La notte nella quale Silvia Venturini si è ripresa Fendi

Alla creativa erede del brand è bastata una sola sfilata per far dimenticare il suo predecessore, portando in scena un matriarcato risolto, e ricordandoci che, quel brand, non ha mai avuto davvero bisogno di un uomo per funzionare
“Mister Tamburino, non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare”: lo cantava Franco Battiato in Bandiera Bianca, canzone del 1981 deliziosamente citazionista, nella quale il cantautore siciliano faceva riferimento a due canzoni di Bob Dylan, Mr. Tambourine man e The times they are a-changing. La leggerezza degli Anni 60 è finita, insomma, è momento di schierarsi, e di affrontare la battaglia a viso aperto: uno dei tantissimi sottotesti di una canzone divenuta manifesto e che però, per chi mastica la moda ed era presente ieri in via Solari, nell’headquarter di Fendi, ha significato tutt’altro. Quella canzone era infatti parte di una colonna sonora assai complessa, che mescolava la versione di Patty Pravo di Walk on the wild Side di Lou Reed e Ornella Vanoni, che ha fatto da sfondo musicale alla sfilata con la quale il brand romano ha celebrato il suo centenario. Una sfilata uomo e donna (riferita alla stagione a/i 2025) che è stata totalmente disegnata da Silvia Venturini Fendi, rimasta a proteggere il fortino familiare dopo l’addio di Kim Jones, che era direttore creativo del womenswear.
Che la sfilata sarebbe stata uno dei momenti più alti di questa fashion week altrimenti sonnacchiosa, era chiaro dall’invito: un micro libro con alcune tra le più importanti immagini di questi 100 anni appena festeggiati, così come dal parterre di ospiti. Oltre alle solite celebrities italiche transumate da Sanremo o dalle playlist Spotify, da Lazza a Marco Mengoni passando per Rose Villain – che chissà se poi spostano gli equilibrio mondiali o fanno vendere qualche borsa in più o è forse tutta un’allucinazione collettiva degli uffici comunicazione – c’è Sidney Toledano, ex amministratore delegato di Dior e oggi “solo” senior advisor e generale fedelissimo del ceo di Lvmh Bernard Arnault, ma anche Luca Guadagnino e Sarah Jessica Parker, la donna che quel mito ha contribuito a crearlo con la fulminante battuta “It’s not a bag, it’s a baguette”, pronunciata durante un episodio di Sex and the city prima della menopausa delle protagoniste.
https://www.youtube.com/watch?v=b-fBm2hY-Sw (Si apre in una nuova finestra)Quando il portone si schiude – o meglio, a schiuderlo, vestiti di bianco, sono i nipoti di Silvia, Tazio e Dardo, nati dalla relazione di Delfina Delettrez e Nico Vascellari – e le modelle entrano nella sala, bastano poche uscite per ribadire a tutti l’ovvio.
Silvia Venturini Fendi non ha voglia di scherzare, e le servono poche pennellate precisissime di stile per cancellare dalla memoria collettiva il ricordo di Kim Jones, l’algido inglese che, seppur talentuoso, non ha mai davvero compreso il marchio e la sua femminilità made in Rome, deformandola tristemente, negli anni della sua direzione in una informe creatura aliena priva di guizzi o di desideri, snaturandone l’essenza ( a prescindere da quello che raccontano i patriottici anglofoni che ne hanno decantato l’eleganza).

Anche il casting è quello delle grandi occasioni: basta con le celeb hollywoodiane e anglofone amiche di Jones, il matriarcato di Fendi è internazionale senza rinunciare alla sua dimensione voluttuosamente mediterranea, mai distaccata dal reale. Un gineceo, più che una gang patinata. Ci sono le modelle del passato di Fendi, c’è Irina Shayk, Saskia de Brauw, Karen Elson, Natasha Poly, Doutzen Kroes, Eva Herzigova, ma pure Penelope Tree, la modella dagli occhi da cerbiatto che John Lennon definì “hot, hot, hot, smart, smart, smart”. E poi, più di tutto, ci sono i vestiti. Le pellicce che sembrano zibellino ma sono in realtà di montone, pelle che arriva dallo scarto alimentare e che viene trattata per assomigliare nell’aspetto a una pelliccia classica; le silhouette scultoree, che si adagiano con sensualità anche sui corpi di donne che non indossano la 38; i blazer stretti in vita con baschina, e cascate di gemme ricamate; gli spaghetti dress in colori zuccherosi e pietre applicate; le immancabili baguette, declinate in versioni giocose, iper-tattili, memori del glamour dei primi 2000 che tanto piace alla Gen Z.
https://www.youtube.com/watch?v=CtG1rinL4UY (Si apre in una nuova finestra)A fine sfilata, dopo che Silvia Venturini Fendi è uscita in passerella, per prendersi la standing ovation che si meritava (non solo per questa collezione, ma anche per la sua dedizione affettuosa a un brand che le è stato tolto di mano, per essere affidato a un uomo già con un lavoro fisso, e che non aveva mai disegnato abbigliamento femminile prima) si è tentato di guadagnare l’accesso al backstage, come è uso in queste occasioni, per andare a salutare il creativo e porgergli gli omaggi. Lo spoiler è che non ci si è riusciti, perché giustamente la designer era assediata da amici e parenti, così come da celeb venute a farsi fotografare con lei, ma la transumanza verso il backstage ha avuto comunque il suo valore, al fine di assaporare l’atmosfera dell’ufficio stile.

I dipendenti erano sinceramente entusiasti ed emozionati; si beveva già qualche calice di bollicine che di lì a poco sarebbe arrivato anche nella sala principale, riallestita per ospitare il party dell’aftershow, con Sean Paul a infervorare gli animi; il responsabile dei ricami, che ha in passato lavorato anche da Prada, ha ammesso di non essere mai stato così soddisfatto di una sfilata; Marco De Vincenzo, da sempre nel team degli accessori di Fendi anche prima della sua nomina come direttore creativo di Etro, abbracciava con gioia Silvia Venturini; qualcuno del team ci ha riconosciuto, e salutato con un calore che stupisce sempre chi scrive. A distinguere l’ufficio stile, però, c’era una t-shirt nera, che indossavano tutti con un certo grado di affettuosa ironia – riportando alla mente invece l’atmosfera assai più mesta che traspirava dai completi verde smeraldo dell’ufficio stile Gucci, uscito a fine sfilata a prendersi un necessario applauso, con l’aria di chi voleva essere da tutt’altra parte. La t-shirt indossata dalle parti di via Solari riprendeva le parole di un’altra canzone presente nella colonna sonora della sfilata, Never never gonna give ya up, di Barry White. “A te non rinuncerò mai e poi mai”: sembrava una dichiarazione di fedeltà incondizionata a un brand, ma soprattutto a una donna, che quel rispetto e quella devozione se li è guadagnati nel corso degli anni, imparando da Karl Lagerfeld, e facendosi dignitosamente da parte quando LVMH ha deciso senza molta grazia di abbinarle un co-direttore creativo di cui Silvia Venturini Fendi non ha mai avuto davvero bisogno. Perché lei è Fendi. E chi ci lavora dentro, ne è ben consapevole. Si spera che presto, lo capiscano anche i grandi generali parigini di LVMH. Perché sembrano essere rimasti gli unici che non lo hanno ancora capito.
We are the fashion pack
Per la prossima fashion week maschile, a giugno, Zegna si sposta da Milano per sfilare a Dubai (Si apre in una nuova finestra)(all’inseguimento probabilmente di un mercato molto più ricco di quello italiano)
Luke e Lucie Meier non sono più i direttori creativi di Jil Sander (Si apre in una nuova finestra) : secondo il Bof, i profitti di Margiela e Diesel nell’ultimo quadrimestre (altri brand nell’orbita del gruppo OTB) non sono riusciti comunque ad evitare una perdita del 4%, dovuta ai ricavi in calo di Jil Sander e Marni
Nasce PM 23 (Si apre in una nuova finestra) (acronimo dell’indirizzo, in Piazza Mignanelli a Roma) la nuova fondazione di Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti: la prima mostra è prevista in primavera, e celebrerà l’opera del duo, abbinandolo all’arte contemporanea
La London Fashion week ha sorpreso tutti per la qualità delle proposte (Dilara Findikoglu su tutte ma anche Simone Rocha e SS Daley). Daniel Lee da Burberry ha offerto per la prima volta una collezione convincente, e sul BOF si fanno la domanda giusta: non è che sostenere e coltivare i talenti è più importante della viralità di uno show? (Si apre in una nuova finestra)
Nike ha annunciato la creazione di NikeSkims (Si apre in una nuova finestra), un nuovo brand in colab con Kim Kardashian: i primi prodotti arriveranno sul mercato americano questa primavera. Sarà una partnership di successo come quella che il brand dello swoosh siglò con Michael Jordan?
Jane Fonda è la nuova testimonial di Golden Goose (Si apre in una nuova finestra): it doesn’t get cooler than that. Jane, ti si ama.
The tortured audiovisivo’s department
Off topic librario: dopo aver tentato con risultati molto scarsi di ritrovare un feeling con la letteratura italiana di nuova generazione – insomma, quella che ad oggi scrivono i miei coetanei, più o meno - ho accolto con piacere la notizia che il libro di Vincenzo Latronico, Le perfezioni, è entrato nella Long List dell’International Booker Prize (Si apre in una nuova finestra). Latronico, classe 1984, ha un modo di scrivere che mi ha conquistato, e con Le perfezioni ha tracciato con una precisione chirurgica e però gentile il profilo triste degli hipster millennial. Recuperatelo, e tifiamo sperando che questo libro arrivi alla shortlist.
Chi è Doechii, la donna che ha vinto per il miglior album rap ai Grammy, e perché è il momento di imparare il suo nome (Si apre in una nuova finestra).
In un pezzo di Rolling Stone (Si apre in una nuova finestra)tradotto in italiano, Keith Richards ha ricordato chi è stata Marianne Faithfull: nessuno avrebbe potuto farlo meglio di lui
Su Prime video c’è Broken Rage, il nuovo film di Takeshi Kitano: dura solo 1 ora e sei minuti, e racconta la stessa storia due volte, una in forma di thriller sulla yakuza, l’altra sotto forma di commedia demenziale. Da vedere anche solo come forma di protesta contro la durata eccessiva dei film odierni.
Official soundtrack della settimana
https://www.youtube.com/watch?v=lIuOIQoHZyo (Si apre in una nuova finestra)Siccome il mio lavoro con Lucio Corsi è finito, è arrivato il momento di spingere altri rappresentanti della nuova generazione. Sono francesi, ma cantano in italiano – perché si sono innamorati della nostra lingua quando sono venuti in vacanza a Palermo, prendendosi una cotta per la ragazza che dà il nome alla band, e che poi non hanno mai più rivisto. Della loro italo-dance dalle sonorità “Daft Punk in giro per la Vucciria negli Anni ‘60”, il mio collega di Etc Fabrizio Fasanella ( che ha la loro età, under 30) ne aveva parlato già qui (Si apre in una nuova finestra) . E al duo francese dai caschi futuribili il terzetto di Dov’è Liana assomiglia anche nell’approccio all’immagine. I loro concerti li fanno indossando occhiali da sole e fazzoletti da raccoglitrici di riso del Caucaso, generando una tendenza emulativa anche tra i giovani partecipanti all’evento ( io sono andata a vederli a Firenze a novembre, so di cosa parlo). Questo è il loro nuovo brano presentato circa una settimana fa, con video girato a Milano: la dimensione nella quale i Dov’è Liana prosperano è sicuramente quella estiva, ma in fondo anche la pioggia di Milano può avere un suo romanticismo. D’altronde, come diceva quell’altra famosa canzone: “sapessi, com’è strano, sentirsi innamorati a Milano”.
Per questa settimana ci salutiamo, nel frattempo ci teniamo in contatto su Instagram (Si apre in una nuova finestra) , se volete recuperare le mie playlist, sono tutte su Spotify (Si apre in una nuova finestra) , e per leggere le review della fashion week di Milano, ci vedremo sicuramente tra le pagine de Linkiesta Etc (Si apre in una nuova finestra). A presto.