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Albedo Newsletter - N°28

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

“Ogni storia è una storia sul clima”

Fernand Léger - Women with Parrots [1952]

Lo scorso bookclub di Duegradi abbiamo parlato del libro Paesaggio civile (Opens in a new window) (il Saggiatore, 2022) scritto da Serenella Iovino, professoressa ordinaria di Italianistica e di Environmental Humanities all’University of North Carolina at Chapel Hill. Il libro è molto bello, perché rompe la separazione tra cultura umana e mondo fisico (pietre, animali, paesaggi, eccetera), una separazione che il pensiero europeo dà per assodata da secoli. Non sto qui a ripetere tutto quello che è stato detto tra me e Verdiana Fronza; lo puoi trovare sul post (Opens in a new window) della diretta che è stato pubblicato sulla pagina Instagram di Duegradi. Però c’è un punto che può essere interessante snocciolare meglio qui su Albedo. O meglio, una domanda. Me l’ha posta Verdiana, all’incirca a metà della chiacchierata, ed è: “la consapevolezza della non separazione tra esseri umani e il resto delle entità presenti in natura può aiutarci nell’azione contro la crisi climatica?”. Là per là mi son sentito di rispondere che sì, certo, questa postura culturale può aiutarci indubbiamente.


Mi rendo conto però che la risposta va approfondita, perché questo legame tra un proposito così astratto, come un concetto culturale, e un fare così concreto, come l’azione per il clima, non è immediato. Per farlo comincio prendendo a prestito le parole di Philip Roth. 


In una lunga intervista allo scrittore statunitense pubblicata nel 1984 sul The Paris Review, a un certo punto l’intervistatrice, la professoressa Hermione Lee, chiede a Roth se la cultura in cui si è formato abbia influenzato la sua opera. Roth risponde categoricamente di no, in nessun modo. Poi continua e dice: “In un’enorme società commerciale che pretende la completa libertà di espressione, la cultura ne è solamente lo stomaco”. Questa metafora, la società come un corpo, è interessante, più della risposta stessa di Roth. All’interno di un corpo complesso, come quello di una società, la cultura non è né più né meno che il suo stomaco, che è poi uno degli organi che più riesce ad assorbire e rielaborare i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Ma se la cultura è lo stomaco, il cuore e il cervello, cioè gli organi che solitamente riteniamo più importanti, sono altri. Espresso sottotraccia nella metafora di Roth, si intuisce che le dinamiche interne al mondo economico e finanziario, e in parte a quello politico, strettamente connesso con il primo, sono forse gli organi che trainano il corpo umano-società. Eppure non dimentichiamo che se il cuore funziona in un determinato modo, è anche perché è strettamente connesso con tutti gli altri organi con cui esso interagisce. 


Faccio un esempio: la letteratura. Come diceva la traduttrice Martina Testa intervistata in uno degli ultimi numeri (Opens in a new window) di Albedo, non è un caso se la forma letteraria del romanzo, l’esplorazione dell’interiorità del sé dell’essere umano in quanto individuo, abbia trionfato nell’Ottocento e poi anche nei secoli successivi. La ribalta e l’affermazione di questo genere non è qualcosa di scontato, né neutrale. Ci racconta di altro. Probabilmente le peripezie dell’eroe personaggio si sono adattate perfettamente all’epopea della classe sociale emergente, la borghesia industriale. Soprattutto oggi, dove l’autofiction è il genere più utilizzato, la storia dell’ascesa o della caduta di un sé è la narrativa più interessante da leggere.


Per fare un altro esempio, cambiamo settore e passiamo alla spiritualità. Qualche settimana fa lo scrittore di Duegradi Tommaso Masi mi raccontava di quanto il mito dell’origine di tipo religioso abbia influenzato, anche in modi a noi sconosciuti, la visione che un popolo ha del mondo. E così nella visione giudaico-cristiana, cioè la nostra, Dio crea il mondo in sei giorni, poi crea l’uomo, “a sua immagine e somiglianza” e lo pone a “dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen, 1,26). Da qui emerge che l’essere umano è il centro della creazione, e che la natura viene consegnata all’uomo per essere usata ("soggiogate la terra", Gen 1,28). Di conseguenza nel mito si ha un rapporto essere umano/natura di tipo strumentale. Il mondo naturale non ha valore morale intrinseco, salvo quando è utile all’uomo. In altri miti dell’origine le cose sono diverse. Ad esempio in gran parte delle culture amerinde la Terra è Madre, e gli animali sono sacri, dotati di anima e spesso di qualità superiori a quelle degli esseri umani. Da questo punto di vista, retrospettivamente, il capitalismo, che mette in pratica nella produzione questo rapporto strumentale con la natura, non poteva che nascere in questa parte del mondo: tra l’Europa e il medio Oriente.


Insomma, letteratura o spiritualità, tutte le questioni culturali dominanti vanno più o meno a braccetto con la strada intrapresa da un certo tipo di società. L’affermazione di un modello economico non è sconnesso da una certa preferenza letteraria o dall’emersione di un genere musicale o da un certo tipo di intrattenimento. Pertanto: se attualmente le serie tv sono uno dei prodotti culturali più consumati, delle motivazioni al di là dell’esplosione di Netflix ci saranno. Così come se oggi la maggior parte delle librerie fisiche sta scomparendo, qualche cosa che non c’entra nulla con Amazon, i costi degli affitti, i devices digitali, vorrà pur significare. 


La società umana è un corpo, intimamente collegato con l’ambiente fisico in cui si sviluppa. La prima legge dell’ecologia del biologo Barry Commoner è che “ogni cosa è connessa con qualsiasi altra cosa”. Quindi se la cultura - come ha scritto Pasolini nei suoi Scritti corsari - produce codici, i codici a loro volta producono comportamenti, e i comportamenti linguaggi, per agire contro la crisi climatica a noi tocca modificare tutto: tutti i codici, i comportamenti e i linguaggi che utilizziamo giorno per giorno. Ecco perché più che transizione, a me piace parlare di metamorfosi. Così come la farfalla è un insetto quasi completamente diverso dal bruco, noi non dobbiamo passare semplicemente da un punto A a un punto B, no, dobbiamo proprio cambiare alfabeto, codice segnico di riferimento: dobbiamo passare da un punto A a un punto 〄, da un punto B a 〰. Per ristabilire il rapporto con l’ambiente in cui viviamo e le altre forme viventi, discutere politicamente su quale sia il sistema di produzione energetico meno impattante, oppure la mobilità più sostenibile, o il modo di riscaldare gli edifici più virtuoso, da soli non bastano. 


C’è una parte molto bella del libro di Emanuele Coccia, Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita (Einaudi, 2022), in cui il filosofo italo-francese spiega perché le rivoluzioni politiche del secolo scorso non hanno funzionato. Il motivo è che volevano cambiare il mondo, senza voler cambiare internamente come siamo fatti. Pertanto bisogna partire da qui, cambiare sia il mondo, sia come siamo fatti, le nostre opinioni, gli atteggiamenti, il modo di essere. In una parola: la nostra cultura. E per cambiare come siamo fatti è importante anche ragionare su perché scegliamo un genere letterario e non un altro, che tipo di spiritualità desideriamo avere…e quindi, finalmente, che tipo di rapporto abbiamo con gli altri esseri viventi, che codici usiamo per relazionarci con essi, quali comportamenti, quali parole. Questi aspetti, che sembrano immateriali, effimeri, contano tanto quanto scegliere come far funzionare i sistemi alimentari, o come produciamo gli abiti che vestiamo, o far riconoscere la responsabilità dei combustibili fossili all’interno dei negoziati internazionali sul clima, tutte questioni politiche che sono al centro della lotta ai cambiamenti climatici. “Per vedere davvero l’Antropocene - scrive Serenella Iovino nel suo Paesaggio civile - dobbiamo imparare a collocarlo nei luoghi, a riconoscerne i volti: e questi luoghi e questi volti spesso sono i nostri”. Cambiare i nostri riferimenti culturali è tanto importante quanto vincere grandi battaglie politiche. Ecco perché, come ha scritto qualcuna, anche se non sembra, “ogni storia è una storia sul clima (Opens in a new window)”.


Albedo di maggio finisce qua. Come forse avrai notato dalle nostre pagine social, il bookclub di maggio ha come ospite speciale lo scrittore ambientale Ferdinando Cotugno, e il suo primo romanzo Tempo di ritorno (Guanda, 2025). Come ha scritto Cotugno, questo romanzo “non è una storia di clima ma, come ogni storia, è anche una storia di clima”. Tante sono le domande che abbiamo desiderio di porre a Ferdinando, ma se anche tu hai letto il libro potrai partecipare alla diretta e scriverci le domande che ti piacerebbe fare all’autore. Su Albedo invece ci risentiamo a giugno. Quando già starà cominciando l’estate, che anche quest’anno si prevede calda ed estrema. Quindi stai al fresco e bevi spesso. Ciao!

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