Saltar para o conteúdo principal

Albedo Newsletter - N°27

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Partire da Adolescence, per capire a che punto siamo

Da quello che mi sembra di capire, tra editoria e produzione cinematografica, oggi esiste un approccio comune adottato da buona parte dell’industria culturale: sfornare un tot numero di prodotti - libri o film - e sperare che almeno una piccola percentuale faccia il botto, abbia successo, e così ripagare le spese sostenute durante tutto l’anno per sfornare il tot numero di prodotti. Sull’editoria me lo ha confermato un recente articolo (Abre numa nova janela) di Luca Sofri; non ci vuole poi tanta inventiva per estendere il discorso anche alla produzione cinematografica, in particolar modo le serie tv. Anche se si volesse prestare attenzione, penso che nessuno riuscirebbe a tenere il conto delle serie che vengono distribuite su tutte le piattaforme ogni mese. 


Quindi che una di esse diventi un argomento di discussione internazionale, che spopoli pressoché ovunque, non è poi un risultato così prevedibile, né tanto meno frequente. La serie tv Adolescence è sicuramente una di queste. 


Sia in Italia che all’estero, tantissime sono le opinioni e gli articoli che sono stati scritti dopo la sua uscita. Addirittura nel Regno Unito, dove la serie è stata prodotta, ha generato un dibattito che ha coinvolto il primo ministro Starmer e vari parlamentari inglesi (Abre numa nova janela). Il primo ministro è arrivato addirittura ad affermare che “la serie verrà proiettata nelle scuole gratuitamente, perché penso che i giovani debbano vederla (Abre numa nova janela)”. Se anche tu l’hai vista, sai di cosa sto parlando (se non l’hai vista, attenzione perché da qui in poi ci sono alcuni spoiler). 


La trama di Adolescence è piuttosto semplice: in quattro episodi, la serie racconta il femminicidio di Katie Leonard per mano del suo compagno di classe tredicenne, Jamie Miller. Segue il percorso dell’arresto del ragazzo fino a qualche mese dopo il crimine. L’elemento thriller termina ben presto, perché la serie comincia con l’arresto di Jamie, e il primo episodio termina con la prova evidente della sua colpevolezza. Quindi mi sono chiesto: perché? come mai tutto questo trambusto mediatico? 


Per prima cosa questa serie la si apprezza solo se si parte da un presupposto: sebbene il titolo sia chiaro, questa serie non parla solo dell’adolescenza. Probabilmente uno dei motivi per cui Adolescence è entrata in maniera così pervasiva nel dibattito culturale di paesi così diversi l’uno dall’altro è che, da qualsiasi punto la si guardi, la storia del femminicidio della piccola Katie è un trauma generalizzato che colpisce trasversalmente tutti i personaggi coinvolti. Come scrive (Abre numa nova janela) Massimo Calvi su Avvenire, nel mondo di Adolescence ogni cosa è fuori posto, niente è come vorremmo che fosse: le forze di polizia, la scuola, i vicini di casa, gli studenti, i ragazzi del quartiere, il commesso del negozio, e ovviamente la famiglia di Jamie (specialmente il padre), sono tutte versioni più o meno distopiche di sé stesse (alcune critiche infatti sono arrivate da chi sostiene che i tratti dei personaggi siano stati esasperati eccessivamente (Abre numa nova janela)). Anche la psicologa getta la spugna, nauseata, al termine di un colloquio palpitante con il piccolo ma furioso assassino. In questa comunità di provincia, la colpa per l’omicidio efferato di Katie è una responsabilità condivisa, con un grado più o meno intenso, da tutti i personaggi. Non si può non empatizzare, anche lievemente, con un assassino dal viso angelico di Owen Cooper (il bravissimo e piccolo attore che interpreta Jamie), che quando viene arrestato si fa letteralmente la pipì addosso dalla paura; così come non si può colpevolizzare del tutto la sua famiglia, inconsapevole delle incontrollabili dinamiche - social e sociali - che maceravano nella psiche del figlio. Da un certo punto di vista, tutti i personaggi sono colpevoli e, a loro volta, vittime di quello che è accaduto. Tant’è che la vera vittima, Katie, la si conosce solo per poche e superficiali informazioni. 


Insomma è attorno all’esperienza del trauma, e all’atmosfera angosciosa che da esso ne deriva (resa molto bene dal sonoro, dal ritmo concitato degli avvenimenti e dalla recitazione), che ruota tutto il girato. E probabilmente anche la nostra morbosità per questa serie. Questa fascinazione così diffusa non è una novità: il trauma è un meccanismo narrativo di successo, che ormai spopola in molti prodotti di fiction.


Che sia un must nei romanzi è ormai appurato. Quattordici anni fa, nel 2011, lo scrittore Daniele Giglioli pubblicava Senza Trauma. Scrittura dell’estremo e narrativa del nuovo millennio (Quodlibet, 2011). Il libro, secondo alcuni (Abre numa nova janela), è una delle opere recenti di critica letteraria più importanti (cioè più lette). Con questo saggio Giglioli analizza la narrativa italiana contemporanea, evidenziando quanto il topos letterario del trauma sia diventato pervasivo in qualsiasi opera. E la cosa, secondo l’autore, riflette una condizione paradossale: in un'epoca caratterizzata dall'assenza di traumi storici significativi - non c’è una guerra mondiale o la minaccia di un’apocalisse nucleare - la letteratura di genere manifesta una tendenza a rappresentare esperienze estreme e traumatiche.


Ora, tralasciando tutto quello che è successo dalla pubblicazione di questo saggio in poi (cito in ordine sparso: terrorismo dell’ISIS, pandemie, guerre più o meno prossime), che da solo potrebbe bastare per intaccare parte dell’impianto argomentativo del testo, a questo punto non ci rimane che notare due cose. 


La prima è che il grande rimosso dell’esperienza analizzata da Giglioli è la crisi climatica ed ecologica in cui stiamo vivendo. Non è la prima volta che lo si nota, ne abbiamo già parlato in questa newsletter (Abre numa nova janela) e su Duegradi (Abre numa nova janela). Se la più grande minaccia che l’umanità abbia vissuto su questo pianeta da duemila anni a questa parte non lascia qualche traccia nel modo in cui la narrativa elabora l’esperienza individuale c’è forse qualche problema: non vogliamo vederla? stiamo ancora a guardarci troppo all’ombelico? o è una questione che altrove ha portato a dei cambiamenti, penso agli Stati Uniti o allo stesso Regno Unito, che però qui da noi ancora tardano ad arrivare?

 

Solitamente si è concordi (Abre numa nova janela) nel definire un trauma come un’esperienza che sovrasta il soggetto, che lo lascia inerme e nell’impossibilità di rappresentare quanto gli sta accadendo (e che quindi può essere ricostruita solo a posteriori). Chiunque sia un pochino avvezzo all’enormità dello sconvolgimento ecologico che viviamo giorno per giorno non può che sentire come vicine, prossime, queste parole. Vivere al tempo della crisi climatica è un trauma continuo, ripetuto. Siamo quotidianamente messi al tappeto dagli avvenimenti che si registrano su tutto il pianeta. 


Se il presidente di uno dei paesi più inquinanti al mondo esce dalle conferenze sul clima, questa cosa ci spaventa. Se veniamo a sapere che i ghiacciai del nostro paese stanno scomparendo, insieme a centinaia di specie viventi, ci angosciamo. Se vediamo che l’attivismo climatico e ambientale è criminalizzato più o meno in tutto il mondo ci sentiamo impotenti. Ma anche se qualcuno che conosciamo si ammala perché vive in una zona contaminata da decenni di reati ambientali subiamo un trauma (e poi dopo ci incazziamo). Sembra che la realtà abbia preso un’inerzia così opposta rispetto a quello che vorremmo, che la maggior parte delle cose che vediamo o che sentiamo ci spaventano.


E qui arriviamo alla seconda cosa da notare dopo aver letto il saggio di Giglioli. Cioè che, comunque, l’autore ci aveva visto giusto: il trauma è ovunque. L’autrice del libro che stiamo leggendo a Duegradi per il terzo bookclub (Abre numa nova janela), Serenella Iovino, dopo aver descritto le conseguenze dell’esperienza di un sisma in alcune località italiane, lo scrive chiaramente: “viviamo, in molti sensi, nella condizione costante di vittime”. 


“Noi - un «noi» più largo, che si riferisce alle persone che hanno perduto casa e status, ai cittadini che hanno perduto pezzi importanti del loro patrimonio naturale e culturale, agli esseri viventi che hanno perso il loro habitat - siamo tutti vittime di questi terremoti: e non importa se siamo irpini, siciliani, aquilani, turchi, messicani, giapponesi, indonesiani, cileni, di Haiti, di San Francisco, di Lisbona. O di Amatrice, di Accumuli, di Norcia. Noi, paesaggio, portiamo le ferite di questi fatti tremendi e delle loro conseguenze sul nostro corpo politico: ci accompagneranno per un tempo indefinito” scrive Iovino. 


Le crisi che stiamo vivendo attestano che il mondo che avevano immaginato le generazioni precedenti, invece che portare al progresso, materiale e spirituale, come si pensava, ci sta spingendo sempre più verso disuguaglianze e autodistruzione. È un fallimento di dimensioni epocali. 


A distanza di dieci anni, anche lo stesso Giglioli ammette di aver sottovalutato alcuni aspetti della questione. “Forse mancava a questo libro la piena comprensione di quanto fosse necessario il senso di sgomento che si nascondeva sotto le spoglie dell’immaginario traumatico” ha scritto nella prefazione dell’edizione del 2022 del suo saggio (Abre numa nova janela). Il risultato - continua il critico - è che poi ci troviamo in “un mondo interamente costruito dall’animale umano, in cui l’animale umano non si riconosce più”. In realtà ci sarebbe da puntualizzare che non è l’animale umano, complessivamente inteso, ad aver costruito questo mondo qui, ma un certo tipo specifico di animale umano, ovvero quello capitalista. E, tornando alla serie Adolescence, quale altro modello politico ed economico fa sentire la maggior parte delle persone che ci vivono vittime e colpevoli allo stesso tempo? Allora forse è questo il motivo per cui Adolescence funziona, proprio perché mette in scena questa tensione: le responsabilità diffuse e l’incapacità di fermare un sistema che, nonostante tutto, continua a produrre vittime, e dal quale si fa fatica a vedere una via d’uscita.


Pertanto se ti senti angosciato per qualcosa, non pensare di essere l’unica persona: è che ci è toccato vivere tempi abbastanza difficili. Tempi di ecoansia, estinzioni e di migranti climatici. Albedo di aprile può finire qui. A proposito del libro di Serenella Iovino, ne parleremo nella prossima diretta del bookclub. Se hai domande o riflessioni sul libro, o vuoi aggiungere qualcosa a questa newsletter, scrivi alla solita mail, sebastiano.santoro@duegradi.eu (Abre numa nova janela). Il paradigma capitalista ci abitua al controllo, al calcolo, alla standardizzazione (o mercificazione?), per cui "qualunque cosa il corpo percepisca come troppo, troppo velocemente o troppo presto (Abre numa nova janela)" è difficile da digerire. Non ci rimane che digerirla insieme. Ciao! Ci sentiamo a maggio!

Consigli di lettura

Gli ultimi articoli di Duegradi

Lavoro e formazione

Riflessi: qualche numero dal pianeta Terra

28-57g

Secondo una stima dell’Agenzia Internazionale dell’Energia mezz’ora di streaming su Netflix è responsabile di circa 28-57 grammi di CO₂ (Abre numa nova janela), sarebbe a dire come guidare un’auto con motore termico per circa 200 metri.

0 comentários

Gostaria de ser o primeiro a escrever um comentário?
Torne-se membro de Duegradi e comece a conversa.
Torne-se membro