PLPL e le dinamiche di potere nel mondo intellettuale
L’edizione di quest’anno di Più Libri Più Liberi ha portato alla luce tensioni profonde all’interno dell'ambiente culturale italiano. Al centro delle polemiche l’invito rivolto al filosofo Leonardo Caffo, sotto processo per maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti della sua ex compagna. Invito prima goffamente difeso e poi ritirato dalla direttrice del festival Chiara Valerio, a seguito un’intensa shitstorm. A far discutere era soprattutto il fatto che l’invito fosse inopportuno in una fiera dedicata a Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio. In effetti, non avrei mai invitato un indagato per mafia a un festival intitolato a Falcone, nonostante la presunzione di innocenza. Tra tutti gli ospiti possibili, avrei cercato altro.
Più che lo sterile dibattito sul garantismo – dibattito mal posto, dato che la libertà di espressione non coincide un inesistente diritto al palcoscenico – a colpirmi è stato soprattutto come ogni opinione sia diventata automaticamente un posizionamento politico. Le dinamiche di potere sottese rendono quasi impossibile distinguere tra buonafede e calcolo strategico. In questo contesto, le voci di chi non ha nulla da perdere o da guadagnare meritano un'attenzione maggiore, perché sono forse le uniche che sfuggono a letture strumentali.
Un tema che è emerso spesso è quello del cosiddetto "amichettismo," una dinamica umana e lavorativa molto comune in cui si favoriscono gli amici agli sconosciuti; dinamica che può diventare tossica quando le cerchie di potere si chiudono e si rendono impermeabili al nuovo. Collaborare con chi si conosce e di cui ci si fida è naturale, spesso efficace, ma richiede uno sforzo costante per restare aperti alla diversità e all'innovazione.
La maggior parte dei miei attuali più cari amici e amiche li ho conosciuti lavorandoci assieme. Per fare un esempio, la quasi totalità del gruppo di Indiscreto prima non li conoscevo e ora sono persone importanti della mia vita. È un fenomeno che accade, penso, in qualunque ambito; restando a quelli di mia competenza, non solo ha arricchito la mia vita privata ma anche il mio lavoro intellettuale. Biasimarla è molto miope, dato che chiunque la condanni la vive all’interno di una diversa cerchia.
È un meccanismo spesso virtuoso – la mia vita è il mio lavoro sarebbero molto peggiori senza – ma talvolta anche tossico, soprattutto se il proprio gruppo detiene una forma di potere ed è impermeabile al nuovo. Anche qui, si tratta di un meccanismo naturale, teso al risparmio di energia: a parità di bravura, collaborare con una persona di rodata fiducia e conoscenza è più efficace e veloce. Essere permeabili al diverso e al nuovo è sempre figlio di uno sforzo, sano e necessario. Ma è anche indispensabile accorgersi quando l’accusa di amichettismo non è un invito all’apertura ma il fastidio di non partecipare a certi scambi, che non sono mai dovuti.
Il caso Caffo però ha messo in evidenza un problema ancora più grande. Non parlo della rabbia del pubblico, che vive il paradosso di essere sempre legittima e mutare inconsapevolmente in mostro quando si fa massa. La rabbia non va ignorata né sminuita, nonostante la tendenza a diventare furia moralista, perché esprime un contenuto con cui fare i conti, anche rigettandolo, nel caso si sia in disaccordo. A intristirmi è stata più la reazione di moltissimi addetti ai lavori. Quasi nessuno/a ne approfitta per riconoscere delle dinamiche che sebbene vengano tirate fuori in modo violento e molto spesso in palese malafede, esistono. Sono dinamiche trasversali a qualunque contesto in cui ci sia del potere in gioco, dalla compagnia di amici del liceo al settore editoriale e l’accademia – negarle non può che rendere più difficile lo sforzo dell’apertura al diverso.
Dall’altro lato, da ambienti noti per avere gli stessi vizi che denunciano, in molti ne hanno approfittato per critiche feroci e spesso sguaiate verso il lavoro altrui, con l’aggravante di farlo in un momento in cui il “nemico” è più debole. Si decreta l’assenza di profondità intellettuale per mancanza di titoli, per poi frignare se quei titoli, fuori dal gioco di perle, non sono così importanti. La cosa più dolorosa è che spesso apprezzo il lavoro delle persone implicate e talvolta anche la persona stessa.
Allibisce la globale miopia verso se stessi, sul proprio valore e la propria collusione col male, di cui ogni umano è portatore. Una cecità collettiva in cui il moralista fa l’errore del moralizzato e viene poi sbranato dal moralista che dice di non esserlo. Tutto questo ci impedirà fortemente di essere meno schifosi, cosa che siamo tutti/e, sebbene in diversa misura, in quanto esseri umani.
Francesco D’Isa
(Si apre in una nuova finestra)Valerio Adami, Boat Sales, 2015, Curtesy Pananti (Si apre in una nuova finestra).
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