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LA NEWSLETTER DEL GIOVEDÌ DI ANDREA BATILLA
IL PROBLEMA CON CALVIN KLEIN
Nel 1970 Janis Joplin muore di overdose a soli 27 anni dichiarando la fine, non l’inizio, del divertimento. Lo scandalo Watergate è del 1973 e la crisi petrolifera del 1974. Si frantuma il sogno della partecipazione a un futuro comune e l’individualismo prende il posto dell’idealismo.
Uniti solo da un’idea di successo personale, gli Stati Uniti diventano velocemente una società in cui lavoro e soldi sono gli obiettivi primari. Un modo di vivere che arriverà in Europa quasi una decade più tardi e che trasformerà il modo di pensare e di relazionarsi alla vita stessa.
Cambia il modo di vestire che deve essere pratico, intercambiabile, confortevole ma deve anche, visibilmente, conferire status sociale. Tailoring e suiting sono parole che ricordano la costruzione razionale di un abito e che lasciano meno spazio alla creatività, limitando le possibilità di movimento dei designer. Tutto si semplifica enormemente fino a trovare una collocazione nello spazio culturale del minimalismo, corrente artistica del decennio precedente. Ma solo alcuni designer esplorano questo tema in quanto tale, senza implicazioni sociali: Zoran è uno dei pochi nomi da ricordare che verrà poi seguito in Italia da Romeo Gigli.
Calvin Klein diventa un marchio rilevante, a partire dal 1968, perché definisce i contorni estetici di una parte della cultura statunitense. Il minimalismo, a cui è spesso associato, non è il tratto principale ma il linguaggio, la modalità esplicativa. Calvin Klein raggiunge il successo alla metà degli anni ’70 perché, seguendo l’esempio di Halston, riesce a dare dei codici di riferimento alla nuova classe borghese americana, nello specifico alle donne lavoratrici. Mentre la moda europea, ai suoi minimi storici di popolarità negli Stati Uniti, si muove ancora tra lampadari di cristallo e taffeta ricamati, il mercato americano ricerca praticità e uso quotidiano ed è sempre più lontano da un’idea di lusso stantia e inadeguata.
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Da questa necessità e dal lavoro di personaggi come Jean Muir, Geoffrey Beene, Anne Klein, Bill Blass, Oscar de la Renta e, appunto, Calvin Klein discende il successo di Giorgio Armani che si è formato su questo tipo di gusto: un raffinato sportswear comodo e lussuoso.
Vogue America, in questo contesto, è il portabandiera di una donna che riesce per la prima volta ad affermarsi socialmente senza bisogno di stare accanto a un uomo e che se si vuole divertire paga uno gigolò. Come succedere nel famosissimo film di Schroeder con un Richard Gere vestito, appunto, Giorgio Armani.
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