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Venere in pelliccia

Cappotti, inserti nelle gonne, colli arzigogolati: la pelliccia – o una sua versione più accettabile – è tornata sulle passerelle. La realtà è che la tendenza, a questo giro, l’ha lanciata già un anno fa TikTok, tra mob wife aesthetic e old money. Perché tutte, una volta nella vita, vogliamo sentirci signora Covelli.

In via Solari, di fronte all’ingresso dell’headquarter di Fendi, mentre gli ospiti cercavano di guadagnare l’ingresso, qualcuno poco distante, teneva in mano dei cartelli: si trattava di gruppi animalisti, che protestavano contro l’utilizzo della pelliccia dei brand del lusso. Da Fendi certe scene non sono inusuali anche perché, a differenza del gruppo Kering, che ne ha bandito l’utilizzo in toto già nel 2021 – con effetto dalle collezioni del 2022 –il gruppo LVMH di cui Fendi fa parte non ha ancora adottato una simile politica (anzi, secondo Glitz Paris (Si apre in una nuova finestra), sito d’inchiesta che indaga la moda e le sue pratiche, lo scorso anno il gruppo ha inviato un suo delegato a Bruxelles per difenderne l’utilizzo).

Questo non vuol dire che i singoli brand che fanno parte del gruppo non abbiano il diritto di esercitare un certo libero arbitrio. Secondo questo pezzo d’opinione (Si apre in una nuova finestra) del Bof, scritto lo scorso anno da PJ Smith (director delle fashion policy della Humane Society degli Stati Uniti), Celine non usa pelliccia dal 2019, e lo ha annunciato in maniera formale con un comunicato nel 2022; Marc Jacobs aveva iniziato un anno prima; nel suo periodo di direttrice creativa di Givenchy, Claire Waight Keller si è impegnata personalmente a sviluppare alternative etiche. Per tornare però ai giorni nostri, durante l’ultima sfilata di Fendi, di pelliccia (o qualcosa che le assomigliava) ce n’era in abbondanza. Non si trattava però di visone o zibellino – tranne due pezzi che erano, effettivamente in visone–, quanto di montone, trattato per assomigliare alla pelliccia. Il brand fresco di centenario, nasce proprio come pellicceria – con la sua haute couture denominata in passato con una certa ironia da Karl Lagerfeld Haute fourrure, titolo oggi abbandonato – e si capisce che sia più in difficoltà di altri nell’abbandonare questo lascito del passato che lo ha in qualche modo definito. D’altra parte il resto dei brand che hanno sfilato in questa tornata milanese, non è esente da certe pratiche. Il montone trattato come pelliccia è andato in scena anche da Prada, da Tod’s, da Ferragamo, da Emporio Armani, da Dolce&Gabbana, da Etro (pellicce in lana, in quest’ultimo caso).

Fendi a/i 2025, courtesy: Fendi

Lo ha notato anche il fashion director del New York Times Vanessa Friedman, che negli scorsi giorni ha scritto il pezzo Designers really want us to wear fur. Or something like it. (Si apre in una nuova finestra) Al suo interno Friedman argomenta di quanto questa soluzione sia una sorta di semi-virtuosismo non esente da dubbi di ipocrisia: il montone, spiega la stessa Peta (Si apre in una nuova finestra), non è semplice lana tosata, ma comprende la pelle dell’animale poi tinta. Essendo però un sottoprodotto dell’industria alimentare, come la pelle dei biker o quella degli stivaletti Chelsea o di qualunque brogue e scarpa formale, a livello di consenso popolare, il suo utilizzo è considerato meno esecrabile.

Il problema non è qui però soltanto quanto emanato dalle passerelle – che ormai, lascia il tempo che trova nel mondo reale–, tanto quanto il fatto che le stesse celebrities siano tornate a vestirsi di pelliccia ( qui (Si apre in una nuova finestra) il Times parla degli avvistamenti durante le scorse sfilate newyorchesi), e che la Gen Z, la generazione che, secondo certi stereotipi, è la più consapevole di tutte, ama indossarla (Si apre in una nuova finestra)(in versione vintage, ovviamente).

Tod's, a/i 2025-2026, credits: Tod's

E proprio del ritorno delle pellicce vintage ha parlato il mese scorso sempre il New York Times, nel pezzo What happened to the stigma of wearing fur? (Si apre in una nuova finestra) In questi ultimi 10 anni la produzione di pellicce vere è drasticamente calata – nel 2023, sostiene il NYT sono stati uccisi 20 milioni di animali per via del commercio di pellicce, rispetto ai 140 milioni del 2014 – ma è innegabile uno spostamento della sensibilità collettiva. Acquistare vintage, secondo chi è stato interpellato nel pezzo, è un atto considerato accettabile: non si incentiva la produzione di nuovi capi, preferendovi il riciclo di abiti già esistenti, e, nel quadro generale, è un’azione consapevole e rispettosa nei confronti dell’ambiente (anche se non certo economica, visto che sempre di pelliccia si tratta, e anche nel mondo del vintage i prezzi rimangono alti). D’altronde, le pellicce sintetiche sono realizzate con materiali che derivano dalla lavorazione del greggio (petrolio, ndr) e in futuro, saranno impossibili da riciclare.

Buona parte di questa fascinazione, però arriva anche dai core di TikTok, che già lo scorso anno, hanno deciso che era finita l’era della “clean girl”, ossia la ragazza salutista dedita al miglioramento personale con una skincare obbligatoriamente coreana fatta da 24 passaggi e la sveglia alle 5 di mattina per il saluto al sole. Tutte hanno un’amica così, a cui si vuol bene nonostante si ostini a chiamare “journaling” quello che noi altre adolescenti chiamavamo banalmente “scrivere sul diario segreto”, senza per questo sentirci Osho, e se non pensate di averla, quell’amica siete voi. A detronizzarla è stata la “mob wife”, ossia l’estetica ispirata a Carmela Soprano et similia, mogli dei capoclan e strateghe sotto copertura, che gestiscono gli affari domestici e i traffici internazionali con la stessa attitudine pratica.

Prada a/i 2025-2026, courtesy: Prada

Una risposta roboante ai minimalismi che la moda ha tentato invece di imporci con questa storia ormai insostenibile del quiet luxury, e che però trova nella pelliccia ( vintage) un oggetto condiviso da entrambi gli emisferi politici: se a sinistra piace per via della sua attitudine “ecologica”, a destra si è in solluchero per un ritorno all’estetica reaganiana e ruggente, di certe Vacanze di natale cinematografiche e reali nelle quali abbiamo tutti sognato di dire “A capodanno noi siamo dai Fürstenberg” col cipiglio disgustato della signora Covelli.

https://www.youtube.com/watch?v=Tie3yWMm4xw (Si apre in una nuova finestra)

Nel pezzo del New York Times di cui sopra, PJ Smith, così come Ashley Byrne, direttrice delle comunicazioni della Peta, hanno condannato la tendenza, sia perché, nelle parole di Byrne “ anche se queste persone non comprerebbero mai pellicce nuove, si tratta comunque di sostenere l’idea che sia accettabile uccidere animali” sia perché, secondo PJ Smith “potrebbe causare una certa confusione in chi guarda, e che, magari, inconsapevole che quella pelliccia sia vintage, se ne fa influenzare e decide di comprarne una nuova”. La questione, insomma, è dibattuta, e di certo controversa, e a decidere da che parte stare, e in quale misura, può essere solo la nostra coscienza. Io? Non chiedete a me, sono anni che ogni Natale, quando mia madre mi chiede di tramutarmi per lei in Marie Kondo, e aiutarla a liberarsi di pezzi del suo armadio che non usa più, salvo poi dirmi che no, ha davvero bisogno di tutto quello che è contenuto nel guardaroba a sei ante a tutta altezza, e quindi finire a litigare per disfarsi di 2 t-shirt e 3 paia di pantacollant, guardo la sua pelliccia in volpe bianca, che giace lì, inutilizzata, da almeno 30 anni. Ogni volta mi prometto che dovrei prenderla, farla risistemare, regalarle un fit più adatto e appropriarmene, invece di lasciarla lì. E ogni volta ho troppa paura di finire come Samantha Jones in SATC, imbrattata e sbeffeggiata durante un evento della fashion week, per aver indossato una pelliccia vera. Vintage, certo, e anche già di proprietà, ma fa davvero differenza?

We are the fashion pack

The tortured audio visivo’s department

  • Ha preso l’Oscar come miglior documentario, ma non serviva questo riconoscimento per dirvi che No other land è da guardare adesso: da questa visione ne uscirete cambiati

  • Ho visto i primi due episodi disponibili su Sky de L’arte della gioia, tratto dall’omonimo (e bellissimo) libro di Goliarda Sapienza, con la regia di Valeria Golino. In un mondo di serie fatte con l’algoritmo, la capacità di raccontare una storia così intrisa di sensualità, e priva di moralismi bacchettoni che oggi tanto sono tornati di moda, è rinfrescante e quasi shoccante. La storia di Modesta è degna della grande letteratura italiana, non vedo l’ora delle prossime puntate

  • Di The boys io ho visto solo la prima stagione (poi è diventato troppo gore per i miei gusti, tra corpi che esplodevano e torture insostenibili): il fatto che però nella quinta serie attualmente in produzione saranno presenti (Si apre in una nuova finestra)come attori Jared Padalecki, e Misha Collins, insieme a Jensen Ackles, ossia la sacra triade dei protagonisti di Supernatural potrebbe farmi cambiare idea. Ok, forse ci ripenso.

  • Se gli Oscar – e più in generale i film del 2024 – vi sono sembrati genericamente noiosi, già visti, il motivo ve lo spiega il W nel pezzo Hollywood by the numbers (Si apre in una nuova finestra): i 20 film di maggior successo dell’anno, ad esempio, sono basati su film, libri o videogame già usciti, mentre dal 50 al 70% dei film del 2025 saranno basati su proprietà intellettuali già esistenti.

Soundtrack fashion week

Soundtrack della settimana

https://www.youtube.com/watch?v=S3ncfrQPpjs (Si apre in una nuova finestra)

Forse è passato sotto traccia per la tempistica, o per la miriade di altre uscite nello stesso periodo, ma Hurry up tomorrow, l’ultimo album di The Weeknd, è una notevolissima marcia funebre con la quale il canadese Abel Tesfaye saluta il suo alter ego. Disco conclusivo della trilogia iniziata con After Hours (2020) e proseguita con Dawn (2022), l’atmosfera è tutt’altro che euforica, anche se i suoi synth, l’elettropop e i gorgheggi R&B sono sempre lì. The Weeknd ha quella capacità peculiare di riportarti negli Anni 80 e farti sentire tra le strade delle metropoli futuristiche nelle quali si muoveva Robocop ( e in questo caso lo fa con l’aiuto del Santo protettore del genere elettronico, Giorgio Moroder). In Wake me up ci sono accenni a Thriller di Jacksoniana memoria, ma giusto per rimanere in tema e non dimenticarci mai le origini, tra le 22 canzoni di questo lunghissimo addio, ho scelto The Abyss, dove all’autotune di The Weeknd si aggiungono i gorgheggi paradisiaci di Lana Del Rey, da tempo amica di Tesfaye, definita con una certa ironia dal Rolling Stone, che ha recensito l’album, come “la collega catrastrofista”. In questi tempi bui non c’è molto per cui sentirsi allegri, ma se la colonna sonora la canta Lana con i synth di Moroder e Abel Tesfaye, let the Armageddon begin.

Per questa settimana ci salutiamo, nel frattempo ci teniamo in contatto su Instagram (Si apre in una nuova finestra) , se volete recuperare le mie playlist, sono tutte su Spotify (Si apre in una nuova finestra) , e per leggere la review della fashion week di Milano, sfogliate tra le pagine de Linkiesta Etc (Si apre in una nuova finestra). A presto.

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