Albedo Newsletter - N°15
Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.
La prima è una sorta di editoriale;
la seconda è un consiglio di lettura;
nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;
la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;
l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.
I limiti della scrittura
(Opens in a new window)L’estratto di un video presente all’installazione dell’8 febbraio Cave Aquam. © Cave Aquam
Lo scorso 8 febbraio ho assistito a Roma all'installazione Cave Aquam, un “progetto collaborativo” realizzato da un collettivo formato da: Anastasia Solazzo, Arianna Cianetti, Cecilia Blanco, Cristina Martone, Davide De Lillis, Laura Landi, Lucia Tedesco, Paola Pietronave. Otto persone diverse, che attualmente vivono in città diverse, con vite altrettanto diverse - mondo accademico, museale, di ricerca, attivismo, terzo settore, artiste multidisciplinari… Insomma otto sensibilità diversissime convogliate in un'unica installazione multimediale e artistica, di cui - come puoi immaginare - è difficile trovare una definizione.
Ci ho provato lo stesso e ne è venuto fuori questo elenco. Cave Aquam è un racconto, un'esposizione fotografica, una raccolta audiovisuale, una ricerca documentale d’archivio, un’indagine diaristica sull’origine di una pianta, il monitoraggio della salubrità dell’acqua di un fiume; ma anche la denuncia di un luogo di scarto, anzi di luoghi di scarto, ai margini della geografia del Capitale; Cave Aquam è un insieme di conflitti ambientali e sociali; un incontro con i movimenti sociali presenti sul territorio; una ricerca tra temporalità e spazialità diverse; un approccio autoriale collettivo… Cave Aquam è tutto questo, e altro ancora, perché in fondo Cave Aquam è la restituzione di un’esperienza vissuta in maniera collettiva.
La ricerca (ancora in corso) da cui nasce il progetto ruota attorno alle vicende legate all’estrattivismo delle cave di travertino presenti nei territori di Tivoli e Guidonia, vicino Roma. Il Colosseo, teatro Marcello, fontana di Trevi, Piazza del Popolo: dalle cave di Tivoli si è estratto il travertino che ha dato solidità a gran parte dell’idea astratta che abbiamo dell’antica Roma. Il nome stesso, travertino, deriva da lapis tiburtinus, cioè pietra di Tibur (Tivoli). Più di recente queste cave sono servite a dare materialità anche ad altre costruzioni sparse qua e là per il mondo, dalla Cina al Brasile, passando per gli Stati Uniti.
Se è vero che Cave Aquam è un'installazione difficile da definire, sicuramente però il suo punto di partenza, la sorgente dell'esperienza comune che l’ha generata, sono le ingiustizie ambientali e sociali generate dall’estrattivismo del travertino, che ha calpestato diritti, elementi naturali e persone, tra Roma e dintorni (ma non solo: una parte della ricerca ha come oggetto, per affinità di tema, le conseguenze dell’estrazione del marmo nella Alpi Apuane).
Foto delle installazioni scattate il giorno della mostra. © Cave Aquam, Cristina Martone
Consiglio di vederla l’installazione (è probabile che ci sarà un bis in un’altra città d’Italia, se ho aggiornamenti, ti dico). Ad ogni modo è interessante parlarne qui su Albedo per un motivo.
Primo perché le installazioni artistiche sono un’esperienza da fare una volta nella vita, almeno per osservare il bizzarro rapporto che si instaura tra gli spettatori e le varie installazioni (per me i preferiti sono di gran lunga quelli che rimangono tutto il tempo al banchetto degli aperitivi). Scherzi a parte, io il giorno di Cave Aquam vagavo nella sala dando un’occhiata un po’ di qua e un po’ di là, e facendo essenzialmente una cosa: domandare alle varie autrici "sei stata tu a scattare queste foto?”, “questo video chi l’ha realizzato, sei stata te?”, “il brano della città invisibile di Calvino invece l’avrai inserito te”. In pratica, non avevo capito nulla. A chiunque mi accostavo, la risposta che ricevevo era più o meno sempre la stessa: “guarda, in realtà è il contrario: in Cave Aquam il singolo autore è poco importante, ciò che conta è il pensiero collettivo che c’è dietro”. E allora, stupito, non mi rimaneva che stare in silenzio, o al limite farfugliare parole senza senso per dissimulare che mi sentivo uno sciocco, e non sapevo nemmeno bene il perché.
Quindi le settimane successive le ho passate a parlare con le autrici di Cave Aquam per cercare di figurarmi cosa fossero in concreto un pensiero collettivo, una rappresentazione artistica collettiva.
“Il testo scritto da solo non avrebbe reso. Doveva venir fuori la multidisciplinarietà, ecco perché è nata una mostra” spiega Anastasia Sollazzo, laureata in economia e valorizzazione del patrimonio turistico. “Nessuno, da solo, sarebbe riuscito a realizzare un progetto del genere” fanno da contrappunto le parole di Cristina Martone, idrogeologa che lavora all’ISPRA. “Se lavori come collettivo riesci a fare ciò che da solo non sei in grado di fare” le fa eco Davide de Lillis, artista multidisciplinare ed educatore somatico. “Questo tipo di lavoro ti permette di uscire fuori dalle tue abitudini. Certo, ci sono dei momenti di stallo in cui uno si incaponisce perché vorrebbe fare le cose a suo modo. Questo succede sempre. Però questo tipo di lavoro, tra personalità così diverse, è un processo di apprendimento che per me è bellissimo".
“Secondo me un pensiero collettivo è sempre meglio di un pensiero individuale” afferma la sociologa e artista Cecilia Blanco. “Ha bisogno di più tempo, bisogna stare a capire le sensibilità di ognuno, però poi produce molto più materiale”. “È molto importante la modalità con cui avviene lo scambio, la mediazione tra le varie individualità, soprattutto quando ci si conosce poco. Bisogna stare attenti agli altri: se sei predisposto ad ascoltare, se sei aperto a ciò che ti viene detto, ricevi le cose in un modo diverso”.
Foto scattate il giorno della mostra. © Cave Aquam, Cristina Martone
“Lavorare in questo modo ci ha aiutato a rendere giustizia alla complessità del tema” afferma Lucia Tedesco, storica e filosofa dell’ambiente. “I nostri diversi background ci hanno permesso di creare una sorta di rizoma che va in tutte le direzioni, mantenendo allo stesso tempo una struttura di connessioni non gerarchica” spiega Davide de Lillis.
Insomma dalle parole delle intervistate si intuiva che in lavori artistici come Cave Aquam le singole individualità vengono diluite, perdono man mano peso specifico. Le diversità si assottigliano per dare forma a una sostanza umana comune.
Anche l’idea di autorialità cambia. “La ricchezza del nostro lavoro non sta nel fatto che tutte hanno realizzato le stesse cose, ma nell’averle realizzate diversamente e aver cercato poi di tradurle, mescolarle, con quelle degli altri. In questo modo si è depotenziato il concetto diffuso dell'opera firmata con il nome di chi l’ha partorita” afferma Arianna Cianetti, che lavora tra terzo settore e l’ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo.
Ecco dunque il motivo per cui facevo difficoltà a capire. Tutto ciò è esattamente l’opposto di quello che sto facendo io in questo momento, di quello che in sostanza sono abituato a fare: scrivere. Sì, ci sono le interviste, bisogna ascoltare attentamente le parole degli altri, è vero. Ma da un certo punto di vista la scrittura è limitata: oltre ai limiti intrinseci della scelta di una certa lingua, e a quelli più generali del linguaggio umano, esiste il limite della cassa di risonanza interna. Spesso, soprattutto quando non si ha bene in mente un destinatario specifico, la scrittura non è altro che un soliloquio, un monologo interiore; a conversare sono le varie voci che compongono una singola persona, e il tutto è circoscritto a un involucro, per quanto multiforme e ipertrofico, comunque determinato: l’io. In Cave Aquam l’io invece si è espanso per contenere un noi; un noi anche abbastanza variegato.
E questo forse è l’unico modo per rappresentare la complessità di certe questioni ambientali e sociali che ci riguardano. Ti immagini un individuo che sia, allo stesso tempo, artista multidisciplinare, istruttore di Feldenkrais, filosofa e storica dell’ambiente, lavoratrice museale, fotografa, attivista sociale, idrogeologa, eccetera eccetera…? Un bel rimescolio di conoscenze e di esperienze, no? Molto più complete di un singolo autore che metabolizza parole altrui e poi le restituisce scrivendo qualcosa.
Certo, realizzare lavori del genere non è facile, ci sono attriti e spigolosità fisiologiche: è l’io che si mette in discussione. Ma come spiega Cecilia Blando “la cosa importante è che ogni componente deve trovare un posto in questa diversità, un posto in cui si sente comodo”.
Per marzo è tutto. Tra pochi giorni è Pasqua, non so se sei musulmano, ebreo, cristiano, induista o non so che altro. Ecco, a proposito di conoscere il destinatario a cui si scrive, sarebbe bello un identikit di tutti e 958 tra lettori e lettrici che seguono Albedo. Lo scorso mese, quando abbiamo parlato di San Martino Valle Caudina, uno dei nostri lettori ci ha scritto che conosce bene quei luoghi perché vi ha passato un periodo importante della sua vita. È stato molto bello ricevere la sua mail. Noi della redazione ci emozioniamo con poco. Se vuoi farci emozionare scrivici a sebastiano.santoro@duegradi.eu (Opens in a new window). Se invece hai ricevuto questa newsletter e vuoi iscriverti, clicca qui. (Opens in a new window)
Noi ci sentiamo il mese prossimo!
Consigli di lettura
Questo mese pochi consigli di lettura. Su una notizia però non potevo non aggiornarti, è stata l’oggetto del numero 11 di Albedo: la commissione responsabile del riconoscimento delle epoche nella scala del tempo geologico ha deciso che no, Antropocene non è il nome dell’epoca geologica che stiamo vivendo. (Opens in a new window)
Ma questo, come già scritto nel numero di Albedo citato, non significa che ormai questa parola non sia entrata di diritto nel nostro lessico comune (Opens in a new window). E abbia quindi un significato al di là del responso della commissione.
Gli ultimi articoli di Duegradi
Quinto capitolo della serie di articoli Energie: Diego Michielin parla questa volta dell’energia eolica. (Opens in a new window)
Virginia Mattioda esplora il motivo per cui la comunicazione attuale sulla crisi climatica non ha coinv (Opens in a new window)olto un pubblico vastissimo.
Federica Cappelli spiega perché la distanza tra emissioni nette zero e azzerare completamente le emissioni (Opens in a new window) può essere più pericolosa di quello che si crede.
Per la rubrica di febbraio Le parole sono importanti (Opens in a new window), Giordano Zambelli ci parla della (falsa) alternativa tra lavoro e transizione energetica.
Lavoro e formazione
L’organizzazione Clear Air Fund sta cercando un/a responsabile (Opens in a new window) scientifica per l’area super inquinanti.
A Bruxelles la Federazione Agroforestale Europea sta cercando un/a project officer. (Opens in a new window)
Legambiente cerca un/a corporate fundraiser (Opens in a new window) a Roma.
Riflessi: qualche numero dal pianeta Terra
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Gli anni passati dal primo sciopero globale per il clima organizzato da Fridays for future, il 15 marzo del 2019.