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LA NEWSLETTER SETTIMANALE DI ANDREA BATILLA

COME JONATHAN ANDERSON DISTRUGGERÀ DIOR

Nel 1970 Marc Bohan, allora direttore creativo di Dior, lancia la linea maschile Dior Homme, aggiungendo un pezzo fondamentale al mondo del brand. Ai tempi la Christian Dior era ancora nelle mani di Boussac, quello che l’aveva creata insieme a Christian, ma da lì a poco, nel 1978, il gruppo sarebbe finito in bancarotta.

Bernard Arnault la compra per un franco nel 1982 e mette alla direzione creativa Gianfranco Ferrè nel 1989. Da quel momento le sorti delle collezioni maschili e femminili si affiancano debolmente fino all’arrivo di Hedi Slimane nel 2000 che da una svolta identitaria al menswear, separandolo in maniera netta dalla parte femminile, all’epoca disegnata da John Galliano. Hedi cederà il posto a Kris Van Assche nel 2006, per essere poi sostituito da Kim Jones nel 2018.

Dal 2000 a oggi, momento in cui la direzione creativa di Dior uomo e donna è passata nelle mani di Jonathan Anderson, sono sostanzialmente esistiti due marchi diversi che si chiamavano con lo stesso nome, una cosa non del tutto inconsueta per LVMH che ha adottato questo sistema anche per Louis Vuitton.

Negli ultimi tempi però la stella di Dior, il brand personale della famiglia Arnault, ha cominciato ad appannarsi, arretrando sul mercato e soffrendo di ripetitività.

In questo scenario ha senso riflettere su cosa voglia dire la scelta di Jonathan Anderson per la direzione creativa delle collezioni uomo e donna.

Innanzitutto il designer nordirlandese è in giro da un pò. Ha fondato il suo brand nel 2008 ed ha avuto il timone di Loewe nel 2013. Ha una grande esperienza ma è di fatto anagraficamente piuttosto giovane, avendo 40 anni.

Questo vuol dire che è in sintonia con il presente, esattamente come Matthieu Blazy che da Chanel sarà il suo vero grande rivale. Entrambi condividono un’amore ossessivo per l’oggetto, un’attenzione millimetrica alla costruzione del prodotto ma anche una apparente mancanza di narrazione nelle collezioni, che non hanno temi ma suggeriscono riflessioni.

Proprio questa differenza metodologica è la caratteristica che distingue Anderson e molti designer della sua generazione da Chiuri, per esempio. Ed è fondamentale.

Prendete l’uscita 22 della collezione SS 25 di Loewe, un abito corto azzurro tagliuzzato, e mettetela vicino all’uscita 47, una camicia di popeline bianca con un fiocco e una gonna pareo in chiffon stampato a fiori. Non esiste nessun elemento in comune. Se invece guardate una qualunque collezione di Pierpaolo Piccioli per Valentino noterete quanto ci sia un tema che scorre in maniera visibile in tutti gli abiti della sfilata, colori e forme che si ripetono e rendono riconoscibile il suo lavoro. 

Lavorare su un singolo oggetto, invece che su un tema, è una scelta narrativa estremamente precisa, una metodologia che la moda ha imparato in tempi piuttosto recenti.

Al principio esistevano solo collezioni a tema. Dalla orientale di Poiret agli inizi del secolo fino alla mitica Anni ’40 di Saint Laurent del ’71, per rendere comprensibile il messaggio di innovazione a masse indistinte di compratrici non esattamente intellettuali era fondamentale lavorare su un unico concetto e renderlo estremamente visibile. Fino a tutti gli anni ’80 ma in larga parte anche oggi, le collezioni ricevevano in maniera ufficiale o non ufficiale dei nomi che corrispondevano ai temi a cui erano ispirate, essendo in questo modo facilmente raccontabili, organizzabili, editabili, fotografatili e vendibili. E soprattutto non correndo il rischio di confonderle con le precedenti e spingendo le compratrici verso una continua rincorsa del pezzo nuovo.

Questa modalità narrativa corrisponde alla favola con la morale di Esopo perché oltre ad essere comprensibile anche a un bambino di 6 anni è consolatoria, chiara, pacificatrice. Tematizzare vuol dire rendere accessibile ma anche costruire storie di cui si capisce il senso, a cui ci si sente vicini e che, in genere, finiscono bene. Ovviamente io non ho niente contro le favole che sono probabilmente uno degli strumenti narrativi più antichi e più efficaci ma quando i tempi cambiano c’è bisogno di storie un pò più complesse.

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Kategorie POST SETTIMANALI

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