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Dammi tre parole, sole cuore e depressione

Mi ero riproposta di pubblicare due post mensilmente, ma purtroppo il mio perfezionismo è, molto spesso, un'arma a doppio taglio. Cercherò di essere più rigorosa, ma non posso promettervi un'assiduità certosina. Continuerò a pubblicare i miei pensieri anche qui, però. Se potessi scegliere, vorrei raggiungere la simmetria assoluta, ma non soltanto quando si tratta di lineamenti o proporzioni fisiche.

Trovo difficile "essere felice".
Tantissime persone intorno a me sanno accontentarsi di poco: per loro, un raggio di sole, un gelato, un sorriso o una chiacchierata fra amici bastano a illuminare una giornata pesante, anche se solo per un attimo. Io, purtroppo, non sono mai stata così. Ho un rapporto molto particolare con il termine "gratitudine" perché mi è stato imposto come una sorta di ricatto fin da bambina.
Secondo la Treccani, questo termine significa "sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare", ma frasi come "Devi essere felice!", "Non ti manca nulla!", "Sei proprio un'ingrata." o "Smettila di essere così egoista!" echeggiano e rimbalzano fastidiose nella mia testa e faccio fatica a lasciarmi andare e a godere di una giornata spensierata.

Nell’anticamera del mio cervello ci sono spesso pensieri negativi che si insinuano come piccole formichine nelle fessure socchiuse del mio inconscio, solitamente senza un motivo preciso, quotidianamente nei periodi più difficili.

La mia natura è abbastanza cinica e pessimista, anche se il più delle volte cerco di motivarmi per raggiungere i miei obiettivi e non disperare. Gli inguaribili ottimisti e quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno a prescindere, però, mi stancano terribilmente e dopo una giornata di vibrazioni positive solitamente sono esausta.
Nonostante ciò, sono molto brava a camuffare il mio lato ombroso in pubblico e molto spesso, se sono in vena, posso essere una delle persone più scherzose e divertenti nella stanza. Considero il mio "io" pubblico una sorta di maschera che indosso per far sentire gli altri a proprio agio e perché l’educazione ha sempre avuto un forte impatto sulla mia infanzia, ma il mio spirito critico e tendenzialmente fatalista non mi rende la vita facile.

Questo è un periodo difficile e sto cercando di vedere la luce in fondo al tunnel, di andare in palestra, di scrivere i miei pensieri sulla carta stampata e di liberarli dal loro domicilio cerebrale, di imparare ricette nuove. Cucinare per me è sempre stato invitante come camminare a piedi nudi sulle braci ardenti, ma ho scoperto che ha un che di catartico.
Ho cercato di uscire dalla cosiddetta comfort zone e pensare a parole che emanano positività, come "sole", "mare", "luce", ma anche "felicità", "positività" e "gioia", ma mi è venuta l'orticaria.

Andare in palestra aiuta. Un pochino.
Il telefono mi distrugge, ma ne sono dipendente.
La creatività aiuta, ma si macchia di nero nelle giornate no.
Stare a letto non aiuta di certo, ma ogni tanto il dolore è un posto confortevole dove rifugiarsi.

Una cosa è certa: la vita va, deve andare avanti. Il sole ricompare. Porto pazienza.

Argomento Riflessioni

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