore punto di vista a questo editoriale, raccontare una tua esperienza personale con un animale selvatico, o se semplicemente hai dei dubbi e vuoi farceli sapere, invia una mail all’indirizzo redazione@duegradi.eu (Si apre in una nuova finestra)

Noi ci sentiamo il mese prossimo. Tu stai bene, copriti, queste settimane in teoria dovrebbero essere quelle più fredde dell’anno, anche se non è proprio così. A presto!

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