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Una scuola a misura dei sogni

di Giuseppe Paschetto

foto di un aula con pianoforte a mezzacoda e leggii su cui si vedonno più copie di "Una  scuola a misura dei sogni2 di Giuseppe Paschetto
di Giuseppe Paschetto

Nel 2019 ero stato inserito tra i 50 finalisti del prestigioso premio internazionale sulla scuola Global Teacher Prize e le Edizioni Vallardi mi avevano proposto di scrivere un libro sulla mia esperienza di insegnante e sul mio metodo. Entro la fine dell’estate avevo finito la stesura e nei successivi 12 mesi si sarebbe sviluppata l’attività di editing. A inizio febbraio 2020 ero stato nominato dalla neo ministra all’istruzione Lucia Azzolina suo consigliere per l’innovazione e la formazione. Purtroppo entro la fine del mese avrebbe fatto irruzione la pandemia Covid19 e quasi tutta l’attività del ministero era stata impegnata nell’affrontare un’emergenza mai vista dal dopoguerra in poi. La ministra aveva fatto del suo meglio e continuo a considerarla tra le migliori che si siano cimentate nella titanica impresa di governare e migliorare la scuola italiana. Ma a parte l’oggettiva enorme difficoltà di affrontare la pandemia il livello della politica in Italia è quello che sappiamo e Lucia Azzolina era stata massacrata con la narrazione infame dei “banchi a rotelle”. Ed era finita in breve sotto scorta. Le avevo chiesto di scrivermi l’introduzione al libro che aveva visto la luce solo nell’ottobre 2020, quindi in piena bufera pandemica. “Una scuola a misura dei sogni”, questo il titolo del mio libro, era stato una delle vittime del Covid. L’unica presentazione che era stato possibile fare era quella online dall’aula magna del liceo scientifico di Biella organizzata dall’allora dirigente scolastico Dino Gentile e con la partecipazione, oltre alla ministra, della dirigente dell’ufficio scolastico provinciale Giuseppina Motisi, della dirigente della San Francesco Monica Pisu e di Lorenzo Iorfino per gli studenti. A fine 2022 dopo soli due anni la casa editrice per motivi di riorganizzazione dei magazzini toglieva dalla produzione il libro. Ho proposto così a “Imparare Facendo” di pubblicare qui, a puntate settimanali, i capitoli del libro compresi diversi aggiornamenti. Cominciamo dall’introduzione originale del 2019 che fa riferimento al mezzo secolo passato dagli eventi di fine anni sessanta. Nel frattempo di anni ne sono passati altri 6, è arrivato il ministro della destra Valditara con le sue nuove Indicazioni Nazionali, troppe scuole sono ancora legate a modelli trasmissivi ma per fortuna nuovi fermenti pedagogici si affermano e tra di essi la bella esperienza di “Imparare Facendo” con il suo libro a cui anch’io ho dato un contributo.

DA WOODSTOCK AL GLOBAL TEACHER PRIZE

Mentre terminavo di scrivere questo libro ricorreva il cinquantesimo anniversario di Woodstock, il più grande evento rock della storia. In quel formidabile anno 1969 avevo quattordici anni e il mondo era molto diverso da come lo vediamo oggi. Nelle strade c’erano le Fiat 124 e ora ci sono automobili che parcheggiano da sole, dappertutto c’erano cabine telefoniche a gettone e ora ci sono gli smartphone, usavamo le macchine da scrivere e adesso abbiamo i computer, sentivamo la musica dei miti di Woodstock con i dischi in vinile e ora ascoltiamo ancora Jimi Hendrix, Bob Dylan, Janis Joplin ma i vecchi dischi sono oggetti d’antiquariato. Penso a quanto la società si è trasformata. Eppure, la scuola è rimasta immobile. Cinquant’anni fa frequentavo la terza media, c’erano i voti e il voto di condotta, i compiti in classe e i compiti a casa, i banchi in file, i professori che parlavano e gli studenti che ascoltavano. Oggi abbiamo ancora i voti e il voto di condotta, i compiti in classe e i compiti a casa, i banchi in file, i professori che parlano e gli studenti. che ascoltano. Pare proprio che la scuola non sia stata al passo con i progressi del resto della società. Certo, ora ci sono le LIM e i registri elettronici, i portatili e i tablet, ma la rivoluzione digitale nelle aule ho la sensazione che riguardi più la carrozzeria che il motore della macchina scuola, che abbia modificato la superficie senza avere cambiato il cuore. Che la scuola sia rimasta, insomma, in gran parte simile a quella degli anni Sessanta. Certo, nella scuola italiana odierna non mancano esperienze di assoluta eccellenza, sperimentazioni e innovazioni significative, figure di insegnanti che svolgono un ruolo che va oltre il loro dovere professionale, spesso veri e propri eroi di resistenza civile nelle periferie e nelle aree più disagiate del Paese, dove la scuola rappresenta l’unica e ultima frontiera dello Stato, della legalità, dei diritti civili. Ma è indubbio che una fetta troppo grande della scuola italiana galleggi in un’area grigia in cui fatica a svolgere il fondamentale ruolo sociale a cui è chiamata dalla Costituzione. Oggi in Italia abbiamo perlopiù aule piene di schiere di alunni demotivati, annoiati, rassegnati e immobilizzati nei banchi e nelle rigide consuetudini di una istituzione restia a innovarsi. Spesso il malessere derivante dal trovarsi rinchiusi in quella che pare una istituzione totalizzante simile a una fabbrica, una prigione, una caserma, produce fenomeni di ribellione perversi e violenti che prendono di mira docenti spaesati, ormai privati di una identità professionale e sociale che un tempo possedevano e dava loro sicurezza e autostima. Gli eccessi, le prevaricazioni e le violenze assurgono agli onori della cronaca per qualche giorno ma poi vengono archiviati come prassi. La situazione «grigia» generalizzata della scuola italiana rimane sottotraccia. Nella mia lunga esperienza di insegnante di scuola media, quella che ora si chiama secondaria di primo grado, ho cercato di introdurre delle innovazioni che permettessero di far vedere ai ragazzi la scuola per quello che dovrebbe essere, ovvero una straordinaria opportunità per la loro vita, un’opportunità che alla maggior parte dei bambini e dei ragazzi del mondo è preclusa, a causa di guerre, miseria e conflitti sociali. Con il passare degli anni però il mio obiettivo è andato oltre, cercando di far percepire l’esperienza scolastica non solo come utile e interessante, ma come esperienza da vivere appieno, con gioia. Queste innovazioni mi sono state riconosciute nel 2019 dalla Varkey Foundation di Londra, che mi ha inserito come unico insegnante italiano tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize. Grazie a ciò ho partecipato alla fase finale del premio internazionale a Dubai e al Forum mondiale sull’educazione e le competenze. In questo libro racconto come è possibile cambiare la scuola in poche mosse. Non si tratta di un esercizio accademico ma di realtà vissuta sul campo, quella di una rivoluzione senza spargimento di sangue, attuata nella mia scuola con l’adesione di alunni, colleghi e genitori. Una rivoluzione che ha dimostrato come si possano una serie di barriere, eliminare connotati che si è abituati a individuare come pilastri fondanti della scuola, abbattendo i quali è la istituzione scolastica stessa a crollare. Perché si è sempre fatto così. Perché il cambiamento spaventa. Ma non è più tollerabile avere alunni che vengono a scuola solo perché obbligati a farlo. Senza bussola, motivazioni, orizzonti culturali ampi, slanci emotivi. Cambiare si può. Il libro è suddiviso in due parti: la prima cura l’approccio metodologico, parlando di felicità scolastica, di cooperazione, dell’abbattimento di barriere rispetto agli orari e di spazi di apprendimento, di libri, compiti, pratiche inclusive, verifiche e valutazione; la seconda parte racconta esperienze significative pensate e realizzate nella nostra scuola. Essendo insegnante di matematica e scienze, alcuni capitoli sono dedicati a queste due discipline, ma lo spazio non manca anche per narrazioni che hanno a che fare con ambiente, montagna, viaggi, ricerca storica, mettendo in luce un modo profondamente diverso di concepire la scuola, alla portata di tutti gli insegnanti interessati al cambiamento.



Tópico Didattica