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#4 Brixton

Sono stata a Brixton per la prima - e per ora unica - volta ad agosto scorso. Ho aspettato molto, ma non troppo, credo. Da quando ho letto Queenie di Candice Carty-Williams ormai tre anni fa, la curiosità era diventata incontenibile.

Brixton è uno dei quartieri che più incarna quei contrasti che rendono Londra… beh, Londra. Intanto, localizziamolo. Si trova a sud del Tamigi e probabilmente deve il suo nome a Brixi, un lord sassone autoproclamatosi proprietario di quest’area. Come per altre zone della città, sono stati poi l’Ottocento e soprattutto il Novecento a definirne il carattere. Brixton è passata da essere una zona rurale, nell’Ottocento, a quartiere working-class negli anni Venti per poi trasformarsi nella zona caraibica, riferimento della Black Culture non solo londinese, ma di tutta la Gran Bretagna.

Sono stati i ponti sul Tamigi a cambiare le sorti dell’area, connettendo il nord e il sud della città. Prima Westminster Bridge nel 1750, poi Blackfriars Bridge, nel 1769; ma il più impattante è stato il ponte di Vauxhall che, costruito nel 1816, ha reso Brixton un vero e proprio quartiere, con un centro, belle case e una chiesa, fulcro della comunità. Brixton stava diventando una tranquilla zona residenziale molto ambita, almeno fino all’arrivo della ferrovia: la nuova stazione ha portato importanti cambiamenti, trasformandola da luogo di richiamo per le famiglie benestanti, a sobborgo sempre più popolare. Popolare sì, ma anonima mai. Intorno alla stazione si sviluppa il centro nevralgico del quartiere, che è molto riconoscibile anche oggi. Lì, ad esempio, si trova Electric Avenue; la strada commerciale più simbolica della zona, mecca dello shopping di South London di inizio Novecento, deve il suo nome al fatto che è stata una delle prime vie della città a essere illuminata con luci elettriche. Shopping, teatri, Brixton aveva molto da offrire ai londinesi, almeno fino alla seconda Guerra Mondiale: dalla fine degli anni Quaranta il quartiere ha definitivamente cambiato il proprio destino.

I primi migranti sono arrivati appunto alla fine del decennio ma diventerà poi la casa di molte persone arrivate in Inghilterra anche successivamente, definendo Brixton come il quartiere più multiculturale; le comunità africana e sud caraibica rappresentano circa il 25% della popolazione di quest’area che, come dicevo poco fa, è riferimento assoluto della Black British Culture, ma qui hanno trovato ospitalità anche altre comunità internazionali (mia nota personale: sarebbe bello indagare sulla distribuzione delle diverse comunità sulla mappa di Londra). Il volto della zona è cambiato: la ricchezza culturale si è ovviamente espansa ma è sfociata anche in gravi problemi dovuti soprattutto alla povertà, una tensione cresciuta esponenzialmente fino a esplodere in violenza, persecuzioni, rivolte che, ancora una volta, hanno ridefinito Brixton. L’apice è stato negli anni Ottanta, durante i quali c’è stato un vero e proprio accanimento della polizia contro la comunità nera: sono fatti noti, tristemente non ne siamo mai usciti e Brixton ne è stata colpita duramente. Per fortuna, però c’è anche un aspetto positivo: Brixton ne è uscita a testa alta, sviluppando un orgoglio, un’indipendenza e un carattere che conserva ancora oggi, anche se con qualche minaccia a causa della gentrification, ormai inarrestabile.

Sottoculture, arte, musica, la vita e la vitalità di questa parte di Londra sono conosciute a tutti e se per molto tempo il consiglio era di starne lontani, oggi è estremamente accogliente e ancora autentica. Colpisce, secondo me in modo quasi commovente, per l’ostinata e palese volontà di non trasformarsi. L’impatto è di una Londra diversa dal resto, certamente decadente per alcuni aspetti, con le sue cicatrici visibili, disordinata, ma vitale. Se avete letto Queenie però, o se lo leggerete, troverete la testimonianza - romanzata - di una ragazza che vive il cambiamento, con il terrore che la sua casa, il quartiere dove è nata e cresciuta, possa piegarsi all’inevitabile tendenza londinese di uniformare i quartieri rendendoli tutti un fiorire di bandierine colorate, Joe & The Juice, Waitrose e varie catene che si trovano in qualsiasi angolo della città. I costi delle case si sono alzati e si stanno alzando e questo mette in difficoltà gli abitanti che, appunto, hanno messo radici alla fine degli anni Quaranta, succedendosi poi di generazione in generazione; dall’arrivo della nave Empire Windrush - a cui è intitolata la principale piazza di Brixton, Windrush Square - in avanti, la comunità si è costruita e rafforzata. C’è un passaggio del romanzo Queenie che rende bene l’idea della trasformazione in atto:

Passammo da dietro il mercato. Invece dei banchi di frutta e verdura dove mi trascinava la nonna il sabato mattina e che pensavo di riconoscere ancora, ne uscivano fuori ragazzi bianchi con in mano lattine di birra di tutti i colori. I negozi dove lei comprava il pane speziato e quel formaggio arancione che ci concedevamo la domenica pomeriggio, i banchi di tessuti dove acquistava la stoffa per le tende, i negozi “tutto a una sterlina” dove ero autorizzata a prendere una cosa soltanto – erano tutti spariti, per far spazio a bar vegani alla moda e boutique indipendenti che vendevano abiti da uomo a prezzi allucinanti. Quando era accaduto? Quando era sparito quel luogo che conoscevo come le mie tasche, l’unico al mondo dove sentivo di poter essere me stessa, in cui c’erano tante persone come me e che parlavano come la mia famiglia, in che momento era finito tutto questo? Quand’è che Brixton era stato privato della propria identità?

Vale qualcosa la mia esperienza? Non lo so, ma sono arrivata a Brixton con il timore di trovarmi davanti esattamente questo: i cocci di una storia calpestati da hipster biondi benestanti. Sorpresa: non è andata così. Ci sono capitata di mattina, in bus, con il ciondolare insicuro tipico della turista e nel giro di pochissimo mi sono ritrovata tra i banchi del mercato. Brixton è un luogo estremamente ospitale e accogliente, fiero della propria storia e capace di portarla avanti abbracciando la contemporaneità. Ci sono gli ambulanti, così come sono incappata in un Black Culture Market che ospitava giovani artigiane e artigiani.

Mi sono sinceramente innamorata di questo quartiere, mi sono sentita in una Londra autentica ed è una sensazione che difficilmente provo, quando giro per la città. Le diverse culture qui convivono, si affermano, si incastrano: la prima pizzeria Franco Manca, per esempio, ha aperto qui; ora ci sono tanti punti vendita in città, ma l’originale si trova a Brixton, allo stesso modo ci sono negozi, ristoranti e cafè di diverse altre culture, molti dei quali ancora originali. Ho letto che vogliono tutelare il patrimonio culturale e umano della zona: non so cosa significhi e in quali termini venga poi messa in atto questa volontà, ma spero davvero con tutto il cuore che Brixton rimanga Brixton, con le sue ruvidezze e bellezze, la sua tenacia e gentilezza. C’è una frase dello storico dell’arte Dan Cruickshank molto azzeccata che dice:

Brixton is a reminder that, on the whole, cities are not really about exceptional buildings, but about ordinary buildings that become extraordinary through the life lived around and through them. Above all, Brixton is about people, about their differences, and about how they can live together in creative and joyful manner.

Per quando sarà, e spero per voi al più presto, buona Brixton. Andate e abbracciate questo quartiere ancora straordinario.