Dare i voti ai film
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Non so se a te capita mai di dare dei voti ai film che vedi. Quando li commenti con amici, con un partner o con un tuo familiare. A me personalmente succede ed è un’esperienza che si scontra sempre con un certo grado di fattibilità, ma ora mi spiego meglio. Voglio dire, dovrebbe essere semplice dare un voto a un film, no? Dopotutto i gusti sono più o meno soggettivi, ma a volte ci si incarta. Prendi per esempio “La zona di interesse”, il nuovo film di Jonathan Glazer, è certamente un bel film. Ma che voto daresti? Sei? Otto? Dieci? Parliamone un attimo.
Sembra una domanda facilissima, perché parliamo di un voto senza conseguenze, mica di un parere da cui dipende l’assegnazione di un Oscar alla regia. Far corrispondere un numero da 1 a 10 a un prodotto culturale e condividerlo tra amici, che ci vuole? Ok, ma di nuovo: che voto dai?
Se ti è piaciuto moltissimo e hai dato 9 o 10 ti faccio una domanda: che voto daresti allora a un capolavoro come Le Iene di Tarantino o C’era una volta il West? Qui, secondo me, casca l’asino, perché ti trovi a voler allungare la scala del voto, immaginare che dopo il 10 ci sia la possibilità di dare 11. E, evidentemente, la cosa non funziona.
Sono uscito dal cinema e ho pensato queste cose, te le metto in fila: 1) musiche originali notevoli e molto impattanti; 2) regia stranissima e pregevole (no spoiler eh, ma si è deciso di girare l’intero film senza mai un primo piano, con inquadrature sempre da una certa distanza e l’effetto è riuscitissimo); 3) è un bel film che racconta quanto la nostra specie abbia un difetto strutturale - forse addirittura insito nella nostra biologia - e cioè che siamo profondamente egoisti e a volte sappiamo, con i metodi più intricati, ignorare la sofferenza altrui. Anche quella più atroce.
Quindi diamo un 9? Un attimo, io ho preso in considerazione anche un altro paio di cose: gli attori sono bravissimi, ma non da premio, le musiche sono impattanti, ma non meravigliose, infine è vero che raccontare il nostro egoismo collettivo è un merito, benissimo, ma non è forse quello che fa qualunque film che parli di un campo di concentramento?
Quindi diamo 6? Se si è persone che tendono ai ragionamenti cervellotici (eccomi qui, buongiorno a tutti, piacere) si può andare avanti a lungo nel pensare a che voto dare. Ci si pensa finché, a un certo punto, ci si rinuncia: è indecidibile.
Certo che ci sono film più belli di altri e il Padrino è più bello di un cinepanettone, ma questa distinzione alla buona è l’unica che mi paia incontrovertibile. Appena si va un attimo più nel dettaglio ci si perde in un mare di complessità: si paragona il film a quelli simili, si fa un parallelo con altre opere dello stesso regista, la si butta in politica dando punti in più (o in meno) a seconda della morale e così via all’infinito.
Certo non è il massimo che le opere d’arte siano così variamente interpretabili, con opinioni plausibili ma diverse e spesso dai margini piuttosto slabbrati. Eppure, forse, è così che è fatta la cultura: anziché delle verità ci sono solo punti di vista ragionati. E in questo minestrone di idee, a seconda di chi si è, di che vita si ha, di cosa si sa e di molti altri dettagli che appartengono a chi guarda (e non all’opera in sé), quella giusta ce la si sceglie.
Io comunque darei un 5,5. Forse 6.
Sei d’accordo? Hai un’idea diversa o conosci un saggio che questo argomento lo spiega alla perfezione? Scrivimi a questo indirizzo mail.
Ci sentiamo tra un mese esatto.
Enrico, dalla redazione.
(Abre numa nova janela)Carla Accardi, Viola Rosso, 2011, Courtesy Casa d'aste Pananti
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