#2 La Swinging London e King’s Road
Più che una passeggiata, questa volta, faremo un vero salto nel tempo. Attraversando un quartiere, attraverseremo un’epoca, quella che – forse più di tutte le altre – ha reso Londra un’icona. No, non è vero che attraverseremo un quartiere, rimarremo solo su una strada: King’s Road, l’arteria principale di Chelsea.
Chelsea, forse lo sapete, è un quartiere oggi posh, caratteristico grazie alle – costosissime – case colorate molto apprezzate dai turisti. Spostandosi verso ovest, poi, c’è addirittura un harbour: Chelsea Harbour ricorda certi scorci oceanici, ha qualcosa del porto di Boston e questo me l’hanno detto, perché non ci sono mai stata, io, a Boston. Chelsea, invece, è perfettamente londinese e non ci si potrebbe sentire da nessuna altra parte. È una gioia passare dalle piccole strade costellate di edifici bassi e caratterizzati dai colori pastello tutti diversi. Molti secoli fa, questo era un villaggio di pescatori, per diventare poi, tra il XVI e il XVII secolo zona amata dalle persone più abbienti: conosciuto come Village of the Palaces, qui avevano le residenze di campagna personaggi come Thomas More ed Enrico VIII, tanto per capirci. Ha preso sempre più piede, Chelsea, tanto che nel XVIII secolo contava più di 1500 abitanti: tanti, per l’epoca.
Ci troviamo sulla sua via più conosciuta, dicevo, King’s Road. Si chiama così perché era in effetti una strada privata che portava alla residenza reale di Hampton Court. E così è stato fino al 1830 circa. I londinesi, per attraversarla, dovevano acquistare un biglietto. Se passate da qui, durante la vostra prossima passeggiata londinese, andate verso la Saatchi Gallery e guardate per terra: vedrete un’installazione che rappresenta proprio King’s Road alle sue origini, con anche il disegno dei tokens necessari per attraversarla. È stato a partire dal XIX secolo che la zona ha preso una piega diversa. Si è popolata velocemente, sono stati costruiti i ponti Chelsea Bridge (Si apre in una nuova finestra)e Albert Bridge (Si apre in una nuova finestra), quello tutto rosa e romantico che porta a Battersea, dall’altra parte del Tamigi. È diventato un quartiere bohemien in cui hanno abitato artisti e scrittori, come i Preraffaelliti, Oscar Wilde, Bram Stoker, ma anche Agatha Christie, successivamente, ha vissuto a Chelsea, così come George Eliot, Samuel Beckett e T.S. Eliot. E altri: andate in giro e osservate le facciate delle case, incontrerete molte Blue Plaque (Si apre in una nuova finestra), alcune sorprendenti: lo sapete che anche Bob Marley ha vissuto a Chelsea, negli anni Settanta?
Ha tante anime questo quartiere, così come la città, verrebbe da dire, ma qui è successo qualcosa che ha scardinato un po’ tutto nella storia contemporanea: è nata la cultura pop. Ed è stato in quel momento che consumismo e materialismo sono diventati sinonimi di libertà, fenomeni identificativi e inarrestabili per lo sviluppo della città e della cultura di oggi. Ma adesso ci arriviamo, nel frattempo non ci schiodiamo da King’s Road, che resta una bella strada su cui passeggiare, ci sono ancora oggi molti negozi (di catena, soprattutto) e alcuni locali e librerie. (Si apre in una nuova finestra)
L’anno da ricordare è il 1956, per diversi, fondamentali, motivi. Siamo in periodo post-bellico, sul trampolino di lancio per una rinascita esplosiva. Nel 1956 è nata la Swinging London, che andrà a influenzare la moda e più in generale la cultura di tutta Europa, e anche degli Stati Uniti. Nel 1956, a Londra, alcuni artisti organizzano una mostra intitolata This is tomorrow. L’intenzione è chiara: bisogna andare avanti. Tra di loro c’è Richard Hamilton, iniziatore del movimento pop europeo. Era andato a New York, Hamilton, e New York, nel Novecento, come sottolinea Bertinetti nel suo “Dai Beatles a Blair”, per gli artisti aveva lo stesso valore attrattivo di Parigi nei decenni precedenti. Così Hamilton, una volta rientrato, ha creato una sua visione dell’arte pop. “Just what makes today’s home so different so happealing?” è la sua opera esposta per la prima volta nel 1956, appunto; si tratta di un collage che rappresenta una casa riempita dei simboli di quel nuovo periodo che stava iniziando, con anche la scritta Pop ben visibile.
Ma questa è solo una parte del tutto. Sempre nel 1956 c’è un fenomeno musicale che esplode oltreoceano: è Elvis Presley che, dall’America, sconvolge il concetto di musica e soprattutto di musicista. Nascono diversi imitatori, un po’ dappertutto, ma c’è anche chi parte da quella ispirazione pazzesca per creare un nuovo genere, del tutto europeo, soprattutto inglese. Sono i Beatles, che qualche anno più tardi, da Liverpool, diventano rappresentanti della nuova Inghilterra, icone di quella cultura pop che ha come riferimento unico i teenager. Il teenager è il detentore del nuovo potere economico, siamo nel pieno di quella che lo storico Eric Hobsbawm definisce “età dell’oro post bellica”. I teenager, per la prima volta, hanno dei soldi a disposizione e li spendono in libri, musica, vestiti. In tutto ciò che possa definirli, affermare il loro status in una società che vede nella giovinezza l’apice della realizzazione.
“Nel paese esistono almeno due milioni e mezzo di ragazzi che hanno in tasca una cifra media settimanale da spendere in divertimenti di circa tre sterline. Questo significa che muovono ogni anno la somma di 312 milioni di sterline e le loro esigenze in fatto di vestiti, dischi o film vengono tenute ben presenti dagli operatori del settore.”
(Bertinetti, Dai Beatles a Blair)
È sempre il 1956 e Mary Quant ha 26 anni. Al 138 di King’s Road – dove oggi c’è un Joe & The Juice – apre Bazaar, il suo negozio, e così inizia la fashion revolution. Chelsea era diverso da oggi: per niente snob o esclusivo, era più che altro un quartiere popolato da artisti, persone che, come disse la stessa Quant, “possedevano qualcosa che le rendeva particolari” – più precisamente- “In un modo o nell’altro, tutti a Chelsea possedevano qualcosa in più che li rendeva positivi e li faceva guardare avanti. Forse non erano i migliori nel loro campo. Di sicuro, però, erano i più appassionati”.
Mary Quant, che è tra l’altro mancata ad aprile scorso, diventa la designer più rappresentativa della Swinging London e il suo negozio, nato proprio con l’obiettivo di portare divertimento e novità, il luogo ideale dove i giovani andavano a spendere i propri soldi. I vestiti che propone, disegnati da lei, laureata al Goldsmith Art College, sono nuovi, diversi dagli abiti tristi indossati dai genitori: le gonne diventano corte (la famosa mini, il cui nome è un omaggio all’automobile, iconica anche lei), gli hot pants invadono il mercato (se oggi ne vediamo di nuovo in giro tanti, sappiamo che origini hanno), le stampe sono divertenti e le fogge mai viste prima. Tutto si può abbinare con tutto.
Ragazze e ragazzi si vestono in modo molto simile, così come i tagli di capelli non sono più indicatori di un genere; i corpi diventano magrissimi, le ragazze desiderano una magrezza che arriva a privarle delle forme, così che l’aspetto risulti androgino. La più famosa rappresentante di questo canone di bellezza è Twiggy, la modella diciassettenne che, con le gambe esili e gli occhi enormi assorti in una perenne espressione stupita e annoiata, ha incarnato lo spirito della Swinging London, diventando icona per molte ragazze: le post war babies.
Ed è a loro che si rivolge Mary Quant. Bazaar diventa un punto di riferimento. Senza orari, pieno di musica e di cose belle e accessibili, dove si poteva rimanere per ore facendo festa, spendendo e bevendo. Rappresenta una rivoluzione non solo per la moda, ma in generale per la cultura inglese, prima, e poi occidentale, in un periodo in cui, più di tutto il resto, si sente la necessità di essere e sentirsi giovani e vivi. E possibilmente dimostrarlo al mondo intero. King’s Road ne diventa l’epicentro. Ora la strada è di sicuro diversa, ma conoscerne le origini e sapere che da lì è partito un movimento culturale (più di uno in realtà, nel decennio successivo Vivienne Westwood ha aperto qui il suo primo negozio) che ha cambiato letteralmente la storia, aiuta a guardarla in modo diverso, e ad apprezzarla.
Tra le storie incredibili successe a King’s Road, c’è quella del leone Christian e della sua famiglia adottiva. Qui c’è il video (Si apre in una nuova finestra): io non sono riuscita ad arrivarci in fondo, piangevo troppo.
Vi svelo uno dei miei posti del cuore, a Chelsea: se andate all’ultimo piano dei grandi magazzini Peter Jones, a Sloane Square, c’è un bar con una grande vetrata sui tetti. È un posto per niente cool e per niente turistico: troverete soprattutto famiglie e persone anziane a bere il tè sedute ai tavoloni bianchi. C’è il self service, prendetevi una tazza di tè per una manciata di sterline e una fetta di carrot cake, poi statevene lì a guardare la città.
Alla prossima passeggiata!