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Il sesto senso non sbaglia (quasi) mai

Dite la verità: quante volte vi è capitato di trovarvi in una situazione sbagliata e non avete fatto nulla per uscirne? Se a me avessero dato un euro per ogni volta in cui sentivo con ogni fibra del mio corpo che fuggire sarebbe stata la soluzione migliore e non l’ho fatto, ora probabilmente potrei permettermi la casa-scultura di Tadao Ando appena acquistata da Beyoncé e Jay Z per la modica cifra di 200 milioni di dollari. Mi capita soprattutto con le persone che incontro: checché se ne dica, la impressione conta eccome. Non tanto per quanto riguarda l’aspetto esteriore di un individuo, per il modo in cui si veste o per la sua pettinatura, perché tutti hanno il proprio stile o una giornata no e giudicare dalle apparenze è sbagliato (nonostante sia uno dei miei peccati prediletti). Intendo proprio la situazione che si prova quando si fa la conoscenza di qualcuno, quel nodo che si forma in fondo allo stomaco, nelle viscere, quando la persona di fronte a noi ci suscita disagio, o quella sensazione di calore e benessere che proviamo quando l'aura del nostro nuovo interlocutore ci avvolge in un abbraccio confortante e noi, inevitabilmente, riusciamo ad abbassare un tantino la guardia e a deporre la nostra maschera di circostanza.

Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, non ha seguito l’istinto ed è rimasto incastrato in una situazione scomoda, ignorando quella vocina, quella sensazione atavica, primitiva, che ci suggerisce chi e cosa dovremmo evitare per proteggerci.

Mi ricordo perfettamente della sensazione di profonda antipatia provata a pelle verso una ragazza durante una delle prime lezioni in facoltà a Innsbruck nel 2014, con la quale successivamente strinsi amicizia. Avrei dovuto seguire il mio istinto ed evitare di legarmi a lei in maniera più profonda e rimanere al classico “ciao, come stai?” scambiato con i conoscenti che si incontrano regolarmente nei corridoi universitari, una nuvola effimera di educazione e sorrisi un tantino forzati. L’amicizia non è sopravvissuta agli attacchi del tempo e dei cambiamenti, in questo caso unilaterali, in cui ci si imbatte alla mia età, ed è finita piuttosto male.

Lo stesso vale per tutti i miei ex: non si tratta né di decidere con il cuore né con il cervello, ma del cosiddetto “gut feeling”.

Sapevo che sarebbe finita, ma ho continuato comunque, aggrappandomi a speranze destinate a infrangersi in mille pezzi dopo il primo urto, come una vecchia vettura da rottamare, e forse anche alla pigrizia dettata dalla paura di cambiare.

Perché ignoriamo i messaggi che ci invia la nostra pancia e ci accaniamo, non ascoltiamo le nostre sensazioni fisiche, la repulsione o il fastidio, e continuiamo imperterriti a seguire percorsi sbagliati, che alla fine ci fanno male, ci facciamo calpestare, pur essendo consapevoli della nostra scelta sbagliata? Il nostro “sesto senso” è un consigliere fidato o un’arma a doppio taglio?

Spesso non ho ascoltato il mio istinto perché ho sempre cercato disperatamente di essere felice, nonostante tutti i campanelli d'allarme mi stessero trapanando il cranio con la loro brutta fanfara.

Crescendo, ho sempre trovato il concetto di felicità alquanto complicato. Tantissime persone intorno a me sanno accontentarsi di poco: per loro, un raggio di sole, un gelato, un sorriso o una chiacchierata fra amici bastano a illuminare una giornata pesante, anche se solo per un attimo. Io, purtroppo, non sono mai stata così. Ho un rapporto molto particolare con il termine gratitudine e faccio fatica a lasciarmi andare e a godere di una giornata spensierata. Nell’anticamera della mia mente ci sono spesso pensieri negativi che si insinuano come piccole formichine nelle fessure socchiuse del mio inconscio, solitamente senza un motivo preciso. La mia natura è abbastanza cinica e pessimista, anche se il più delle volte cerco di motivarmi per raggiungere i miei obiettivi e non disperare. Gli inguaribili ottimisti e quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno a prescindere, però, mi stancano terribilmente e dopo una giornata di positive vibes solitamente sono esausta. Nonostante ciò, sono molto brava a camuffare il mio lato ombroso in pubblico e molto spesso, se sono in vena, posso essere una delle persone più scherzose e divertenti nella stanza. Considero il mio io pubblico una sorta di maschera che indosso per far sentire gli altri a proprio agio e perché l’educazione ha sempre avuto un forte impatto sulla mia infanzia, ma il mio spirito critico non mi rende la vita facile.

Credo che il mio trasferimento in Irlanda sia stato un momento fatidico della mia esistenza, perché per la prima volta ho davvero seguito il mio istinto e bisogno quasi viscerale di cambiamento, che non mi ha delusa.

L'Irlanda ha rappresentato una via di fuga da un periodo costellato da disfatte sentimentali, luoghi sbagliati e fasi depressive che non mi permettevano di vivere. Ho scelto Galway per i pub accoglienti, i visi solcati dalle rughe del vento dell'Atlantico, le casette variopinte e i sorrisi cordiali.

Ho scelto Galway perché volevo stringere nuove amicizie, sorseggiare una pinta di Guinness appollaiata su uno sgabello in un locale angusto osservando un vecchio musicista suonare un bodhran. Ho scelto Galway per immergermi nel clima di festa e nelle acque dell'oceano, gelide come le chiappe di una strega.

A Galway volevo rinascere, e sotto sotto, trovare un amore vero, lancinante, di quelli che ti lasciano in ginocchio senza più la forza di respirare, di quelli che ti lacerano l'anima come un colpo di accetta, di quelli che ti stuzzicano le ferite e ti lambiscono i fianchi stuzzicandoti. Volevo un amore per cui valesse la pena aspettare, e alla fine, l'ho trovato. Ma di questo vi parlerò nei prossimi post.

Argomento Riflessioni

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