MAPPA CONCETTUALE - FRANCESCO CRISPI: dalla DITTATURA PARLAMENTARE ad ADUA
Il 29 luglio 1887 Agostino Depretis, presidente del Consiglio ed illustre esponente della Sinistra Storica, muore mentre è ancora in carica. Finisce così l’ultimo governo Depretis, l’ottavo. Umberto I nomina al suo posto il ministro dell’interno, esponente anche lui della Sinistra Storica e primo uomo del sud a ricoprire questa carica nell’Italia unita: Francesco Crispi. Sarà uno degli eroi del Risorgimento a guidare il Regno d’Italia per quasi 10 anni. Come politico Crispi condivide l’idea bismarckiana dell’“uomo forte”, approvando le idee nazionaliste e colonialiste. Grazie al supporto del re, per la prima volta dall’unità, Crispi assume, oltre la carica di presidente del Consiglio, anche quella di ministro degli interni e degli esteri. Usando questo enorme potere, Crispi, durante il suo primo mandato, avvia una grande campagna di riforme che sarebbe terminata nel 1891. Viene approvato un nuovo codice penale progettato dal Ministro di Grazia e Giustizia, il Codice Zanardelli: la pena di morte viene abolita; viene riconosciuta la libertà di sciopero e finalmente tutte le leggi del Regno vengono uniformate. La deriva autoritaria è dietro l'angolo dato il vasto potere concentrato nelle mani di Crispi. In questi anni aumentano le azioni repressive contro irredentisti, sindacati e associazioni cattoliche. In questo periodo tumultuoso Crispi tenta di riconciliarsi con i cattolici
approfittando di un cambio al soglio pontificio. Nel 1878 Pio IX era uscito di scena lasciando il posto a Leone XIII, un pontefice più aperto al dialogo. L’Italia per prima cosa si inserisce negli affari interni dell’Etiopia, supportando l’elezione del nuovo negus Menelik II il 10 marzo 1889. Pochi mesi dopo viene firmato, il 2 maggio, il Trattato di Uccialli: Menelik II riconosce i possedimenti dell’Italia in Eritrea e il protettorato italiano sull’Etiopia e sulla Somalia. L’espansione coloniale italiana nel frattempo non si ferma: nello stesso anno l’Italia ottiene il protettorato sui sultanati di Obbia e Migiurtinia, in Somalia, aumentando il controllo sul Corno d’Africa. Nel 1891 però, davanti ai costi delle imprese coloniali e al malcontento interno per l’aumento delle tasse, la maggioranza di governo si sfalda e così, il 31 gennaio, Crispi è costretto a dimettersi. Il 15 maggio 1892 è il turno dell’ex ministro del Tesoro di Crispi ed esponente della Sinistra storica. E’ il momento di Giovanni Giolitti. Il primo governo Giolitti però sarebbe andato in crisi per due ragioni: una sociale e l’altra economica. Tra il 1891 e il 1894 i contadini e gli operai siciliani, esasperati dalla tassazione elevata e dalla crisi dell’industria dello zolfo, imbracciano le armi: ha inizio una sommossa. Il secondo scandalo, mortale per il governo, è quello della Banca Romana. Dopo la fine rovinosa di Giolitti viene richiamato Crispi, visto come l’uomo forte disposto alle forti azioni necessarie per gestire la situazione. Di fronte a questa linea dura i socialisti, i repubblicani e i radicali iniziano ad organizzarsi in un vero fronte di opposizione. Alle elezioni del 1895 i socialisti prendono il triplo dei voti: la politica di Crispi non solo non ha funzionato, ma ha aumentato la forza dei partiti radicali. La tensione sociale dopo le elezioni è altissima, la crisi politica è alle porte ma Crispi ha un’ultima carta da giocare: il colonialismo. Lo scontro decisivo è ad Abbà Garimà, vicino Adua, il primo marzo 1896: 16 mila soldati italiani vengono spazzati via da 70 mila combattenti etiopi. La disfatta di Adua è troppo umiliante: Crispi è costretto a dimettersi lasciando a Rudinì l’amaro compito di firmare una pace con il negus. Crispi non sarebbe mai più tornato in politica, finendo nel sangue un governo di ferro e repressione feroce, aprendo le porte ad una nuova generazione di ambiziosi parlamentari come Giovanni Giolitti.
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