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#1 Da Richmond a Bloomsbury seguendo Virginia Woolf

“To walk alone in London is the greatest rest” ha scritto Virginia Woolf nei suoi diari e io, spero con rispetto e con tutte le cautele che si devono avere quando ci si avvicina a certe sensibilità, ho fatto mia questa frase. L’ho scelta anche come motto per questa stagione di A Place for Us, almeno per la parte che riguarda più strettamente me e la città; se siete qui lo sapete, ma il piano di membership di A Place for Us include diversi contenuti, alcuni più a tema letterario, altri in cui Londra, città dannata e incantata, è protagonista. Ci sarà il mio punto di vista, o forse sarebbe meglio dire le mie preferenze. Ci saranno richiami letterari, ma, come ha scritto Paolo Cognetti nella splendida introduzione a New York è una finestra senza tende, “non sono uno studioso ma un lettore, e ho i miei sentimenti”.

Quando ho pensato di scrivere di Londra, questo libro di Cognetti su New York mi è stato di grande ispirazione e utilità. Lui è irraggiungibile, su questo siamo d’accordo, ma il coinvolgimento con cui scrive della città fa la differenza rispetto ad altri libri che raccontano New York, ed è lì che vorrei puntare. È difficile avvicinarsi a luoghi così tanto narrati, qualsiasi editore storcerebbe il naso e per chiunque scriva è quasi un atto suicida decidere di raccontare posti che già abitano, oltretutto da secoli, la fantasia di chiunque. Eppure, c’è un altro punto di vista da considerare. Allo stesso modo, queste città sanno rendersi infinite. Hanno così tanti dettagli, così tante storie, raccolgono così tante incrinature che la possibilità di parlarne si alleggerisce dal peso dell’ovvietà. Il rischio c’è, ma sono certa che chiunque arrivi a Londra o New York riesca a farne una narrazione tutta sua. È un esercizio di sensibilità. Ed è il mio obiettivo, con queste newsletter, che altro non fanno che proporre dei piccoli viaggi. Itinerari attraverso strade e quartieri, spunti da cogliere per appropriarsi della metropoli.

Londra per me ha sempre rappresentato una sorta di salvezza. Il luogo ambito, amato, immaginato più ancora che posseduto. Una visione salvifica dove rifugiarmi. Non ci ho mai vissuto, non so se mai ci vivrò e per certi aspetti dico: meglio così. Come i grandi amori non consumati, si prende e mi dà solo il meglio. La sua luce tenue nei pomeriggi d’autunno e quella spudorata delle mattine di maggio, i battelli che viaggiano lungo il Tamigi carichi di turisti, la cupola di St. Paul che svetta oltre il Millenium Bridge, l’odore delle strade brulicanti di passanti nelle bagnate giornate d’inverno. Gli itinerari di questa città possono non esaurirsi mai, io ne sceglierò alcuni e proverò a raccontarli e descriverli. Sono viaggi a piedi, perché per me è il modo migliore per conoscerla, entrare nelle sue pieghe e in quella solitudine condivisa che caratterizza le metropoli. Una solitudine in cui, ancora cito Virginia Woolf, diventare fantasmi. Il vagabondare urbano è conosciuto anche come flânerie, dal francese. La figura del camminatore, il flâneur, affascina da secoli, mentre la sua versione femminile, la flâneuse, è arrivata in tempi più recenti e Virginia Woolf ne è un’eminente rappresentante. Forse, anzi, la più celebre. Flâneuse è anche il titolo del libro di Lauren Elkin che ho sinceramente consumato nei miei pellegrinaggi estivi tra Londra e Venezia. Dice, per me, grandi verità o quantomeno concetti nei quali mi rispecchio e che fanno parte di quelle urgenze che mi hanno portata a scrivere di Londra. Tutto ha a che fare con il camminare: “Camminare è disegnare una piantina con i piedi. Ti aiuta ad assemblare i pezzi di una città”. Poi, ancora: “Camminare è come leggere. Vieni messo a parte di vite e conversazioni che non hanno niente a che vedere con le tue, e che puoi ascoltare di nascosto. A volte c’è troppa folla; a volte le voci sono troppo alte. Ma sei sempre in compagnia. Non sei mai solo”. Ecco un tema: la solitudine. Quella solitudine in cui, allo stesso tempo, si è parte di tutto. Quel diventare fantasmi, fare street haunting che torna in Woolf.

Non è difficile farsi fantasmi a Londra, inserirsi in quel flusso in cui confondersi e in qualche modo annullarsi. Ecco, non vi inviterò a smarrire la vostra identità, ma più che altro ad ampliarla, arricchirla di frammenti di altre storie e altre vite. Saranno le strade e il vostro sguardo a fare il grosso del lavoro, io spero di darvi la spinta giusta per addentrarvi. E qualche dritta utile per orientarvi. Vi accompagnerò in parti della città che forse conoscete poco, ma ci saranno anche tanti riferimenti più popolari; personalmente faccio fatica a staccarmi dalla Londra più nota e simbolica, ci sono scorci per me commoventi nei quali devo tornare a ogni viaggio e che riporterò anche qui.

Ho iniziato citando Virginia Woolf e le rimarrò fedele, dedicando a lei questo primo itinerario. Per immergerci nella suggestione, farò riferimento soprattutto al libro A Londra con Virginia Woolf, di Cristina Marconi per Giulio Perrone Editore. Fa parte della collana intitolata Passaggi di Dogana, che vi consiglio se volete esplorare le città con la lente della letteratura. Mi soffermo un momento sull’introduzione, che trovo molto in linea con l’idea di viaggi che vorrei trasmettere qui; l’autrice chiarisce il modo in cui Virginia Woolf percepiva Londra: “un luogo da guardare, dai cui influssi lasciarsi plasmare, scalfire”. Londra accende i sensi di Woolf, il suo camminare le permette di impossessarsi delle storie degli altri così come del momento presente, in cui essere nient’altro che vivi.

C’è poi un saggio, un racconto piccolino, che si intitola A zonzo per le vie di Londra, lo trovate nella raccolta Sono una snob? Di Piano B Edizioni, oppure, con un titolo leggermente diverso, in Londra, di Bompiani, che raccoglie buona parte degli scritti londinesi di Woolf. È un racconto breve scritto nel 1927, che racchiude quel fervore tipico del suo girare per la città. La scusa è: comprare una matita. Un motivo più che valido e urgente per attraversare la città. Un invito ad abbandonarsi alle strade, a vagabondare e perdersi, a entrare nelle vite degli altri:

“ci era stato concesso di penetrare un po’ in ognuna di queste vite, abbastanza da lasciarci l’illusione che non siamo incatenati in una mente sola, ma che possiamo assumere brevemente, per qualche minuto, i corpi e le menti degli altri. (…) è vero: l’evasione è il più grande di tutti i piaceri: andare a zonzo per le strade, in inverno, è la più grande avventura”.

E quindi eccoci, pronti ad andare.

Il punto di partenza del nostro viaggio è Richmond, nella zona sud ovest di Londra. È un quartiere elegante e molto rilassante con tanto verde e il fiume che scorre intorno a case, pub particolarmente gloriosi e panchine circondate da alberi. Richmond è conosciuto e apprezzato soprattutto per il parco con i famosi cervi: oggi sono più di 630, ma è una tradizione secolare quella che li vede scorrazzare liberi in questa immensa riserva naturale. A Richmond, dal 1914 al 1924, ha vissuto anche Virginia Woolf e lì, insieme al marito Leonard, ha fondato la casa editrice Hogarth Press. Muovendovi lungo Paradise Road incapperete in quella che è stata casa sua, e che è stata venduta recentemente per più di 3 milioni di sterline. Non è visitabile, ma potete comunque notare la blue plaque sulla facciata.

Passeggiare per Richmond è piacevole, soprattutto quando arriverete sul Lungotamigi, molto apprezzato e sempre molto frequentato con tutte le panchine che guardano verso l’acqua. Ecco, qui aguzzate la vista, lì in mezzo ce n’è una particolare: troverete seduta una sorridente Virginia Woolf in bronzo. Inaugurata nell’autunno 2022 la statua è stata realizzata dall’artista Laury Dizengremel e ha generato qualche perplessità tra gli abitanti di Richmond: non è di cattivo gusto metterla davanti al fiume, proprio lei che nell’acqua ha deciso di togliersi la vita? Ma è sorridente, dicevamo. La volontà era proprio quella di sfatare il pregiudizio che abbiamo ereditato su di lei, di donna tormentata dalla malinconia. E così ora ci si può sedere accanto a Virginia Woolf, come se fosse la nostra amica e compagna di viaggio. In effetti, almeno nel nostro caso, è così.

Negli anni a Richmond ha scritto, tra le altre cose, un racconto delizioso intitolato Kew Gardens, pubblicato in Italia da Garzanti con il titolo Giardini: una minuscola raccolta di una manciata di pagine in cui troverete quattro racconti e la lettera d’addio che Woolf ha scritto al marito prima di morire, nel 1941. Ma qui siamo ben prima, nel 1921 e Kew Gardens ci accompagna nei giardini botanici. Giochi di luce, fiori e foglie dai colori intensi, coppie che, attraversando il parco, si immergono nei ricordi.

“Dimmi, Eleanor, pensi mai al passato?
Perché me lo chiedi, Simon?
Perché pensavo al passato. Pensavo a Lily, alla ragazza che forse stavo per sposare… ma perché taci? Ti dispiace se penso al passato?

E perché dovrebbe dispiacermi, Simon? Forse non pensiamo sempre al passato, in un parco con uomini e donne sdraiati sotto gli alberi?”

Un giro ai Kew Gardens è doveroso. Fondati dalla Principessa Augusta nel 1759, fanno parte degli orti botanici inseriti nel Patrimonio UNESCO. 130 ettari per circa 50 mila specie vegetali diverse, alcune in via d’estinzione, sono un luogo magnifico dove passare qualche ora e dedicarsi non solo alla contemplazione della natura, ma anche dell’arte perché i giardini ospitano anche installazioni, opere e mostre dedicate, che uniscono la bellezza e l’amore per la vegetazione con forti messaggi veicolati da artisti di tutto il mondo.

Si era detto passeggiate, ma è piuttosto inevitabile certe volte, doversi arrendere ai mezzi: uscite dai Royal Botanic Gardens e salite sulla District Line, la linea verde della Tube, per scendere poi a Embankment.
Ci siamo spostati nel cuore di Londra.

Dopo gli anni a Richmond, nel 1924 Woolf torna a vivere Londra, Hermione Lee nell’introduzione alla raccolta London Scene ci dice:

“When, in 1924, she returned to London, after several years of illness and quiet retirement in Richmond, to the house in Tavistock Square where the Woolfs would live and work until the war, she was ecstatic:

'London thou art a jewel of jewels... music, talk, friendship, city views, books, publishing, something central & inexplicable, all this is now within my reach? "Her excitement filled the novel she was writing, Mrs Dalloway - a celebration of 'life, London, this moment in June, and of the glittering shimmer of post-war party-going, but in a city haunted by the war and its dead.”

Ci troviamo ora in una zona altamente letteraria – anche se è difficile trovare una parte di Londra che non lo sia – e particolarmente elettrica, per Virginia Woolf ma anche per noi, se continuiamo a esercitare la sensibilità e, ancor di più, la generosità nell’osservare e sentire ciò che la città continua ininterrottamente a offrire. Poco distante da noi c’è Covent Garden, con i suoi artisti di strada, i ristoranti, le bancarelle (e Glossier tutto rosa, poi il Boots più grande di Londra!), gli angolini colorati come Neal’s Yard e la libreria di viaggio Stanfords, aperta nel 1853, dove andare letteralmente in esplorazione; oltre a moltissimi libri su Londra e la Gran Bretagna, troverete guide e libri dedicati alla letteratura di viaggio su qualsiasi destinazione, mappamondi e mappe antiche, in vendita a prezzi ragionevoli.

Prima di arrivare a Covent Garden, però, c’è altro. Lo Strand, prima di tutto. Che è pieno zeppo di riferimenti e aneddoti letterari (e, nota del tutto personale, è una delle mie parti preferite della città: lo adoro) e non è certo un caso che una delle librerie più celebri (e la più grande!) di New York prenda il nome proprio da qui. È quella strada lunga 1200 metri che da Trafalgar Square conduce a Temple Bar, che una volta era l’ingresso della City of London; da lì in poi, fino alla cattedrale di St. Paul, non si parla più di Strand me di Fleet Street e, prossimamente, avremo modo di passeggiare anche lì. Ora però rimaniamo nei paraggi di Trafalgar Square; anche Virginia Woolf ha abitato in questa zona, dopo il matrimonio con Leonard, tra il 1912 e il 1913. Le piace, apprezza “il ruggito, la confusione dello Strand”. Stare in questa zona rappresenta per lei uno stacco dal passato, rivendica la sua vita con Leonard, indipendente, nuova. Lo Strand è anche la destinazione finale della caccia alla matita di A zonzo per le vie di Londra:

“Ma ormai siamo giunti allo Strand, e mentre tentenniamo sull’orlo del marciapiede, una bacchetta non più lunga di un dito si interpone come una barriera attraverso la velocità e l’abbondanza della vita. ‘Io veramente dovrei… dovrei davvero…’ dice una voce. Senza esaminare a lungo questa esigenza, la mente si arrende davanti al solito tiranno. Dobbiamo, sempre dobbiamo fare questo o quello; non ci è concesso il semplice divertimento senza scopo. Non è forse per questa ragione che, poco fa, abbiamo inventato quella scusa, e creato il bisogno di comprare qualcosa? Ma che cos’era? Ah, sì, era una matita. Andiamo allora a comprarci questa matita. Ma proprio quando stiamo per ubbidire all’ordine, un altro io si contrappone all’insistenza del tiranno. Scoppia il solito conflitto. Oltre alla bacchetta del dovere si distende in tutta la sua ampiezza il Tamigi – largo, doloroso, tranquillo. Lo vediamo ora attraverso gli occhi di una persona che è appoggiata al lungofiume in una sera d’estate, senza alcuna preoccupazione al mondo. Lasciamo perdere la matita; andiamo in cerca di questa persona – e ben presto appare evidente che questa persona siamo noi.”

La vicinanza col fiume è in effetti determinante per lo Strand: il suo nome deriva dall’Old English e significa proprio riva di un fiume perché si affacciava sul Tamigi. Qui si trova la splendida Somerset House, il Savoy, mitico albergo che ha visto passare dalle sue stanze i personaggi più celebri, da Churchill, a Oscar Wilde ad Agatha Christie. Proprio qui, a proposito di Agatha Christie, si è svolto nel 1958 il party per festeggiare le 2239 repliche dello spettacolo The Mousetrap, ancora in scena al St Martin’s Theatre e, ad oggi, lo spettacolo più longevo al mondo. Pare che la sera della festa Christie fosse in anticipo e sprovvista di biglietto in quanto ospite d’onore; il portiere all’ingresso non l’ha riconosciuta e, timida e riservata com’era, ha rischiato di non partecipare alla sua festa. Poco distante si trova invece il King’s ollege, università fondata da Giorgio IV e dal Duca di Wellington nel 1829 e frequentata anche da Virginia Woolf, alla quale hanno poi dedicato un edificio.

Tornando a Trafalgar Square, ecco la National Gallery e, appena dietro, la National Portrait Gallery. Aperta recentemente dopo un lungo restyling – “We’re having a face lift” diceva il cartellone che ne oscurava la facciata, con sullo sfondo il ritratto di Lord Byron – la National Portrait Gallery, aperta nel 1856, è il luogo perfetto per ripassare la storia londinese, e la sua tradizione letteraria. Qui sono raccolti infatti i ritratti di tutti i più grandi personaggi in ogni ambito, ma è curioso che il primo quadro acquistato nell’anno dell’apertura sia il famoso ritratto di Shakespeare (intorno al quale c’è un bel mistero: vi rimando al libro di Bill Bryson dedicato al Bardo, si intitola appunto Shakespeare - the world as a stage).

Siamo a Charing Cross, celebre per le librerie antiquarie (avete letto 84 Charing Cross Road, di Helene Hanff?); andate avanti dalla National Portrait Gallery in direzione Leicester Square. Charing Cross è caotica, siamo nel West End, zona di teatri, ed è un susseguirsi di pedoni impazziti e cartelloni che pubblicizzano gli spettacoli, ma in una manciata di minuti, ecco un angolino di pace. Sulla destra c’è Cecil Court: una minuscola strada pedonale che unisce Charing Cross road e St. Martin’s Lane. È una mecca per chi ama i libri e, soprattutto, i negozi d’arte e antichità che si susseguono nella via con ancora le vetrine originali. Cecil è il nome della famiglia ancora proprietaria della strada dove, pare, ha abitato anche Mozart e che è stata d’ispirazione per la Diagon Alley di Harry Potter. Se siete fan di Alice in Wonderland, uno dei negozi è tutto dedicato al libro di Lewis Caroll mentre, proprio di fronte, ecco un antro letteralmente magico: antichi libri di magia, tarocchi e cristalli per gli amanti delle arti oscure.

Non siamo lontani da Bloomsbury, basta una passeggiata di un quarto d’ora per arrivare al quartiere che viene per antonomasia associato a Woolf e al suo circolo di artisti e intellettuali. Ci dice Enrico Franceschini nel suo A Londra con Sherlock Holmes (sempre inserito nei Passaggi di Dogana di Giulio Perrone Editore) che “la zona intorno al British Museum ha mantenuto l’aspetto e l’atmosfera della Londra di fine Ottocento, con townhouse di mattocini, cancelli verniciati di nero, perfino ancora qualche lampione a gas”.

È bello attraversarla immaginando di sospendere il tempo e di vedere i tanti artisti che hanno vissuto da queste parti. Se deciderete poi di leggere Flâneuse di Lauren Elkin, che ho citato prima, non vi stupirete di scoprire che la parte dedicata a Londra è ambientata proprio a Bloomsbury e che la missione della scrittrice, nel suo periodo londinese, era quella di vedere la città con gli occhi di Virginia Woolf, entrare come lei nel “paesaggio urbano” e, come noi, perdersi per ricavare energia, vita e suggestioni letterarie dalle infinite possibilità di vagabondare che la città ci offre.

Noi ci fermiamo qui, spero vi segnerete queste tappe così da percorrerle al prossimo viaggio; io l’ho fatto – in parte – a inizio ottobre e spero di tornare presto per camminare e osservare e farmi, per l’ennesima volta, travolgere da Londra.