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UNA SCUOLA A MISURA DEI SOGNI (6)

Insieme è meglio! Il cooperative learning

di Giuseppe Paschetto

Aula organizzata a isole con i ragazzi divisi a tre per isola, in modo da avere una struttura adatta al cooperative learning
di Giuseppe Paschetto

Dopo settimane di pianificazione, io e il mio collega Riccardo decidemmo di rubare le cattedre da tutte le aule della nostra scuola. Il blitz scattò al mattino presto ed era solo parte di un disegno rivoluzionario più ampio.

La prima aula a essere stravolta non poteva che essere la Che Guevara, ce l’aveva scritto nel nome.

Al posto della cattedra mettemmo un tavolo uguale a quelli degli alunni, quegli oggetti d’arredo che in scolastichese vengono chiamati banchi. Li disponemmo a spina di pesce e non più uno dietro l’altro o a ferro di cavallo. Attorno a ogni tavolo mettemmo tre sedie, a volte quattro e a volte due soltanto. Con quel gesto l’era del cooperative learning cominciava all’insegna dell’organizzazione spaziale delle aule.

In realtà le rivoluzioni non nascono mai dal nulla ma da un lavoro di preparazione e dall’attenta valutazione delle condizioni oggettive che possono consentirne il buon esito. Così era stato per noi. L’eliminazione della disposizione ad airbus di banchi e sedie era un tassello di un disegno organizzativo e didattico che prevedeva il passaggio da un insegnamento prevalentemente trasmissivo a un apprendi mento partecipato e cooperativo.

Non essere più costretti a vedere solo le nuche dei compagni davanti e il proprio compagno di banco si rivelava funzionale a un progetto didattico che vedesse gli alunni protagonisti attivi del loro apprendimento, in grado di interagire visivamente con tutti gli altri compagni di classe, cooperando con coloro che facevano parte del proprio gruppo di lavoro. In questo nuovo scenario l’insegnante dismetteva i panni di attore principale, immobile sul proprio pulpito a impartire lezioni e prediche. Diventava nomade, facilitatore e regista di apprendimenti, trasformando la sua cattedra in un elemento superfluo, sostituito da un tavolo uguale a quello dei ragazzi.

Un’aula finalmente policentrica, ad assetto variabile secondo le diverse esigenze didattiche. L’approccio cooperativo è nato negli Stati Uniti diversi decenni fa e se ne parla ampiamente nei corsi di formazione per chi deve intraprendere la professione di insegnante. Ma dalla teoria alla pratica ce ne corre, e spesso il cooperative learning è rimasto un approccio buono per essere insegnato ma difficile da mettere in pratica, insomma quasi tutti lo conoscono ma pochi lo praticano davvero. Perché il cooperative learning è una proposta didattica più avanzata di un tradizionale lavoro di gruppo.

Nella sua impostazione c’è una grande attenzione all’apprendimento delle competenze sociali, a cominciare dalla capacità di collaborare, aiutare i compagni in difficoltà, accettare i diversi punti di vista e accoglierli in una visione unitaria. Una delle frasi che si sentono più spesso da parte degli insegnanti davanti a un gruppo di lavoro che non funziona bene è: «Eh, ma non sanno mica lavorare in gruppo».

Bella scoperta, certo che non lo sanno fare. È normale che debbano imparare a farlo. L’acquisizione delle competenze relazionali è graduale, procedendo per errori e approssimazioni successive. Ma quando questo obiettivo comincia a essere raggiunto si dischiudono orizzonti inaspettati. Tra le competenze di livello base ci sono il rispetto dei tempi e tenere un volume di voce basso. Infatti, nelle classi di cooperative learning è vietato stare zitti.

Tutto il contrario di quanto capita nelle classi tradizionali, dove l’insegnante spiega e parla superando spesso la soglia di attenzione: ci si accontenta di una classe silenziosa e (apparentemente) attenta, senza preoccuparsi molto dell’effettiva messa in pratica dell’ascolto o dell’interesse suscitato. Ecco allora che il cooperative learning si differenzia da un tradizionale lavoro di gruppo nell’attribuzione di ruoli specifici.

Può trattarsi del Custode del tempo, incaricato di far rispettare i tempi concordati per lo svolgimento di una certa attività, oppure del Custode della voce, che deve far tenere un tono di voce basso al gruppo, in modo da non arrecare disturbo agli altri.

Naturalmente esistono compiti di maggiore complessità, come quelli del Riepilogatore, incaricato di tirare le fila della lezione e fare la sintesi finale.

Un’attività importante all’interno dei gruppi cooperativi consiste anche nella auto-osservazione delle dinamiche interne, che devono essere accuratamente annotate da chi ricopre il ruolo di Osservatore. Si tratta di mettere l’accento non solo sui contenuti e sul pro dotto finale, ma anche sul percorso di lavoro e le relazioni interne che questo crea.

I gruppi li facciamo noi insegnanti perché devono essere eterogenei rispetto alle capacità, al genere, all’appartenenza etnica, ecc. Quindi in un gruppo ci sarà un alunno più competente e con maggiori potenzialità, uno che ne avrà meno e uno «in difficoltà». Se risulta facile capire che all’interno di un gruppo del genere l’alunno meno dotato non potrà che avere dei vantaggi in termini di collaborazione e aiuto, verrà naturale chiedersi quali siano i benefici per uno studente molto bravo.

L’impegno dedicato alla rielaborazione delle proprie competenze gli consentirà di consolidarle meglio. Se un gruppo funziona bene è dimostrato che un alunno molto bravo avrà risultati migliori stando nel gruppo piuttosto che lavorando individualmente.

Alcuni imprenditori a cui raccontavo di questo metodo mi dicevano: «Venga a insegnarlo ai nostri dipendenti! Una delle cose di cui avremmo più bisogno sarebbero persone in grado di lavorare in team invece di competere tra loro, come in genere fanno».

Ho toccato con mano come questo approccio produca studenti indipendenti, collaborativi, aperti, elastici, intraprendenti. Forse proprio quello di cui la società e il mondo del lavoro hanno bisogno.

Topic Libro Paschetto

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