🪄🤶🏻Giorno 24 - Quattro mesi
Questa mattina di vigilia ti proponiamo un racconto inedito che ha risposto alla nostra call natalizia! 🪄🪄
Il testo è stato scritto per noi da Angelo Antonio (@angelo_o_antonio su Ig), porta il titolo Quattro mesi.
Buona lettura! 🪄
« – Tra quattro mesi morirà. Vedremo passare gli incappucciati, i luttuosi in primavera. In piena estate, sua madre salirà al cielo, e poi eccolo rinascere di nuovo. Nel mezzo, tutti i santi passeranno, anche quelli con i nostri nomi. Ogni anno. Che noia.
Nino aveva sussurrato al mio orecchio, ma parlava abbastanza forte da essere sentito. Eravamo radunati davanti al presepe: zii, cugini, e la nonna, accanto a me. Alessandro, il più piccolo, stringeva tra le mani il Bambinello, con gli occhi fissi sulle luci colorate. Un coro di voci si levò quando, aiutato da zia Anna, sistemò il pastore nella culla. – Bravo! Buon Natale!.
Io, invece, fissavo Nino.
– Stai zitto, almeno questa volta. Sei infantile.
Lui scrollò le spalle con il suo solito sorriso.
– Il Natale è diventato noioso – disse a bassa voce, ma non abbastanza.
– Dovrebbero sospenderlo per cinque anni. Forse allora tornerebbe a piacerci.
Dietro di me, la nonna mi prese per il polso. Un lieve strattone, come per spegnere una lampada a scatto: un rimprovero alla cugina più grande, la più responsabile, l’unica nipote che condivideva i segreti degli adulti.
Nino era sempre stato il provocatore della famiglia. Da bambini, sabotava il presepe infilandoci i suoi giocattoli: Baldassarre a cavallo di un diplodoco, un serpente avvolto intorno alla Vergine. Ogni volta, aspettavamo che la nonna se ne accorgesse per poi scoppiare a ridere e fuggire in tutte le direzioni. Lei finiva sempre per perdonarlo. Aveva vent'anni e uno spirito impertinente affinato dai libri. La nonna, insegnante di letteratura in pensione, gli aveva passato tutti romanzi che aveva amato. Si era poi iscritto a Filosofia. Si divertiva a istigare contro la tradizione, il buonsenso, il decoro piccolo borghese della nostra famiglia, come di tutte le altre nel paese. Per gli zii era un fesso, insopportabile, un buon a nulla.
– Épater les proches. Non ci vuole granché, gli dissi, trattenendo la rabbia.
– Lascialo stare, vive sulla luna. Non vedi quanto si è fatto pallido? Gli serve un Astolfo.
Mio cugino sorrise. Amava questi piccoli scambi letterari con la nonna, credeva che gli altri non riuscissero a coglierli.
– Francesca, vuoi essere il mio Astolfo?
Il turno dei baci e degli auguri sembrava non finire mai. Mentre gli zii reclamavano un abbraccio dalla nonna, vidi Nino attraversare il salone, con aria evasiva, dirigendosi verso la cucina. Mi alzai e lo seguii, lasciando alle spalle il presepe e il chiasso della famiglia. Quando entrai, la porta si era richiusa alle mie spalle. Dall’interno, il suono ovattato delle voci ricordava l’atmosfera di festa, una messa in scena irresistibile. Da questo lato della parete, la muta verità degli adulti era solo un guscio vuoto in cui risuonava la gioia infantile. Lo avrei riportato sulla terra. Tra quattro o cinque mesi morirà. Vedremo passare gli incappucciati, saremo noi luttuosi in primavera.
Non so quanto tempo restammo lì, immobili. Nino non mi guardava, il suo viso era pallido, il sorriso scomparso. La nonna apparve poco dopo. Aveva i capelli leggermente in disordine, strapazzata dall’affetto dei figli, commossa dall’allegria dei nipoti che scartavano i regali. Guardò il volto impietrito di mio cugino e capì cosa avessi fatto. Si avvicinò a lui e lo abbracciò. Si tenevano in silenzio, tra il baccano delle risate dei bambini e della carta da regalo strappata nella stanza accanto. Io ebbi per un attimo la forza di guardarli, cercando perdono.
– Pro bono malum – mormorò mia nonna.
Poi si staccarono, e lui alzò gli occhi verso di lei. Il sorriso era tornato, beffardo e nuovo, sopra un paio di occhi lucenti, come un acciaio privo di qualunque macchia».