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IL CROMO-FELICIOMETRO A DENSITA’ VARIABILE

di Giuseppe Paschetto

Dopo la pubblicazione dell’introduzione del mio libro “Una scuola a misura dei sogni” della scorsa settimana continuo la pubblicazione degli altri capitoli.

Sono già stati pubblicati nelle settimane scorse un capitolo sulla modalità di proposta delle verifiche e su “Un espressionismo pedagogico astratto”.

Quattro ragazzi allegri mostrano il cromo feliciometro
di Giusepe Paschetto

IL CROMO-FELICIOMETRO A DENSITA’ VARIABILE

Nel 2018 presentai un piano di miglioramento dell’istituto basato sul concetto di felicità scolastica.

Un vero e proprio scandalo! Se usato in quest’ambito, il termine felicità sembra una contraddizione in termini, eppure io sognavo alunni felici di venire a scuola.

Per sviluppare la proposta, mi basai su un concetto più ampio e affascinante: la Felicità interna lorda al posto del Prodotto interno lordo, usata come termometro sociale dal piccolo Stato del Bhutan.

Il FIL al posto del PIL insomma. Il mio assunto era semplice e nasceva da anni di esperienza d’insegnamento: i bambini da zero a tre anni imparano mentre giocano, vivono giocando e imparando al tempo stesso, questo percorso virtuoso è una fonte di infinite domande, curiosità e felicità.

Perché mai le cose devono cambiare drasticamente quando a sei anni si comincia a studiare? Le esperienze di scuole libertarie, nel bosco, montessoriane, steineriane, dimostrano chiaramente che un percorso virtuoso si può intraprendere e che la scommessa può essere alla portata anche della scuola statale.

Inaspettatamente, il mio progetto fu approvato con grande entusiasmo dal Collegio docenti. Si trattava di un documento che prospettava nel dettaglio tutti i passi per costruire la scuola della felicità. Poi si sa che le idee viaggiano sulle gambe delle persone e un principio può essere declinato in vari modi.

La piccola scuola di Mosso il concetto di felicità l’ha interpretato alla lettera e così abbiamo iniziato a scardinare tutti quegli elementi che si credono pilastri fondanti dell’idea stessa di scuola. Via i banchi in fila e le cattedre, via libri e compiti, abolite le verifiche vissute con angoscia, aboliti i voti calati dall’alto e gli orari scolastici rigidi. Benvenuti il coinvolgimento attivo dei genitori come parte della comunità educante, l’esercizio continuo dell’empatia e l’individualizzazione dei percorsi educativi.

Di solito a scuola gli alunni tendono a distinguere le attività in questo modo: ci sono le lezioni, intese come attività obbligatorie, che comportano verifiche, voti, compiti, a volte noia e scarsa motivazione; ci sono i progetti, che possono essere piacevoli, particolari, spesso interdisciplinari, motivanti, ma comunque accessori più che parte integrante dei corsi scolastici; infine le uscite, desiderabili, rilassanti e ricreative.

Quella che ho in mente è una scuola in cui lezioni, progetti, uscite perdano i connotati a cui accennavo per divenire elementi inseparabili di un unico processo educativo, cui si impara con piacere e motivazione, in cui le lezioni, i «progetti» interdisciplinari, il territorio, l’ambiente naturale, si miscelano in modo armonico nel processo di crescita culturale e educativa degli studenti La scuola non dovrebbe essere percepita dagli alunni come una cosa a sé, ma come una seconda casa, come un luogo in cui andare volentieri e non perché obbligati.

La scuola invece spesso viene assimilata all’idea di fabbrica, oppure a quella di caserma o addirittura di prigione, con tutti i corollari e i riti che tale assimilazione comporta. L’intervallo vissuto come ora d’aria, il momento più atteso della mattinata, la campanella come la sirena della fabbrica, il countdown dei giorni mancanti alla fine dell’anno scolastico come il rito antico del soldato di leva nell’attesa del congedo finale, il bullismo come equivalente del nonnismo, la disciplina e le punizioni, i voti e le note, la cattedra come simbolo fisico di autorità.

Una volta costruita la scuola a misura di alunno, in cui imparare non è sinonimo di fatica fine a sé stessa ma vero piacere, si sono creati i presupposti per la felicità scolastica. Ma quali sono gli indicatori per capire se gli alunni sono davvero felici di venire a scuola? Il primo consiste nell’osservare il volto dei nostri alunni e il loro modo di comportarsi: se sono sereni, allegri, aperti, educati, non aggressivi, indipendenti e propositivi, è sicuramente un buon segno.

Dopo la mia nomina tra i finalisti al concorso internazionale Global Teacher Prize, sono venuti da noi diversi insegnanti di altre scuole, giornali, televisioni.

E se ne andavano sempre stupiti di quanto fossero interessati e partecipi i nostri alunni.

Il secondo indicatore è la presenza dei ragazzi a scuola dopo la fine delle lezioni. Tutte le volte che organizziamo serate per la presentazione dei nostri progetti, oppure pomeriggi di attività facoltative, gli alunni accorrono in massa.

Capita di doverli cacciare fuori quasi a forza perché resterebbero pure a dormire. Un terzo indicatore è l’assoluta assenza di bullismo, vandalismo e furti. Se gli alunni percepiscono la scuola come casa propria perché dovrebbero rubare o fare danni? La cura che mettiamo nell’educazione ai rapporti e nell’accettazione di tutte le diversità fa sì che veri episodi di bullismo non ce ne siano e che quando nascono problemi interpersonali vengano affrontati tempestivamente.

A questo proposito è molto utile la Scatola dei pensieri: un contenitore di legno messo in corridoio in cui gli studenti possono introdurre biglietti che segnalino problemi sorti nell’ambiente scolastico ma anche in quello famigliare.

Ho pensato poi a un altro tipo di valutazione della felicità scolastica, una scheda anonima in cui si deve riempire la sagoma di un cilindro graduato con colori diversi secondo queste indicazioni: il rosso indica la scuola percepita come esperienza noiosa o comunque negativa, il giallo la rappresenta come esperienza utile ma non interessante e tanto meno fonte di felicità, il verde identifica nella scuola una pratica utile e pure interessante ma non tanto da rendere felici, infine l’azzurro rappresenta proprio la scuola come fonte di felicità.

Ogni colore è usato proporzionalmente alle caratteristiche indicate. Nella stessa scheda c’è la possibilità di motivare le scelte, di indicare ciò che potrebbe spostare la scelta in modo maggiore verso l’azzurro. Infine, gli alunni possono esprimere valutazioni positive o critiche rispetto ai singoli insegnanti. Da queste schede nasce il bizzarro strumento chiamato feliciometro. Il misuratore di felicità interna lorda di ogni classe è costituito da una provetta che viene riempita con un liquido rosso, uno giallo, uno verde, uno azzurro, tenendo conto della media delle scelte fatte nelle schede dai singoli alunni di quella classe.

Prendendo spunto dall’esperienza scientifica sul principio di Archimede e la spinta idrostatica, ho preparato i seguenti liquidi: il colorante rosso è sciolto in sciroppo di zucchero concentrato, il giallo in glicerina, il verde in acqua e l’azzurro in alcol, in ordine decrescente di densità. Le provette sono graduate e vengono riempite prima con il pesante liquido rosso della noia, e poi versando gli altri fluidi per impedirne la mescolanza e così segue il giallo, poi il verde e infine il leggero alcol colorato di azzurro. Il feliciometro è così pronto, fornendoci immediatamente la percezione cromatica della felicità scolastica di una classe.

Kategorie Didattica