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Il caso di Christian Raimo e la necessità di difendere la libertà di opinione.

Di recente Christian Raimo, docente e scrittore, è stato sospeso dall’insegnamento per tre mesi con riduzione dello stipendio dopo aver criticato pubblicamente il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Valditara. Raimo è stato punito per un linguaggio che, secondo i detrattori, sarebbe offensivo e lesivo dell’immagine dell’istituzione scolastica.

Nicola Lagioia, su Lucy - Sulla Cultura (Öffnet in neuem Fenster), ribatte lucidamente che l’attacco di Raimo non era rivolto all’istituzione in sé, bensì al ministro, figura transitoria il cui operato può essere legittimamente criticato. Se, come Raimo sostiene, Valditara sta minando la scuola pubblica, allora criticare il ministro significa difendere l’istituzione stessa. Lagioia evidenzia inoltre la natura iperbolica e figurativa del linguaggio di Raimo, che ha paragonato Valditara alla Morte Nera di Star Wars, evocando la necessità di colpirlo "sul piano politico, non materiale". Questa scelta di immagini, pur evidentemente metaforica, è stata distorta dai critici per suggerire intenti violenti.

Oggi il linguaggio simbolico e letterario sembra essere percepito come più pericoloso rispetto a comportamenti concreti: un’ironia amara, considerando che nello stesso periodo Emanuele Pozzolo, deputato coinvolto in una reale sparatoria di Capodanno, è stato premiato con una promozione. Punire Raimo significa lanciare un messaggio a tutti gli insegnanti, una categoria numerosa e spesso ricattabile, sulla necessità di autocensurarsi. Il tutto avviene in un clima surreale, dove la distinzione tra critica legittima e attacco personale viene deliberatamente offuscata.

C’è però chi ha trovato inaccettabile il registro linguistico che Raimo ha usato verso le idee (e non la persona) del ministro (“tutto quello che dice è talmente arrogante, cialtrone, lurido, che è facile vederlo”) e adeguata la punizione. Chi lo sostiene è spesso in buonafede, ma a mio parere cade in una trappola retorica. Possiamo non essere d’accordo con le parole di Raimo, o persino trovarle rudi, ma si tratta di una forma di dissenso che va dal basso all’alto: da una persona meno potente e una più potente. Su un giornale si legge che “la frase di Raimo appartiene a quel linguaggio d’odio sempre denunciato e stigmatizzato dalla sinistra”. Le facili – quanto errate – analogie che vengono fatte con l’ hate speech o la protezione delle minoranze oppresse è gravemente inesatta: in quel caso le offese vanno dall’alto verso il basso, da chi ha più potere a chi ne ha meno. E più grave Trump che dice che Haiti, El Salvador e alcuni paesi africani sono "shithole countries" (Öffnet in neuem Fenster) che un abitante di uno questi paesi che dice che Trump è un [inserisci qualunque offesa]. Se non ce ne accorgiamo, abbiamo un problema.

Francesco D’Isa

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Mario Cocchi, Ritratto di Gemmina Citti, courtesy Pananti (Öffnet in neuem Fenster)

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