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VOL. 1 - MATERIALI DA COSTRUZIONE

CONSAPEVOLEZZA

TW: trauma migratorio, trauma di guerra

“DESIDERA ALTRO?” - feffa mangano

Nina insegue le parole scritte da altri. Legge con la foga con cui si mangiano i biscotti appena usciti dal forno. Un libro dopo l’altro e ancora non è sazia. Ordina documentari come fossero patatine fritte. Non le bastano mai. Vuole sapere di più. E ancora di più.

Le gambe sotto al tavolo e il fazzoletto di stoffa sulle ginocchia, la testa brontola in attesa della prossima portata. “Desidera altro?”. Mezzo chilo di reportage di guerra, un etto di cronaca nera e due porzioni di esteri. Sorride al cameriere, aspetta impaziente il suo all you can know.

OLTRE - bea forlini

Nina aveva incontrato Jamal un giorno di giugno di un’estate cruciale. la sera stavano spesso seduti a un tavolino di legno con le panche, un po’ come quelli che lei prima vedeva nei parchi, negli autogrill, o ai bordi dei sentieri in Val d’Aosta. quello però era marchiato, come tutto in quella città e in quello Stato, col nome della municipalità e qualche aggettivo altisonante. a meno di un’ora di pullman da loro stava la frontiera che lui aveva oltrepassato pochi anni prima e che lei non avrebbe visto mai: sapeva però l’avesse attraversata, e non riusciva a pretendere da lui nessun altro passato. Nina avrebbe voluto indagargli i traumi e i dolori, epici collettivi e irrimediabili – guardargli le linee della vita sulle mani e delle nocche le screpolature, sapere dove si era rovinato prima di arrivare lì. a sue certe domande scomode rispondeva con dei silenzi, e arrossendo; la metteva a disagio quanto lui non volesse darle confidenza. una sera lei per tatto non gli aveva chiesto niente - e lui, per caso, si era ritrovato a raccontarle uno squarcio della sua infanzia di là: le aveva insegnato che il peggio non era mai generico-asettico (iniziare a lavorare a nove anni, per esempio), ma sempre vissuto da dentro, sofferto da dietro le palpebre (staccare dall'officina e non poter abbracciare nessuno, giocare con nessuno, per il grasso e i solventi chimici e il sudore). soprattutto (le aveva insegnato) che lei non era solo una giornalista, e lui non un rifugiato soltanto (d’altronde non avrebbe mai delegato a nessun documento nemmeno un coccio della sua identità). per quell’ultimo smacco lo sguardo di Nina si era abbassato quasi impercettibilmente, ma poi si era finalmente arreso: non c’era nessun romanticismo lì, nessuna stoica o eroica oppressione da romanticizzare: solo vita che scorreva. qualche sera dopo seduti al parco davanti alla moschea lui l’aveva redarguita per la birra troppo in vista e poi (bevendo lui stesso) le aveva raccontato di una ricerca che aveva fatto da ragazzino, sulla diffusione del porno in un paese conservatore come il suo / e anche di suo padre che era cieco da anni ma che ancora sapeva preparare la cena ogni sera per la moglie. erano già passati molti giorni dalla prima volta che lei aveva saputo ridere di una sua battuta, caustica, sulla dittatura la morte la fuga o la guerra, e adesso sapeva per certo che la cosa più importante che avrebbe imparato da lui era ridere del suo black humour - e non sentirsi in colpa, e non trasfigurarlo.

illustrazione di MARLAMU
Sujet Fanzine - volumi