Albedo Newsletter - N°20
Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.
La prima è una sorta di editoriale;
la seconda è un consiglio di lettura;
nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;
la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;
l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.
Abbiamo smesso di viaggiare per davvero
Maximilien Luce - Mericourt, Bathers and Divers [1936]
L’estate che è appena trascorsa passerà alla storia come quella dove anche in Italia, finalmente, è esploso il dibattito sul sovraffollamento turistico. Nei consigli di lettura a questo numero troverai gli articoli e i punti di vista che mi sono parsi più interessanti. Molti di essi sono pieni di dati, informazioni e commenti utili per tracciare il contorno della questione, tra chi dice che il turismo è una risorsa indispensabile e chi, viceversa, sostiene che quello di prossimità è l’unico turismo sostenibile per il pianeta. Bene, in questo Albedo, più che aggiungere altre cifre o analisi alla discussione, cercherò di prenderla da un punto di vista un po’ sottovalutato, ma che forse ci dice molto su che tipo di società stiamo vivendo, e che tipo di meccanismi mentali e culturali ci sono dietro l’Antropocene, ovvero l’epoca in cui l’uomo sta assumendo il ruolo di agente geologico capace di ridisegnare le geografie del pianeta.
Partiamo dunque da una domanda. Cosa significa viaggiare nel 2024 rispetto a viaggiare sessanta anni fa? O a viaggiare dieci secoli fa? O venti? Insomma come è cambiata nei secoli l'esperienza di viaggio? Su Rivista Studio Ferdinando Cotugno scrive (Opens in a new window) che oggi non esiste una gran differenza tra viaggiatore e turista: è vero che il primo ha potuto dedicare più tempo a leggere, prepararsi, comprendere lo spirito del posto che visita, mentre il secondo non può farlo a causa di una condizione economica e sociale e di un lavoro sfibrante che non lo permettono; da questo punto di vista viaggiare è da persone agiate e colte, essere turista invece è per chi ha un lavoro salariato. Tuttavia oggigiorno viaggiatore colto e turista salariato sono accomunati da molte cose. Spostarsi in un altro paese non è quasi mai un’azione a emissione zero; e sia nel primo che nel secondo caso esiste un impatto sulla comunità locale di arrivo, e sulle risorse che questa ha a disposizione. Viaggiare al tempo del realismo capitalista è un’operazione estrattiva, sempre.
Tutto vero. Cotugno ha ragione. Eppure tra le righe di questa critica capitalistica, dietro queste due idee di viaggiatore, c’è sempre un certo tipo di spostamento. Per capire meglio cosa intendo, vediamo cosa è, e soprattutto cosa è stato viaggiare per l’essere umano.
C’è qualcosa di innato e di inspiegabile, ma allo stesso tempo di spaesante e stupendo, che ci spinge a viaggiare. Non è un caso che il tentativo di comprendere questa inquietudine abbia dato inizio alla letteratura occidentale (Odissea) e, prima ancora, alla letteratura mondiale (Epopea di Gilgamesh). In una famosa citazione di Blaise Pascal ripresa da Bruce Chatwin, il matematico francese sostiene che tutta l’infelicità dell’uomo proviene da una causa sola: non sapersene stare quieto in una stanza. Secondo Pascal nel corso dei millenni l’uomo, “umanizzandosi”, cioè diventando quello che è adesso, ha acquisito insieme alle gambe un innato istinto migratorio, un impulso a varcare lunghe distanze durante l’alternarsi delle stagioni. Cambiamento di moda, di cibo, di amori e paesaggi: ne abbiamo bisogno quasi quanto l’aria che respiriamo.
Eppure, da Gilgamesh a Ulisse passando per le spedizioni coloniali e successivamente quelle scientifiche, per arrivare fino ai giorni nostri, l’esperienza di viaggio è cambiata nel tempo. Ma come? Cosa è mutato rispetto al passato? Il libro La mente del viaggiatore di Eric J. Leed (Il Mulino) mi aiuta a rispondere a questa domanda. Ma prima di parlare di cosa sia mutato, cerchiamo di descrivere invece cosa è rimasto inalterato.
Nei secoli dei secoli, viaggiare ha significato sempre, e continua a significare tutt’ora, entrare in contatto con una maggiore diversità; cose, persone, culture, piante, animali, geologie, architetture: viaggiare è avere accesso a una gamma più vasta di differenze. E questo, insieme alla capacità di saperle osservare (qualità tanto fondamentale quanto rara), ha iniziato a essere sinonimo di un maggiore livello di coscienza. A partire dal quindicesimo secolo chi viaggia è considerato un individuo più consapevole di chi non lo fa.
Altro elemento imprescindibile, vera e propria essenza del viaggio, è il movimento. La dinamicità dell’esperienza di viaggio stravolge l’universo percettivo di chi è in transito. È come se il fluire continuo dello spazio e del tempo, il nostro camminare attraverso il mutamento dell’ambiente che ci circonda, permetta una conoscenza delle cose - né migliore né peggiore - ma certamente di natura diversa rispetto al solito. Genera pensieri e sensazioni peculiari, sostiene Leed. È un po’ come fissare un paesaggio che sfila via dal finestrino di un’auto in movimento: ci sono cose in lontananza che sembrano fisse, come ad esempio quella montagna sullo sfondo, altre cose che invece mutano rapidamente, come quest’albero qui vicino, altre ancora che mutano lentamente, come quel bosco. Chi viaggia si trova immerso in una serie di riferimenti fissi e altri in movimento che dialogano tra loro, e il movimento permette di visualizzare meglio i rapporti che ci sono tra le varie informazioni e i vari oggetti con cui si entra in contatto. Le cose si capiscono meglio in quanto è più facile dare loro una forma complessiva. Ma questo sguardo è rivolto anche verso noi stessi: finalmente parti nascoste del nostro io vengono alla superficie: “non imprendo questo viaggio meraviglioso per ingannare me stesso, bensì per imparare a conoscere me stesso attraverso i vari oggetti” scrisse Goethe nel suo Viaggio in Italia.
Il continuo movimento quindi ha conseguenze sia sul soggetto - noi che viaggiamo - sia sull’oggetto - ciò che viviamo - mescolandoli, plasmandoli a vicenda. Il fluire unifica elementi, il soggetto, il mondo, l’azione, il passato, il presente, il futuro, che altrimenti difficilmente potrebbero essere saldati.
Tuttavia c’è da dire che nell’antichità viaggiare era, per prima cosa, una faccenda da uomini. Solo gli uomini viaggiavano (in questo il turismo di massa è abbastanza femminista). I re, gli aspiranti re, gli eroi, viaggiavano principalmente per confrontarsi con il mondo, misurare così il proprio valore e rivelare il proprio destino. Questi viaggi, come quello del sovrano Gilgamesh, servivano per un motivo preciso: abbattere il tempo e consacrarsi di fronte all’eternità. Insomma: sfuggire alla morte. Per i più sfortunati, invece, i viaggi erano forzati, provocati dalla necessità, o dal disastro o dal crimine, o dalla violazione di una norma (Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso; le migrazioni o l’esilio di interi popoli). Ma al di là di tutto, la partenza degli uni quanto quella degli altri aveva in comune una cosa, che è un’altra cifra essenziale di ogni viaggio: l’essere sradicati da una contesto sociale che ci definisce, per essere gettati verso l’ignoto.
Viaggiare era, è e sarà sempre una dolorosa esperienza di distacco. Lo esprime bene nei suoi taccuini Albert Camus: “Ciò che dà valore al viaggio è la paura. È il fatto che, in un certo momento, siamo tanto lontani dal nostro paese… siamo colti da una paura vaga, e dal desiderio istintivo di tornare indietro, sotto la protezione delle vecchie abitudini. Questo è il più ovvio beneficio del viaggio. In quel momento siamo ansiosi, ma anche porosi, anche un tocco lievissimo ci fa fremere fin nelle profondità dell’essere… Ecco perché non dovremmo dire che viaggiamo per piacere. Non c’è piacere nel viaggiare e io lo vedo come un’occasione per affrontare una prova spirituale”.
Viaggiare quindi è una prova spirituale perché ci sradica da ciò che siamo, “fa vacillare le coordinate che ci rendono familiare il mondo”, ho scritto nello scorso numero di Albedo (Opens in a new window). Sentirsi alla deriva in un luogo sconosciuto, davanti animali cose persone mai viste prima, è un’esperienza difficile. Ma in alcuni casi può anche essere appagante, soprattutto quando a lasciare gli ormeggi sono parti del nostro vissuto sociale che detestiamo. Il flusso del viaggio è anche questo: il suo anonimato, la vita nuova che sembra promettere, ci liberano finalmente dall’odio che proviamo verso le parti più fastidiose di noi stessi, i vuoti più difficili da digerire. Leed menziona l’esempio di Alexander Kinglake, omosessuale inglese che subì la tirannia della borghesia vittoriana, per il quale viaggiare nell’oriente ottomano rappresentò una “metafora di libertà”.
Oggi tutto ciò sta cambiando. Sicuramente nei numeri: oggi il 20% della popolazione mondiale si sposta internazionalmente (Opens in a new window) (1,46 miliardi di persone), nel 1950 lo faceva solo l’1% (ovvero 25 milioni di persone). E di conseguenza anche negli impatti ecologici. Esiste un’altra postura mentale che mina questa esperienza spirituale, spaesante e allo stesso tempo terapeutica, limitando fortemente ciò che il viaggio è stato in passato: l’ossessione per il controllo. I voli, gli alberghi, gli itinerari su Tripadvisor (“la SEO universale delle dieci cose da non perdere” scrive Cotugno): oggigiorno l’atto del viaggiare è pervaso da un tentativo diffuso di controllo. Al primo imprevisto si genera lo stress. Quando per casualità perdiamo l’aereo ci sentiamo smarriti. Gli avanzamenti della globalizzazione in tema di mobilità ci fanno pensare di poter arrivare ovunque, di poter esplorare con facilità tutti i luoghi del pianeta, eppure la maggior parte del turismo globale si concentra (Opens in a new window) nel 10% delle destinazioni al mondo. E il restante 90%? La verità è che oggi il livello di paura e sradicamento che riusciamo a sopportare, viaggiatori o turisti, si è drasticamente ridotto. Viaggiare sì, purché però all’interno dei limiti di una zona governabile. Eppure viaggiare insegna a camminare a ridosso di questi limiti, attraversarli come fossero sentieri.
D’altronde controllo, igiene e standardizzazione sono principi cardine del capitalismo. Spesso diciamo che amiamo viaggiare perché così ci sentiamo liberi, crediamo che viaggiare sia il massimo della libertà di scelta, ma in realtà nei viaggi del passato avveniva l’esatto opposto: spostarsi in luoghi lontani e sconosciuti assoggettava i viaggiatori all’imprevedibile, negando così la volontà individuale e qualsiasi forma di controllo. La camera prenotata tre mesi prima su Airbnb, il pullman a due piani che permette di avere sotto mano tutte le maggiori attrazioni della città, il pacchetto all-inclusive, così facendo viaggiare perde una sua caratteristica fondamentale: la paura della perdita, il mistero dell’ignoto di fronte a noi. In questo modo l’esperienza si depotenzia, si converte in un surrogato annacquato di quello che era. Quello che rimane nel viaggio contemporaneo è la copia imbellettata di ciò che era un tempo.
Il risultato è che il turista odia tutti gli altri turisti, perché in realtà è troppo doloroso ammettere di odiare se stesso, o meglio odiare il sistema in cui è immerso e che gli permette comodamente di spostarsi e visitare. Siamo tutti turisti incapaci per davvero di smarrirsi, e di vivere la vita per quello che in realtà è: un flusso ininterrotto di passato presente futuro in cui il nostro potere decisionale è soggetto a forze umane e non umane, interne ed esterne, perlopiù a noi sconosciute.
Albedo di settembre finisce qui. Questo numero è stato fortemente influenzato dal fatto che il suo autore questa estate non ha fatto alcun viaggio, è rimasto nella calda e afosa Roma a leggere di viaggi altrui e di opinioni sull’overtourism. Lo ha fatto con piacere, come puoi capire, ma nemmeno poi tanto. Se vuoi raccontare la tua sulla questione, oppure vuoi parlarmi del luogo isolato dove sei stato in viaggio fammelo sapere alla solita mail (sebastiano.santoro@duegradi.eu (Opens in a new window)). Anche se hai trovato dei modi alternativi di viaggiare in modo sostenibile. Ci sentiamo il mese prossimo. Ciao!
Consigli di lettura
Questo mese consigli di lettura ed editoriale monotematici. Su Linkiesta (Opens in a new window) un articolo per capire gli impatti climatici e ambientali del settore turistico.
Pagella politica (Opens in a new window) smonta il falso mantra de “il turismo traina l’economia del paese”.
Anche perché il potere d’acquisto di chi lavora nel settore diminuisce (Opens in a new window) di anno in anno.
E invece nelle città più turistiche per chi ci vive il prezzo degli affitti aumenta (Opens in a new window).
Cosa succede invece nei piccoli centri? Un reportage di Internazionale (Opens in a new window) su un paesino della val d’Orcia.
Il punto è che dietro il sovraffolamento turistico c’è la concezione (stra mega iper capitalista) che alcuni spazi pubblici sono fruibili solo per il consumo (Opens in a new window). In questo episodio del podcast Globo Filippo Celata lo spiega bene.
Gli ultimi articoli di Duegradi
Nel penultimo numero della rubrica Energie, Diego Michielin scrive del solare e dei suoi utilizzi (Opens in a new window).
Stefano Cisternino analizza il futuro della politica verde europea (Opens in a new window) dopo la formazione del nuovo Parlamento europeo.
Per chiunque si stia chiedendo cosa sia la AMOC, perché si parla spesso del suo punto di non ritorno, ed effettivamente se sia vero o no, c’è questo articolo (Opens in a new window) di Chiara Galeotti super chiaro e super esplicativo. Ah, questo è anche il suo primo articolo su Duegradi, quindi: benvenuta!
A proposito di primi articoli, non è il suo primo articolo su Duegradi, ma Marta Abbà ha appena inaugurato una nuova rubrica, si chiama Clima da copertine. Non voglio spoilerare nulla, ti linko (Opens in a new window) solamente il primo numero e ti dico che è davvero un prodotto editoriale che vale la pena seguire.
Lavoro e formazione
Scade a breve, ma a Milano il CMCC sta cercando una figura (Opens in a new window) da integrare al team fundraising.
La Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco sta assumendo in una serie di posizioni (Opens in a new window).
Riflessi: qualche numero dal pianeta Terra
33%
della generazione elettrica globale nel 2024 proviene da fonti rinnovabili come eolico, solare e idroelettrico, segnando un aumento significativo rispetto agli anni precedenti.