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VOL. 3 - CORPI IN RIVOLTA

UTERO

TW: salute sessuale e riproduttiva, maternità, malattia

anatomia sartoriale di MARZIACALYPSO

UTERO IN AFFITTO - feffa mangano

Metto il mio utero in affitto, ma solo per smetterla di usarlo – o almeno per un po’.

Se qualcuna lo usa al posto mio, nel frattempo io atto – che so – un utricolo, il corrispettivo maschile che, fino a poco fa, non sapevo cosa fosse. Mi ha aiutata uno di quei siti dove mi hanno vietato di accedere quando penso di aver qualche malattia incurabile o – che so – un cancro terminale.

E poi, però, cosa me ne faccio?

Non lo posso vedere il mio utero, ma quando lo metterò in atto dovrò allegare una foto ben dettagliata che possa mostrarne ogni caratteristica. Dovrà essere l’utero più bello di tutti – da centomila cuori su Instagram – pronto per finire sulla copertina di una rivista di moda.

Me ne vorrei disfare il prima possibile, per non sentire più il peso della mia vocazione alla maternità. Fateli voi, i figli, che io vi atto il mio utero.

Non chiedo molto - giusto una retribuzione per arrivare a fine mese - per compensare il vuoto per la mancanza del mio utero.

Metto il mio utero in affitto: si richiede serietà, cura e pulizia, anche la professionalità è ben accetta.

No perditempo.

Ps: che non vi venga in mente di lasciare a me ciò che dal mio utero si genera!

TREDICIANNI - bea forlini

dover strizzare gli occhi per un sole che comunque qui è sempre ventoso, a fine giornata chiudersi la felpa e avere l’aria della sera sulle guance. voler andare a correre sotto gli irrigatori accesi ma alla fine non farlo quasi mai, sovrastati dallo sguardo degli adulti.

(quante volte gli siamo sfuggiti
e comunque ora non possiamo dirci superstiti)

con gli amici della montagna che erano sempre meno bambini di noi, e facevano i fieni e guidavano l’ape-car. dell’estate che eri venuta abbiamo ancora delle foto sedute su una staccionata, è strano ma non ne ricordo molto. eppure per me sei sempre stata stagliata su quel pezzo di cielo insieme al profilo della montagna. la Cima Longhede e la Becca d’Aver le ho sempre viste come una stessa vetta specchiata, come due gemelle speculari che si davano le spalle. noi a un certo punto (credo alle medie) abbiamo smesso di chiamarci sorelle ma non di sentirci così. darci le spalle non lo abbiamo mai fatto, ma quanto è bello che non guardiamo più nella stessa direzione.

ieri mi hai chiamata piangendo, ora ti scrivo per chiederti quando sia stato il mio menarca. eravamo insieme quando a Sofia era venuto in quinta elementare, che avanzava verso la cattedra con i pantaloni bianchi macchiati. invece quando era successo a me ero da sola a Semon, nel pomeriggio avevo mangiato un sacco di albicocche e credevo il mal di pancia fosse per quello. poco dopo aver scoperto il sangue ero andata dal papà (che era in piedi nel prato) per dirglielo, ricordo in quel gesto una certa fierezza ma non cosa volessi da lui. con tua mamma tu parlavi di corpo e di ragazzi, io il mio me lo trascinavo negli anni come un mistero o come un peso, o con indifferenza. ora so che non avrei mai imparato a vivermelo senza potertelo nel frattempo raccontare, senza averti (tu tessuto connettivo) nei legamenti tra le vertebre e nelle ginocchia.

illustrazione di MARLAMU
Tópico Fanzine - volumi