Passa al contenuto principale

Calcerò #11 - La base e il vertice

Appunti disordinati sulla sempre maggiore distanza tra il calcio e il turbocalcio

Ben ritrovati (e buone feste; così mi metto avanti con le banalità e la finiamo qui).

Sarà che non sono più una giovane promessa carica di adrenalinico entusiasmo, sarà che seguo le nazionali con tanto interesse quanta atarassia, sarà che quando una manifestazione la vedi da fuori (questa volta non sono sul posto) ti trovi a parlare di una realtà già mediata e non assoluta; sarà quel che sarà, fatto sta che nel corso del Mondiale di Qatar 2022, ho più volte avuto come l’impressione di trovarmi al cospetto di un calcio che, se questo è il futuro, deve iniziare a guardarsi le spalle.

Io sono Lorenzo Longhi (Si apre in una nuova finestra) e Calcerò può essere sostenuta qui (Si apre in una nuova finestra). L’archivio dei numeri precedenti si può consultare a questo link. (Si apre in una nuova finestra)

TECNOLOGIA

Ecco, cominciamo dalla basi, ovvero dal regolamento e dalla sua applicazione. Quelli del Qatar sono stati i primi Mondiali realmente tecnologici per quanto concerne l’aiuto destinato agli arbitri: goal line technology, VAR e fuorigioco semiautomatico sono migliorie che funzionano e che rendono tutto piuttosto coerente. Il margine di errore degli arbitri viene limitato - non eliminato, sia chiaro - e, soprattutto per i riferimenti puramente geometrici (palla dentro o fuori, calciatori in gioco o meno), come si dice, a chi tocca nun s’engrugna. Il caso del pallone ancora in gioco in Giappone-Germania ha fatto discutere, ma se la regola è quella e i sensori quello dicono, tutto il resto è aria fritta. Se quel pallone, invece che essere riscattato dal destino di finire sul fondo, fosse stato cacciato fuori da una porta, non sarebbe stato gol. Punto, e va bene così.

La situazione riguardante la tecnologia VAR è più discutibile, e qui francamente resto un po’ più perplesso, perché in fondo le immagini rallentate e i frame non danno conto della velocità, delle forze fisiche in gioco e del contesto, in sostanza mediano la visione multisensoriale che può avere l’arbitro di campo. Per paradosso rischiano anche di accentuare le simulazioni, proprio a causa di questo aspetto, perché a forza di vivisezionare le immagini qualcosa di poco limpido si trova sempre. Ma il calcio è un gioco sporco, di contatto e, sebbene la colpa non sia della tecnologia ma del modo in cui la si applica, in definitiva mi sembra che si stia andando in una direzione esageratamente virtuale. E, soprattutto, vi sono delle storture con le quali è difficile fare pace. Caso di ieri sera, in Francia-Inghilterra (a mio avviso, peraltro, la partita più godibile): intervento di Upamecano su Kane, l’arbitro Sampaio non vede fallo. In sala VAR si controlla, perché hanno la sensazione che il fallo ci sia; essendo però l’intervento fuori area, il VAR non può intervenire. In sintesi: se al VAR si vede che è fallo ed è in area, è rigore; se al VAR si vede che è fallo ed è fuori, non è fallo perché l’arbitro ha deciso così. Capite che la regola sarà anche chiara, ma questa logica da burocrati monodimensionali è tutt’altro che inattaccabile.

FUORIGIOCO

Virtuale, così, diventa anche il fuorigioco. Per intenderci, di nuovo: se c’è la regola, la si accetta. Con la semi-automated offside technology non si scappa e non si bara, ma diventa probabilmente urgente modificare il fuorigioco: al di là dei chiarimenti interpretativi (come quelli relativi ai concetti di “giocata” o “deviazione”), con la novità tecnologica il fuorigioco è davvero una questione di centimetri, ma quasi sempre si tratta di centimetri che non danno alcun tipo di vantaggio reale. IFAB, avanti.
Altra considerazione: la FIFA vorrebbe più gol, ma con la semi-automated offside technology gli arbitri si vedono costretti ad annullare reti (segnate, perché il gioco deve andare avanti e il controllo arriva dopo) magari anche bellissime, frustrando troppo spesso l’esultanza del pubblico. Ora, se è vero che «il gol è l’orgasmo del calcio» (lo scrisse Eduardo Galeano), il fuorigioco di un centimetro di scarpa cos’è, che effetto fa vedersi togliere reti così?

TEMPO

In Calcerò di aprile (lo si può recuperare qui) (Si apre in una nuova finestra) avevo dedicato alcune righe al tema del tempo effettivo, segnalando come, dopo un intervento di Infantino a Firenze, alcune testate avessero scritto di un’ipotesi di allungamento strutturale del recupero sino ai 100 minuti per Qatar 2022, cosa che il presidente della FIFA aveva smentito e che infatti si è puntualmente verificata (le smentite di certi personaggi, nel giornalismo, equivalgono a conferme). Abbiamo così assistito alla definizione di recuperi lunghissimi e a recuperi dei recuperi a volte non comunicati; in tanti vedono in questo i prodromi del tempo effettivo, del quale mi aspetto una sperimentazione ma che credo sia abbastanza improbabile possa essere introdotto. Tra l’altro, al di là degli aspetti meramente tecnici che lo rendono ipotesi lontana (sostituzioni rituali e non volanti, necessità di cronometristi, dimensioni dei campi e delle pertinenze e bisogno di avere palle sempre a disposizione) , devo dire che personalmente - non essendo emotivamente coinvolto - i recuperi da 8 o 10 minuti rendono le gare a eliminazione diretta ulteriormente esaltanti, con quella sensazione da tutto o niente che porta a smettere di speculare. Altresì mi rendo conto che, agli occhi di un tifoso della squadra in vantaggio, appaia semplicemente sadica cattiveria. Ma la domanda dev’essere: quanto tempo vogliamo starci, al massimo, allo stadio o davanti la tv? Perché 160 minuti complessivi dal fischio di inizio all’ultimo dei rigori iniziano a essere tanti...

GIOCO

Il gioco, poi. Coming out: faccio parte di coloro che non considerano il risultato un trucco (parliamo di uno sport a vincere, non come quelli nei quali i giudici danno i voti), sono ancora convinto che la strategia sia anche più decisiva della tattica, sono molto più aristotelico che pitagorico - i numeri non spiegano tutto, non ho come unico dio gli xG - e amo chi usa il congiuntivo (perché esprime incertezza, dubbio, indeterminatezza, supposizione, ipotesi, possibilità, esortazione) al posto dell’indicativo dei tuttologi, quello che ogni cosa spiega, tutto conosce e tutto saprà. Questo significa che sentir dire che il Giappone ha battuto la Spagna perché ha fatto due gol in un minuto poi si è difeso, che il Marocco ha messo il pullman davanti alla porta facendo la figura dei cattivoni contro le divinità dei mille passaggi, che la Croazia è brutta, sporca e cattiva per avere interrotto il sogno bailado del Brasile, che l’Argentina è il futbol e gli altri dei pallonari beh, avrà anche un po’ di senso, ma su: scendete dal pulpito, non c’è alcuna superiorità morale negli onanisti del palleggio. Il bello del calcio, e dello sport in generale, va oltre la coreografia, è sudore, psicologia, strategia appunto, è vedere squadre che hanno qualità assolute inferiori giocarsela come sanno e come vogliono, scegliendo il proprio campo, e non come indicherebbero le mode dei profeti. Soprattutto ai Mondiali dove, se va bene, si giocano sette partite, e dalla terza in poi i tifosi piangono per il risultato. Non c’è un campionato di nove mesi ogni anno, c’è un sogno che dura poche settimane ogni quattro anni. Direi che è sufficiente per farsi qualche domanda e non pensare che tutto ciò che non fa parte di questa filosofia sia superato. Perché il futuro, altrimenti, è il futsal a 11.

SINTESI

Insomma, pur non essendo minimamente passatista, ho come l’impressione che con il turbocalcio ci si stia allontanando dal calcio: magari non è un male, ma in questo modo il calcio di vertice si distacca sempre di più dalla base, e la fortuna del gioco nel Novecento è stata proprio la facilità - con le giuste proporzioni - di replicare nei campetti ciò che accadeva nei grandi stadi. Da diversi anni non è più così, ma la distanza aumenta sempre di più e in maniera netta. Non credo sia esiziale, non ancora, certo non sulle emozioni che il calcio sa dare. Ma quando il vertice esprime tutt’altro rispetto a ciò che si trova alla base, può essere un problema.

Triplice fischio. 

CAMPO PER DESTINAZIONE

  • Avendo ascoltato e letto una marea di banalità su sportwashing, soft power e via dicendo, a bocce ferme meglio prepararsi bene per United 2026 leggendo gente che ha studiato: il libro che conta è La diplomazia nel pallone. Storia politica dei Mondiali (Si apre in una nuova finestra), di Nicola Sbetti e Riccardo Brizzi (Le Monnier, 2022). Il resto è la copia di mille riassunti.

  • Perché non regalare un abbonamento a The SpoRt Light a Natale? Costa poco, dura un anno ed è un chiaro segnale di stima nei confronti delle persone a cui lo regalate. Per farlo è sufficiente seguire questo link (Si apre in una nuova finestra), scegliere il piano desiderato, cliccare su regala e seguire le istruzioni che porteranno a inserire nome, cognome e mail del destinatario del regalo e, successivamente, pagare attraverso le forme disponibili. Vi sarò personalmente grato.

  • Salvo imprevisti e contrattempi, venerdì 16 dicembre sarò a Milano per la rassegna Campo Aperto, in uno dei talk show della giornata. Si parlerà di sport e giornalismo. Appuntamento alle ore 18 alla Fabbrica del Vapore. Parola d’ordine per riconoscerci: Calcerò (l’appuntamento più interessante, però, è quello dopo: resterò tra il pubblico, perché c’è sempre qualcosa da imparare).

Per suggerimenti, contestazioni, contributi e revisioni al var scrivete pure a calcero.newsletter@lorenzolonghi.com (Si apre in una nuova finestra)

Ci rileggiamo l’11 gennaio.

Calcerò - il futuro del pallone è la newsletter mensile sul domani del calcio. Il giorno 11 di ogni mese arriva puntuale nella tua casella. È curata da Lorenzo Longhi (Si apre in una nuova finestra)