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Black Lives Matter e il razzismo istituzionale in Europa

La morte di George Floyd a Minneapolis, avvenuta il 25 maggio del 2020, per mano di un agente di polizia, ha dato vita a una lunga serie di manifestazioni che hanno raggiunto anche le principali città europee.

Le persone scese in piazza unite sotto lo slogan “Black Lives Matter” manifestavano per dimostrare solidarietà alla popolazione afroamericana statunitense, vittima della sistematica violenza della polizia. Proteste che hanno però iniziato a far riflettere anche sulla situazione in Europa, continente in cui il problema del razzismo, tutt’altro che assente, viene trascurato in molti dibattiti pubblici nazionali .

A fine giugno, il Parlamento europeo, riunito in plenaria, ha approvato una risoluzione che, nel suo primo punto, riprende lo slogan “Black Lives Matter” e condanna ogni forma di discriminazione anche in Europa

Pochi mesi prima la vicenda di Floyd, in Europa avevano perso la vita altri giovani di origine africana morti durante scontri con la polizia. Tra gli ultimi il caso di Adil (il suo cognome non è stato reso noto), diciannovenne di origini marocchine che il 10 aprile scorso è stato travolto da un’auto della polizia dopo aver tentato di sfuggire a un controllo di routine durante il lockdown ad Anderlecht. E ancora, sempre in Belgio, un diciassettenne di origini marocchine, Mehdi Bouda, il 20 agosto del 2019 venne investito da una volante dopo essere fuggito da un posto di blocco. Un altro episodio nosto di violenza razzista – non poliziesca però – è legato alla figura di Luca Traini, attentatore spinto da motivazioni di odio razziale che, a Macerata, nel 2018, ha sparato alla rinfusa su persone di colore dalla sua autovettura. Tutto questo per dire che il razzismo non esiste soltanto fuori dall’Europa.

In un articolo di POLITICO, intitolato simbolicamente “In Europe, we also can’t breathe” (Si apre in una nuova finestra), ci si chiede:  perché le persone a Berlino, Londra e Roma si uniscono al coro dei canti “Black Lives Matter”, ma restano in silenzio di fronte alla brutalità del razzismo nei loro paesi? In realtà, come documentiamo nell’episodio 6 di Europa Reloaded, le cose non stanno proprio così. In alcuni paesi membri dell’Ue, il tema del razzismo è, a tratti, al centro del dibattito pubblico – soprattutto, grazie all’azione di attivisti e movimenti sociali. Il Regno Unito e l’Olanda sono buoni esempi.

Cosa bolle in pentola presso le istituzioni europee

Ad ogni modo, prima dell’omicidio di Floyd, a febbraio 2020, il Consiglio d’Europa, la principale organizzazione europea di difesa dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto, aveva denunciato (Si apre in una nuova finestra) la crescente influenza delle politiche ultra-nazionaliste e xenofobe in Europa che, insieme ad altri fattori culturali e all’odio in rete, stava causando tendenze razziali allarmanti.

Si tratta di questioni che sono state evidenziate ancor prima, in una relazione del 2019 (Si apre in una nuova finestra) dalla European Commission against Racism and Intolerance (ECRI), l’organismo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa contro il razzismo e l’intolleranza. Il report evidenziava come i bersagli dei pregiudizi e della violenza in Europa fossero i musulmani, gli ebrei, i rom e, appunto, le persone di colore.

Sebbene sul punto ci sia ancora molto lavoro da fare, il cittadino americano medio è consapevole della storia del proprio paese e dei sistemi di oppressione e razzismo su cui è stato costruito. Lo stesso non si può dire dell’Europa

Nel frattempo, però, le elezioni del 2019 del Parlamento europeo e di diversi parlamenti nazionali hanno visto un ulteriore aumento della popolarità dei partiti ultranazionalisti. Eppure, le istituzioni europee hanno provato ad affrontare la questione del razzismo e dato qualche segnale incoraggiante.

A fine giugno, il Parlamento europeo, riunito in plenaria, ha approvato una risoluzione che, nel suo primo punto, riprende lo slogan “Black Lives Matter” e condanna ogni forma di discriminazione anche in Europa. A battersi per la sua approvazione è stata l’eurodeputata svedese Alice Bah Kuhnke, una delle sei europarlamentari di colore di tutto l’emiciclo. La risoluzione ha come scopo, a detta degli eurodeputati, di fare pressione sull’Ue affinché adotti una legislazione adeguata e sostenga le buone pratiche contro il razzismo e la discriminazione. Il documento, voluto dal gruppo dei Verdi – Alleanza Libera Europea, è stato votato a Strasburgo con 493 eurodeputati favorevoli, 104 contrari e 67 astenuti. Per quanto riguarda l’Italia, tra i contrari, spiccano i nomi  degli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia.

Le differenze tra USA ed Europa

Il contesto storico gioca un ruolo fondamentale. Da un lato, la società civile e le istituzioni negli Stati Uniti hanno da tempo iniziato un percorso di riconoscimento per fare i conti con la loro esperienza di colonialismo, schiavitù e leggi sulla segregazione (il movimento per i diritti civili degli anni ’60 ispira ancora i gruppi antirazzisti in Europa).

EenVandaag ha sottoposto un questionario a 39mila utenti, di cui 5mila background non occidentale. Circa 7 intervista su 10 hanno dichiarato che nei Paesi Bassi c’è un problema di razzismo istituzionale

Sebbene sul punto ci sia ancora molto lavoro da fare, il cittadino americano medio è consapevole della storia del proprio paese e dei sistemi di oppressione e razzismo su cui è stato costruito. Lo stesso non si può dire dell’Europa, dove parlare di razzismo rimane un tabù importante, per esempio proprio in Italia. In altri paesi – tra cui Belgio, Regno Unito e Olanda – il dibattito è più avanzato. Ma gli attivisti e i movimenti sociali lottano continuamente per fare in modo che la società scenda a patti con l’eredità della schiavitù e del colonialismo. Sebbene i dibattiti sulla razza e sul privilegio dei bianchi stiano iniziando a svolgersi, sono ancora lontani dal penetrare nel mainstream.

Il caso olandese

Dall’inizio delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter, i media olandesi hanno pubblicato alcuni sondaggi sul razzismo. EenVandaag (Si apre in una nuova finestra) ha sottoposto un questionario a 39mila utenti, di cui 5mila background non occidentale. Circa 7 intervista su 10 hanno dichiarato che nei Paesi Bassi c’è un problema di razzismo istituzionale. Il 40 per cento dei partecipanti con background non olandese ha dichiarato di essere stato discriminato a scuola o all’università per il colore della pelle. Il 29 per cento è stato fermato dalla polizia più spesso rispetto alle persone di colore bianco. Una ricerca condotta dalla società di consulenza Berenschot (Si apre in una nuova finestra), dal gruppo editoriale Performa e dalla AFAS Software ha rilevato che solo il 20 per cente delle aziende si occupa attivamente della diversità e il 66 per cento non si concentra affatto sul tema.

In un interessante articolo del Groene Amsterdammer (Si apre in una nuova finestra) si analizza il tabù del razzismo istituzionale in Olanda. A partire proprio dalla figura ambigua di Zwarte Piet – il servo dal volto nero e clownesco aiutante del portatore di doni San Nicola che rappresenta l’alter-ego “cattivo” e “oscuro” del portatore di doni, molto famoso nei Paesi Bassi. Il premier olandese Mark Rutte, uno dei leader più longevi dell’Unione ruropea, capo del partito VVD -la destra liberale- è tradizionalmente restio a discutere questioni sociali che non hanno impatto economico. Sul campo del razzismo, infatti, delega alla società civile: «Le questioni relative al razzismo e ad altre forme di discriminazione dovrebbero essere affrontate collettivamente, come società, e non solo dal governo», aveva affermato in una conferenza stampa dopo essere stato incaricato di affrontare una serie di questioni relative alla discriminazione razziale a seguito di una settimana di azioni di protesta nei Paesi Bassi e all’estero proprio sui temi del “Black lives matters”.

La reazione di Rutte è un buon esempio dell’attitudine di certe istituzioni verso il problema del razzismo. Peccato che risolvere il problema dipende anche da quanto il tema riesca a far breccia nei piani alti della politica. «Inoltre è fondamentale che, al di là dei movimenti, la presenza di persone di colore aumenti anche nei luoghi del potere e dei media», spiega Angelo Boccato, giornalista freelance italiano con base a Londra e intervistato nell’episodio 6 di Europa Reloaded.