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Calcerò #19 – Character assassination

Di stampa e cattivi maestri: tutti i reati di cui è accusato Romelu Lukaku


Ciao a tutti,

questo mese Calcerò anticipa di qualche giorno – esce il 5 invece dell'11, e non esclude di raddoppiare venerdì, perché di cose da dire ce ne sono tante: lo scopriremo – perché vuole uscire prima che si sappia dove giocherà la prossima stagione Romelu Lukaku. Aspetto, quest'ultimo, che qui interessa poco, almeno al momento, sicuramente non quanto rispondere a una domanda: a giudicare da come lo sta dipingendo La Gazzetta dello Sport, quale grave reato ha commesso il giocatore belga?

Fischio d'inizio.

Io sono Lorenzo Longhi (Si apre in una nuova finestra) e l'archivio di Calcerò lo trovate a questo link (Si apre in una nuova finestra). Se volete sostenere il progetto (anche perché, come capirete presto, non mi leggerete mai sulla Gazzetta dello Sport...), potete farlo qui, donando la cifra che volete attraverso Produzioni dal Basso (Si apre in una nuova finestra).

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Prima del reato, prima che venisse colto in flagrante, Romelu Lukaku era un calciatore belga che, sfortunato protagonista della finale di Champions League, non vedeva l'ora di ripartire per mettersi alle spalle la sfortuna e i professionisti del dileggio, per vendicarsi del becerume idiota di un caso di razzismo che lo aveva visto vittima qualche mese prima allo Juventus Stadium. Romelu Lukaku era Big Rom, il Gigante buono, il lato splendente della Lu-La, e quante volte La Gazzetta dello Sport ha frantumato sappiamo cosa con titoli sempre uguali. Bello una volta, va bene due, ma se in tre anni lo fai cinquecento volte, beh...

PRIMA ERA SÌ, MO' È NO

Poi, d'un colpo, tutto è cambiato. L'uomo più buono del mondo sembra essere diventato il più infame, e tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto è iniziata nei suoi confronti una campagna di discredito piuttosto imbarazzante. Mi viene in mente uno sketch nel quale Neri Marcorè faceva il verso a Daniele Capezzone, ex leader radicale, passato – così de botto, senza senso – a Forza Italia, dove ciò che prima era sì, "mo' è no" (guardatelo, è qui) (Si apre in una nuova finestra).

Chi è oggi Romelu Lukaku? Un “affarista”, uno “incapace di piantare radici”, che fa “scelte impopolari che forse fa fatica a giustificare anche a sé stesso”, un calciatore che “spesso ha tradito negli appuntamenti più importanti”. Un “girovago” che si muove “sempre per i suoi affari”, uno il cui naso potrebbe allungarsi come quello di Pinocchio. Uno che chiunque venga intervistato – chiunque – sconsiglia alla Juventus. Cosa sulla quale peraltro personalmente concordo anche in termini di prospettiva (mentre l'instant team ne guadagnerebbe), però non mettere alcuna voce opposta fa abbastanza ridere. Insomma: scarso e – scusate il francesismo – stronzo. Giusto alcuni titoli:

Il Napolista ha dedicato all'edizione della Gazzetta nella quale il fenomeno ha assunto livelli davvero parossistici un articolo carico di sarcasmo (lo trovate qui). (Si apre in una nuova finestra) Dove nasce questo astio? Il sito citato sostiene che si tratti di una reazione al buco dato al quotidiano da una testata rivale (il buco, nel gergo giornalistico, è la notizia che non si ha e sulla quale si arriva dopo), ed è plausibile considerando l'infantilismo che regna nelle redazioni, ma l'ipotesi che si tratti di una captatio benevolentiae nei confronti di una fetta significativa di lettori, i tifosi della squadra “tradita” da Lukaku, sarebbe anche peggio. E non è da escludere che sia così.

LA COLPA

Vale la pena depurare dalla narrazione tossica l'aspetto di fondo: quale sarebbe la colpa di Lukaku? Sostanzialmente, essere protagonista di un trattativa di lavoro. Proviamo ad astrarre, a ragionare sul punto: qui c'è un calciatore che sta scegliendo dove giocare. Ha detto dei no, ha detto qualche sì, sicuramente un po' usa e un po' viene usato (some of them want to use you, some of them want to be used by you), di certo la carriera e la vita sono sue. È un uomo dei suoi tempi e un professionista. Davvero qualcuno pensa che un ragazzo belga di origini congolesi, che ha giocato in Belgio e in Inghilterra, che avrebbe accettato la Juventus nel 2019 (ricordate lo scambio con Dybala, saltato per la volontà di quest'ultimo?) salvo poi finire all'Inter del mentore Conte (a proposito di professionisti puri, uno che non ha avuto remore ad allenare il Bari e la stessa Inter), dovrebbe legarsi a vita a questo o quel club? Che cosa mai dovrebbe incarnare? Dove sarebbe il tradimento di uno che, su trent'anni, ne ha giocati tre in un club?

Tutta questa narrazione ha attaccato a Lukaku (negli appassionati italiani, perché altrove non c'è traccia di questa vera e propria character assassination) uno stigma abbastanza pericoloso considerando il contesto ribollente d'odio al quale è destinato. Di nuovo: Messi promuove il turismo saudita, Cristiano Ronaldo, Brozovic, Kanté e oggi anche Sadio Mané (chissà come cambierà ora lo storytelling su di lui) hanno scelto legittimamente la Saudi Pro League – sì, per soldi: e allora? Almeno a loro vengono risparmiate ogni giorno paginate del genere. Peraltro è inutile sdegnarsi a comando: c'erano tutti i crismi affinché finisse così – e l'immagine del regime di Ryad, e Lukaku meriterebbe tutto questo discredito? Dai, su. È lavoro, e pazienza se il suo lavoro ha a che fare anche con le emozioni del pubblico. Fa parte del gioco. Verrebbe da dire: avete voluto il capitalismo?

Tra l'altro, leggendo un altro articolo (“Romelu, che cambia squadre, contratti, tifoserie e sponsor. Sempre per denaro” (Si apre in una nuova finestra), 3 agosto, pagina 11), dove si racconta con acidità la sua abitudine a passare da uno sponsor all'altro (capirai che vergogna: gli fanno un'offerta, lui l'accetta), mi viene in mente se lo stesso metodo non possa essere utilizzato, magari, per un giornalista passato da un quotidiano sportivo al rivale, dopo che il primo l'aveva scoperto dalla provincia, lanciato, assunto e mandato in giro per il mondo come inviato. Sì, naturalmente è capitato anche ad alcuni che firmano i pezzi su Lukaku. Normale scelta di lavoro, miglioramento economico e di posizione. Mica tradimento.
A proposito: per non farci mancare nulla, in un elemento della titolazione del 4 agosto, Lukaku ha iniziato anche ad avere problemi con la bilancia...

BACIAMAGLIA

Ora, qui il punto non è l'Inter, non è la Juventus. Romelu Lukaku non è Teofilo Stevenson, il calcio da tempo asseconda le leggi del mercato, anche se è esecrabile che queste – cito Bruno Barba, in Ma quale Dna? – si scontrino con i concetti di fedeltà, amore viscerale, attaccamento alla maglia, fede. Che è roba per tifosi, non per professionisti. Ma i tifosi sono correi: da anni a questa parte si è dato ai calciatori (e, di riflesso, a chi ne cura gli affari) un potere addirittura superiore a quello dei club, in fase di trattativa. Se un ragazzino vuole la maglia di Lukaku, preferendola a quella dell'Inter priva di nome e numero, capite bene dove si va a parare, in prospettiva. Su Calcerò in qualche modo toccai l'argomento nel numero intitolato “La maglia di Haaland” (lo trovate qui) (Si apre in una nuova finestra). Il discorso quello è.

Piuttosto, un segno di intelligenza sarebbe evitare di baciare maglie o dire quei ridicoli “mai qui, mai là” che, appunto come i baciamaglia, servono solo a fregare i tifosi. Però, anche lì: certe frasi sono quasi sempre risposte date a domande dei giornalisti che vogliono esattamente quelle risposte per farci un titolo (some of them want to use you, some of them want to be used by you). Mica tutti hanno la lucidità e l'onestà intellettuale di un Angelo Ogbonna (qui, e lo disse da capitano del Torino) (Si apre in una nuova finestra), e del resto sino a quando funziona, va bene a tutti. Titoli sono prima, titoli sono dopo. Inutili, prima e dopo. Anche perché per capirci: quando un calciatore che sta facendo bene, con un contratto in vigore, pretende una cifra maggiore e la ottiene firmando un rinnovo, la narrazione racconta di uno che giura fedeltà. Invece sostanzialmente ha tirato la corda mettendo in campo una sorta di ricatto (del tipo: voglio di più o me ne vado). Non vi sentite presi in giro?
In tutto ciò, l'apoteosi giornalistica sarebbe un clamoroso ritorno di Lukaku all'Inter.

IL CASO PORTANOVA

Ecco. Qui Lukaku è stato, ancora una volta, il pretesto per parlare di un giornalismo, quello sportivo attuale, che ha scientemente deciso di fomentare. Se anche solo un decimo dell'inchiostro sprecato per la “colpa” di Lukaku fosse stato utilizzato per analizzare un caso più complesso e umanamente e socialmente molto più rilevante, quello di Manolo Portanova, saremmo senz'altro al cospetto di un giornalismo più degno. Senza dividersi in innocentisti e colpevolisti, ne potrebbe nascere un dibattito alto. Giustizia, garantismo, incompetenza (quella, al solito pilatesca, del CONI), opportunità, diritti. Lì sarebbe il caso di fare interviste, chiedere pareri, studiare i precedenti, proporre soluzioni, perché ci sono una marea di variabili – contrattuali, giuridiche, umane – delle quali parlare sarebbe molto più importante che stigmatizzare le scelte di Lukaku o di chiunque altro. Se il futuro del giornalismo sportivo sarà come questo presente, meglio l'Arabia Saudita.

Fischio finale. Ci rileggiamo l’11 agosto. Sì, dai raddoppiamo.

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Calcerò - il futuro del pallone è la newsletter mensile sul domani del calcio. Il giorno 11 di ogni mese arriva puntuale nella tua casella. È curata da Lorenzo Longhi (Si apre in una nuova finestra)