Guerra d'Etiopia - mappa concettuale
Dopo l’imbarazzante sconfitta diplomatica di Versailles, non era servito neanche il successo di Giolitti nei Trattati di Rapallo del 1920 a togliere la sensazione di amarezza al popolo italiano. Il problema è che questa frustrazione non ha sfogo:
in fin dei conti la Jugoslavia ha ceduto e non ci sono più altre regioni da pretendere, altre terre irredente da reclamare. Il regime fascista nella sua fase iniziale non riesce a dare un vero obiettivo strategico alle folle, quel che rimane è una denuncia aperta e netta nei confronti del sistema creato a Versailles. Ma mentre Mussolini si presenta a Stresa per assicurare la pace in Europa, i piani sono già in movimento per un nuovo conflitto: l’Italia ha un conto in sospeso in Africa. L’onta della sconfitta di Adua del 1896 deve essere vendicata, per il Duce l’Italia fascista riuscirà dove l’Italia liberale ha così sonoramente fallito. Ma il regno di Etiopia fa parte della Società delle Nazioni, non è accettabile che uno dei suoi membri venga cancellato dalle mappe. La Francia e la Gran Bretagna minacciano il Duce di non andare oltre. Ma con un fascistissimo “me ne frego” Mussolini va avanti con i suoi piani: il 3 ottobre 1935 le truppe italiane del generale De Bono entrano in Etiopia. Il popolo è ispirato, il re in persona dà la sua benedizione e persino alcuni antifascisti sono d’accordo con la campagna; una mobilitazione popolare senza precedenti attraversa il paese. L’Etiopia però non se ne andrà gentilmente nella notte: per sette mesi il negus Hailé Selassié guida la resistenza dell’esercito etiope su ogni valle e su ogni montagna. De Bono viene silurato e sostituito dal maresciallo Pietro Badoglio. Con un esercito forte di 400mila uomini, mezzi corazzati e aerei, è solo questione di tempo per la vittoria: il 5 maggio 1936 le truppe italiane entrano ad Addis Abeba, il negus fugge in esilio. Mussolini dopo la guerra d’Etiopia ha piegato la Società delle Nazioni al suo volere: il Duce sembra inarrestabile. Ma l'eccesso di fiducia è un assassino lento e insidioso. Il regime fascista decide di allargare la propria sfera d’influenza, approfittando anche della guerra civile spagnola scoppiata il 17 luglio 1936, pochi giorni dopo la fine delle sanzioni. Mentre le truppe volontarie italiane e le truppe tedesche della legione Condor combattono fianco a fianco in Spagna, il Duce e il Fuhrer decidono di sedersi allo stesso tavolo. Nonostante la volontà di Hitler, Mussolini cerca in tutti i modi di non far diventare l’asse Roma-Berlino un’alleanza militare.
In fin dei conti il Terzo Reich è una pedina usata dal Duce per mettere pressione sulle potenze occidentali. Hitler non ha intenzione di essere una pedina, la sua politica è troppo veloce, dinamica, aggressiva: il Duce da guida sta diventando gregario. Al capolinea di tutte queste mosse tedesche c’è una guerra per distruggere il sistema creato a Versailles.
Pochi in Europa hanno dubbi a riguardo, ma il Duce crede ancora di poter dialogare con Hitler.
Ma è troppo tardi. l 22 maggio 1939 viene firmato da Ciano e Ribbentrop il patto d’acciaio: un’alleanza militare assoluta, il destino dell’Italia e della Germania, e dei loro leader, sono ora legati indissolubilmente.
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