La rottura dei canoni pedagogici tradizionali nella scuola
Per un espressionismo pedagogico astratto
di Giuseppe Paschetto

Un giorno avevo visitato a Roma la mostra su Jackson Pollock al Vittoriano. Mi ero quindi immerso nella visita alla ricca e bellissima mostra su Pollock e sugli altri artisti della scuola di New York. Giravo affascinato tra le tele di Pollock, De Kooning, Rothko e degli altri espressionisti astratti.
Per la prima volta veniva esposta in Italia la sua grande tela “Numero 31” e proprio davanti alla famosa opera avevo cominciato a riflettere su un parallelo tra le innovazioni radicali della corrente degli “Irascibili” portate in campo artistico e le innovazioni pedagogiche in ambito scolastico. Mentre scorrevano in un video restaurato le immagini di Pollock che saltellava realizzando il suo quadro più famoso con la tecnica del dripping painting ecco che mi scorrevano nella mente le immagini della rottura totale con gli schemi scolastici del passato a cui stavo dando il mio contributo come insegnante della scuola media di Mosso.
Pollock aveva rotto completamente con i canoni dell’arte figurativa classica. Aveva persino messo da parte cavalletto e pennello per dedicarsi alla tecnica dello sgocciolamento usando spesso bastoncini per far colare il colore sui suoi quadri e per questo sacrilegio aveva ricevuto il famoso rifiuto di esporre alla mostra sull’arte americana contemporanea del Metropolitan Museum of Art di New York del 1950.
La rottura con i canoni classici dell’arte figurativa così connaturati con essa da secoli era parsa agli occhi dei curatori della mostra di New York qualcosa di simile alla rottura con il concetto stesso di arte. Allo stesso modo la messa in discussione della lezione frontale, della disposizione dei banchi, della presenza della cattedra, dei libri, dei compiti, delle verifiche, dei voti, in ambito scolastico, appariva a taluni la rottura con il concetto stesso di scuola.
Fortunatamente molta acqua è passata sotto i ponti, l’immagine di una scuola vecchia e inefficace perché ancorata a schemi e riti superati ha cominciato a rendere accettabile e anche auspicabile l’idea che si debba andare oltre. Le acquisizioni nel campo delle neuro-scienze, le teorie di pedagogisti illuminati, le numerose esperienze di scuola diversa dalle sorelle Agazzi a Montessori a don Milani, si sono moltiplicate, ma resta il fatto che agli occhi di molti insegnanti la scuola rimanga quella cosa fatta di banchi e cattedre, interrogazioni e voti, lezioni frontali e compiti.
Per cui anche nel nostro piccolo della scuola di Mosso l’esperienza si poneva come elemento di rottura con la tradizione. E ho coniato così scherzosamente il termine di espressionismo pedagogico astratto.
Il parallelo con l’arte non finisce però qui perché mi è capitato spesso di riflettere sul fatto che anche l’esperienza pedagogica può essere un’azione creativa, quando non è stanca e meccanica ripetizione di riti, per cui il legame con l’arte esiste sicuramente. L’insegnamento può elevarsi insomma a opera d’arte. Del resto se può essere artistico persino un bel gesto atletico nello sport perché non può esserlo una lezione scolastica. Se arte è tutto ciò che si svincola dalla banalità, che emoziona e in cui si percepisce il senso del bello, allora ho potuto riconoscere in alcune mie lezioni e in quelle di miei colleghi la scintilla dell’espressione artistica. Sì, può essere creativa ed artistica anche una lezione di matematica e lo si coglie spesso dall’attenzione viva e stupita, dal coinvolgimento emozionale, dagli occhi scintillanti dei nostri alunni, dalla percezione del veloce trascorrere del tempo, dal dispiacere quando la lezione finisce. Non sempre è così ma è una meta a cui tendere perché in grado di dare grandi soddisfazioni a insegnante e studenti.
C’è poi un terzo piano di lettura in questo parallelo tra arte e insegnamento ed è quello che mi fa identificare l’insegnante con quell’artista che ha sempre un pubblico con cui rapportarsi che è l’attore, oppure il cantante.
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L’attore o il cantante devono sempre fare del loro meglio per rendere piacevole, soddisfacente, appagante lo spettacolo. Non esiste che di fronte ai fischi del pubblico, come a volte succede, l’artista se la prenda con gli spettatori ingenerosi e non in grado di apprezzare. E’ colpa sua e basta. Allora mi sono posto spesso in questa chiave, quella dell’insegnante-attore che risponde interamente al suo “pubblico” senza possibilità di accampare scuse o di addossare ad altri responsabilità quando qualcosa va storto.
L’insegnante si deve presentare preparato e con lo spirito giusto, evitando lezioni noiose e poco coinvolgenti, non può prendersela con il “pubblico” disattento o contrariato, deve accettare la propria responsabilità quando gli obiettivi fissati non sono raggiunti. Deve accettare insomma anche i “fischi” quando questi arrivano.
Si è mai visto un attore inveire contro il pubblico ingrato? Sì in effetti forse qualche volta si è visto da parte di artisti particolarmente egocentrici ma sono eccezioni. Inoltre gli studenti, a differenza degli spettatori di un concerto o una performance teatrale, sono obbligati a venire ad assistere allo “spettacolo” degli insegnanti per cui accampare scuse è proprio fuori luogo!