Nosferatu e la pirateria: come la cultura sopravvive oltre il copyright.
Ho visto «Nosferatu» di Eggers: niente spoiler, anche se la storia la conoscete di già. La conoscete perché è ripresa anche dal capolavoro omonimo di Friedrich Wilhelm Murnau del ‘22 e perché quest’ultimo l’ha ripresa dal «Dracula» di Stoker – senza chiedere il permesso però, perché non vennero richiesti i diritti. La vedova Stoker, che aveva problemi finanziari, non prese bene che altri guadagnassero da un libro che non aveva scritto lei e denunciò la casa di produzione Prana film. Per non pagare la multa, l’azienda dichiarò bancarotta e la condanna divenne vendetta: la distruzione di tutte le pellicole.
La vera maledizione di Dracula è sempre stata il copyright. In Inghilterra Bram Stoker negoziò un contratto sorprendentemente vantaggioso per la sua pubblicazione. Ottenne una percentuale del 20% sulle vendite, una cifra superiore al consueto 10-15% per gli autori dell'epoca (che comunque resta alta rispetto alla contemporaneità). Tuttavia le prime vendite furono limitate e il contratto prevedeva che Stoker iniziasse a guadagnare solo dopo le prime mille copie vendute. L’autore inoltre ebbe delle grane con i diritti d'autore del suo romanzo nel mercato statunitense: ci furono errori nella procedura burocratica e il libro entrò rapidamente nel dominio pubblico. La conseguente mancanza di protezione legale rese Dracula una fonte di ispirazione ampiamente accessibile, ma privò Stoker e la sua famiglia dei guadagni che il successo globale del romanzo avrebbe potuto garantire. Ironia della sorte, proprio questa libertà non pianificata contribuì a diffondere la leggenda di Dracula in tutto il mondo.
Va anche detto che l’idea del vampiro non era così originale. Il romanzo Dracula deve moltissimo alla tradizione letteraria gotica e alle storie di vampiri che andavano molto di moda all’epoca, come Carmilla di Sheridan Le Fanu (libro che trovo molto più interessante di Dracula) e The Vampyre di John Polidori. Stoker rielaborò queste influenze e le unì a una meticolosa ricerca su folklore, superstizioni e geografia della Transilvania. A rendere più celebre il vampiro di Stoker fu anche la sua libera diffusione negli USA.
Tornando a Murnau, se il copyright ha rischiato di soffocare uno dei più grandi e influenti capolavori della storia del cinema, la pirateria lo ha salvato: la pellicola passò di mano in mano abusivamente e ancora oggi la possiamo ammirare. Vive la piraterie!
Il film infatti è sopravvissuto perché alcuni privati, cinefili, archivi e piccole sale lo hanno copiato abusivamente, facendolo circolare ben oltre i margini dell’ufficialità. Allora non esisteva la stessa attenzione filologica che si è sviluppata più tardi e si trattava per lo più di collezionisti e appassionati che non volevano veder scomparire un capolavoro. Così, mentre i nastri originali venivano eliminati per evitare grane giudiziarie, altre copie di contrabbando finivano per passare di cinema in cinema, e addirittura di paese in paese. Quando, decenni dopo, si è riusciti a restaurare un «Nosferatu» più vicino a quello originario, lo si è potuto fare solo perché qualcuno aveva conservato frammenti diversi in più copie pirata recuperate un po’ in tutto il mondo.
Il cinema, come l’arte in generale, vive spesso su queste linee di confine. «Nosferatu» ne è un esempio eclatante. Se la sentenza fosse stata rispettata alla lettera, quel capolavoro non l’avremmo più rivisto. Più in generale, situazioni come questa mostrano che la creatività – e il valore storico-culturale di certe opere – non sta in una firma o in un sigillo di legalità, né è davvero protetta dai diritti d’autore, ma vive innumerevoli vite che vanno oltre i confini autoriali.
Basta guardare al passato: Shakespeare è un gigante la cui grandezza si radica anche nel rubare e copiare storie altrui (da cronache come quelle di Holinshed, da novelle italiane, da materiali folcloristici) per rielaborarle in maniera personale. L’artista guarda ciò che esiste, lo fa suo, lo rielabora e lo restituisce al pubblico con nuova linfa. E noi in seguito abbiamo fatto lo stesso con Shakespeare, che per fortuna è fuori dai diritti. Lo stesso vale per i miti greci, le fiabe, i romanzi ottocenteschi e così via: innumerevoli mani li modellano e li rimescolano in ogni epoca.
Alla fine è il copyright il vampiro più insidioso: nato per tutelare gli autori e i loro eredi (sui meriti di questi ultimi ci sarebbe da discutere), nel caso di Nosferatu ha rischiato di sottrarci uno dei film più influenti della storia. L’avventura legale di Murnau e lo stesso Dracula di Stoker dimostrano come il sistema dei diritti d’autore raramente coincida con l’interesse culturale collettivo, né tantomeno con un’autentica tutela economica per chi crea. Per un errore Stoker ha perso i proventi dell’influente mercato statunitense, ma fu anche questo il motivo del successo planetario del suo romanzo.
La storia della cultura è anche una storia di pirateria, di copie clandestine, di adattamenti non autorizzati. Senza la circolazione non ufficiale di idee, scritti e pellicole, molti prodotti dell’ingegno umano sarebbero andati perduti. Se guardiamo a «Nosferatu», è evidente che la catena Stoker – Murnau – Herzog – Eggers si arricchisce, si contamina e si rinnova. Non c’è un inizio e una fine, c’è un continuum che accoglie e lascia fluire le idee. Chi si lamenta per un colore “sbagliato” della pelle (penso alle noiose polemiche su Biancaneve o la Sirenetta) o per un finale “tradito” non ha ben compreso come nascono le storie – e favorisce la cancrena creativa e sociale. È forse il momento di ficcare un paletto di frassino nel cuore del diritto d’autore, per immaginare un’istituzione che riesca davvero a proteggere chi crea senza danneggiare la diffusione del sapere.
Francesco D’Isa
Emilio Vedova, TRITTICO "OLTRE, 1987-1992 Curtesy Pananti (Opens in a new window).
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