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Le bugie, Baby reindeer, noi circondati dagli altri

Si fa un gran parlare di come noi umani - nel lungo processo di evoluzione civica in cui siamo immersi e che ci auspichiamo continui - dovremmo liberarci del mentire. Non dovremmo essere portatori di nessuna bugia, possibilmente nemmeno una, e non solo quelle esplicite e meschine, ma nemmeno un’omissione, una verità incompleta. Il nostro obiettivo è la sincerità.

La menzogna è sanzionata socialmente un po’ ovunque: a scuola, nei rapporti lavorativi, in quelli sentimentali. La logica è ferrea e piuttosto facile da apprezzare: se mi dici la verità mi fido di te. Se menti, chi mi dice che anche in futuro, anche su altri aspetti del nostro rapporto, tu non stia mentendo di nuovo? Ed ecco quindi la sfiducia, che arriva come un’infamia di cui poi difficilmente ci si libera. 

Al contrario la verità è premiata. Un amico sincero è sinonimo di buon amico. Un partner “che a me direbbe tutto” è un buon partner. Un politico che “dice quello che pensa” e che parla in modo schietto è un buon politico.

Essere sinceri ha molte facce diverse: per esempio suggerisce la mossa morale di non far finta di essere chi non si è, quindi non essere dei “poser”. Oppure di essere sinceri con sé stessi, cioè realistici negli obiettivi e nei comportamenti, aperti a miglioramenti e ad eventuali suggerimenti dall’esterno. Alcune di queste facce, però, sono problematiche. 

Anche molto problematiche, a volte. Se dicessimo tutto quello che pensiamo sempre, anche da arrabbiati, o quando siamo irritati da un certo avvenimento, da una battuta, da una singola frase, saremmo gente che a una cena di famiglia, dopo una battutaccia di un parente, bestemmia a voce alta. Cioè degli individui socialmente deficienti. Mentre, com’è ovvio, è bene che quella bestemmia la si “pensi” pure, magari, ma non la si dica. Non la si pronunci. Il mezzo sorriso o il silenzio che dovremo esternare al posto delle ingiurie che pensiamo sono falsi, ma sono - a seconda del caso - la scelta che porta meno dolore e sconforto attorno a noi.

Hai visto l’intervista del giornalista Piers Morgan (Abre numa nova janela) alla donna che dice di essere la “vera” Martha della serie Baby reindeer? Su YouTube ha fatto 10 milioni di visualizzazioni in 3 giorni. Sarebbe lei, a suo dire, la stalker della mini-serie tv Netflix. Solo che, sempre secondo lei, la serie sarebbe un falso. Lei non è mai stata una stalker, l’ideatore della serie e Netflix mentono, ha mandato solo una manciata di e-mail, non migliaia. Insomma, è un’intervista sul vero e sul falso, su chi dice la verità e chi mente. E l’interesse che è scaturito dall’intervista a Fiona Harvey (così si chiama la donna) è un buon esempio di quanto a noi, come società, interessi la verità e le sue varianti sociali.

L’intervista in un certo senso è surreale: la donna dice in sostanza che tutta la serie tratta da una storia vera è una finzione. Una ricerca di attenzioni. Ma in certi casi si contraddice, dice cose che non stanno in piedi. E di colpo, da semplici spettatori di un video YouTube, si diventa giudici. La nostra mente va dritta a cercare una soluzione, un vero e un falso: chi dice la verità?

Enrico

(Abre numa nova janela)
Henry Moore, Senza titolo, Courtesy Casa d'aste Pananti (Abre numa nova janela)

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