Quale rapporto c’è tra storia e politica? Senza un fondamento storico non c’è autentica politica ed è impossibile occuparsi di storia eliminando la sfera politica. Nel nuovo numero di MicroMega+ gli storici Alessandro Barbero e Angelo d’Orsi, moderati dal giornalista Ettore Boffano, si confrontano sul forte nesso che lega storia e politica (“Storia e politica. Dialogo tra Alessandro Barbero e Angelo d’Orsi (Si apre in una nuova finestra)”).
Nella crisi politica e culturale della sinistra si assiste all’incapacità di distinguere reazione e progresso. È il caso dell’ala “di sinistra” dei No green pass, un movimento che secondo Stefano G. Azzarà (“No Pass: catastrofe culturale e revival del pensiero magico a sinistra (Si apre in una nuova finestra)”) esprime una concezione aristocratica e faustiana di libertà. Ovvero, un’altra faccia della vasta egemonia della destra.
Dopo gli articoli di Simona Argentieri (Si apre in una nuova finestra) e Stefano Bartezzaghi (Si apre in una nuova finestra), Valerio Magrelli prosegue la discussione sul tema del femminicidio (“Qualcuno tocchi Caino. I femminicidi e l’indulgenza verso i colpevoli (Si apre in una nuova finestra)”) spiegando come per fermare le violenze contro le donne occorrano sanzioni rigorose, un segnale forte per dire: questi reati sono intollerabili. Perché la repressione senza prevenzione è ingiusta, ma la prevenzione senza repressione è incompleta.
Nel difendere le minoranze e i loro diritti, la sinistra identitaria si fonda su una dimensione anti-illuministica e una concezione relativista dei diritti umani analoghe a quelle della destra identitaria. La riflessione di Armin Pfahl-Traughber: “La dimensione anti-illuministica della sinistra identitaria. Una critica in dieci tesi (Si apre in una nuova finestra)”.
Nel dialogo intitolato “Le rappresentazioni della laicità (Si apre in una nuova finestra)”, due storici francesi, Dominique Avon e Valentine Zuber, discutono con sensibilità molto diverse sul rapporto tra libertà individuali e collettive, sul ruolo dello Stato nei confronti dei culti e sul rapporto con l’islam.
Poco riconosciuta economicamente, nonostante la pandemia ci abbia mostrato la sua centralità, la cura è da sempre considerata “lavoro da donne”. Con conseguenze profonde sulla segregazione professionale. E se l’allarme sulla necessità di un aumento delle donne nei settori scientifici risuona da anni, altrettanto non si può dire rispetto all’assenza degli uomini dai settori umanistici (e dal lavoro di cura). L’analisi di Roberta Paoletti:“La cura, primo segno di civiltà (Si apre in una nuova finestra)”.
Buona lettura!