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Uscire vivi dal Romanticismo

Gianluca Didino, nel suo libro "La figura umana. Friedrich, il contagio romantico e l'apocalisse", propone una lettura raffinata e inquietante dell’eredità del Romanticismo, una corrente culturale nata oltre due secoli fa ma che ancora riverbera con forza nella nostra società. Didino attinge al concetto di "virus" tratto da "Virus della mente" di Richard Dawkins (1993), dipingendo il Romanticismo come un agente culturale contagioso, capace di insinuarsi nella coscienza collettiva e modellare, silenziosamente ma inesorabilmente, la nostra visione dell’esistenza, dell’individuo e della libertà.

Isaiah Berlin, nelle sue celebri Le radici del Romanticismo, aveva già sottolineato che questa corrente costituiva il più radicale rivolgimento mai accaduto nella storia del pensiero occidentale: una rivoluzione dello spirito dalla quale non vi è stato ritorno. Da quel punto in poi, l’intero orizzonte della coscienza umana si è ristrutturato. Didino prosegue su questa scia, sostenendo che il Romanticismo abbia innalzato l'Io a perno assoluto del cosmo, facendo dell’individualità e della libertà i nuovi paradigmi della vita umana, esasperando questi concetti fino a rendere la bulimia di esperienze infinita e inappagabile.

Una delle riflessioni centrali del libro riguarda la degenerazione del mito romantico. Originariamente, i grandi esponenti del Romanticismo – pensatori, artisti e poeti come Novalis, Byron o Hölderlin – vedevano la vita come una corsa verso l’infinito, culminante spesso in una morte precoce e tragica, l’ultimo atto di una vita vissuta con intensità febbrile. La morte, per questi spiriti elevati, non era altro che la convalida estrema della loro visione: l’unico esito coerente di un’esistenza sospesa tra la realtà e l’ideale. Tuttavia nella sua versione contemporanea il Romanticismo ha perduto questo esito tragico, sostituendolo con una tensione perpetua verso un desiderio mai colmato, un'aspirazione che non conosce fine. Ciò che resta è un desiderio perpetuo, una fame inesauribile che alimenta la cultura del consumismo, sia materiale che emotivo.

Questa trasformazione ha permesso al "virus" romantico di sopravvivere nei secoli, adattandosi e diffondendosi sotto forme nuove, più adatte ai tempi moderni. Mentre nel passato la ricerca dell’assoluto conduceva inevitabilmente al sacrificio e alla distruzione di sé, oggi questa stessa ricerca si è tradotta in un culto dell’Io insaziabile. Timothy Morton, richiamato da Didino, afferma che “il Romanticismo è consumismo; il consumismo è Romanticismo”, sottolineando la stretta simbiosi tra queste due forze culturali. L’individuo moderno, spinto da una sete incessante di esperienze, consumi e riconoscimenti, non fa che perpetuare quella stessa ricerca di assoluto che un tempo conduceva alla morte, mentre oggi viene risemantizzata come una rincorsa impossibile all'appagamento .

In questa lettura, il Romanticismo contemporaneo, privo del suo epilogo tragico, si manifesta come un desiderio disincarnato, un’aspirazione che non ammette limiti, trasformando l’Io in un’entità incapace di contenersi, sempre in cerca di nuove esperienze e stimoli da divorare. Questo processo ha avuto conseguenze pervasive sulla nostra società: dall’idealizzazione dei sentimenti, alla mercificazione delle esperienze personali, fino al nostro rapporto con la natura e la libertà, ogni aspetto della nostra esistenza sembra regolato da questa dinamica .

Caspar David Friedrich, figura centrale del Romanticismo tedesco, incarna perfettamente il pathos e l'inquietudine che caratterizzano la Sehnsucht romantica, quella tensione inesausta verso l'infinito, in cui il soggetto umano si confronta con l'immensità naturale e con la vertigine del vuoto interiore. Il suo celebre "Viandante sul mare di nebbia" diventa simbolo di questa condizione esistenziale: un uomo di spalle, volto a un orizzonte indefinito e nebuloso, icona di un desiderio che non trova mai compimento. Il dipinto riflette l'impossibilità di colmare il vuoto, un orizzonte sfuggente che resta oltre il limite umano, alimentando una tensione senza risoluzione. Nel Romanticismo, questa tensione culminava spesso con la morte precoce. Gli esponenti del movimento, da Novalis a Byron, da Keats a Shelley, sembravano destinati a una fine prematura, quasi a incarnare la consapevolezza che il desiderio insoddisfatto non potesse trovare altra risoluzione che la morte. L'orizzonte del desiderio romantico era irraggiungibile per definizione: la vita non poteva contenere il sogno, e la morte precoce diventava la conferma ultima di questa inappagabilità dell'esistenza. Anche Friedrich, sebbene visse fino al 1840, riversava nei suoi paesaggi questo senso di eternità irraggiungibile. L'orizzonte, sempre sfumato e avvolto nella nebbia, evoca un futuro carico di promesse che resta al di là della portata umana. Il Romanticismo contemporaneo ha smarrito questo senso della fine, perpetuando un'ansia di compimento che non trova mai uno sbocco, un’inquietudine che alimenta se stessa senza mai giungere al termine.

Il libro, edito da Tlon nella collana Urano (Si apre in una nuova finestra), ci offre una lettura illuminante del Romanticismo e della sua degenerazione nel contesto contemporaneo. La figura umana ci invita a riflettere su come la mitologia romantica abbia dato origine a un Io incapace di trovare quiete, sempre alla ricerca di nuove esperienze da consumare, e sull’impatto che questa condizione ha sulla cultura odierna.

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Emilio Vedova, Senza titolo, 1971, pittura acrilica e pastello su faesite

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