Mappa Concettuale - La SECONDA GUERRA d’INDIPENDENZA ITALIANA
Il 23 aprile 1859, come sperato, arriva alla corte di Torino un ultimatum di Vienna: la trappola è scattata, Cavour avrà la sua guerra. Cavour ha ottenuto quello che voleva: un ultimatum rifiutato pone Vittorio Emanuele II come il sovrano offeso e il Regno di Sardegna come l’aggredito e non l’aggressore. Il 29 aprile cominciano a sentirsi i primi spari sul Ticino: è appena iniziata la Seconda Guerra d’Indipendenza. Il 12 maggio 1859 l’imperatore in persona si presenta a Genova prendendo il comando supremo delle forze alleate. Grazie alle nuove ferrovie, il dispiegamento di truppe è veloce e decisivo: 120 mila soldati francesi e 300 cannoni raggiungono rapidamente il teatro bellico per via ferrata, prima volta nella storia. Le tappe della guerra sono scandite dalle vittorie dell’esercito franco-piemontese: il 20 maggio a Montebello; il 30 maggio a Palestro. Passato il Ticino, il 4 giugno a Magenta, l’esercito austriaco viene cacciato dal Piemonte. L’8 giugno, dopo la Battaglia di Magenta e la fuga austriaca, Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano trionfalmente a Milano. La guerra continua. A Solferino e San Martino, il 24 giugno, le truppe austriache vengono sbaragliate. Le perdite sono enormi: si contano tra morti e feriti 23 mila austriaci e 17 mila franco-piemontesi. Mentre i Cacciatori entrano anche a Brescia, la Società Nazionale attiva le sue cellule dormienti nel centro-nord: inizia l’insurrezione generale. Anche il granducato di Toscana, i ducati di Parma e Modena e le legazioni pontificie di Romagna e Bologna insorgono, i governanti locali vengono messi in fuga. Nonostante alcuni fallimenti, nascono nuovi governi provvisori a Firenze, Parma, Modena e Bologna e viene immediatamente richiesta la presenza di commissari piemontesi. Napoleone III inizia a dubitare di Cavour: gli accordi di Plombières non avrebbero potuto fermare queste annessioni. Ed è proprio durante l’avanzata franco-piemontese in Veneto che Napoleone III decide di aprire le trattative con l’imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Gli austriaci sono più che felici di interrompere lo scontro. A Villafranca, vicino a Verona, l’11 luglio 1859 viene firmato l'armistizio tra Francia e Austria. Cavour non era stato neanche avvisato delle trattative. Vittorio Emanuele II accetta di controfirmare l’armistizio e Cavour, dopo una sfuriata col re, presenta le sue dimissioni. L’offesa è troppo grande, il tradimento troppo duro da accettare. Il re di Sardegna è comunque soddisfatto: la Lombardia, obiettivo secolare dei suoi antenati, è stata finalmente conquistata. I commissari regi, come pattuito, vengono richiamati dall’Emilia e dalla Toscana. Davanti a questo pasticcio diplomatico, l'opinione moderata filosabauda si sente tradita. Il sentimento patriottico nazionale ha conquistato troppe persone per essere ignorato. Anche Mazzini, in quel momento in Italia centrale, accantona le pretese repubblicane: tutto, pur di vedere un’Italia unita. Cavour viene richiamato sulla breccia da un rassegnato Vittorio Emanuele II: il 21 gennaio 1860 nasce il terzo governo del conte. Nonostante l’astio, il nuovo governo contatta Napoleone III: ci sono altri accordi da fare. Le condizioni sono semplici: il Piemonte cederà la Savoia e Nizza. In cambio l’imperatore appoggerà plebisciti in Emilia e Toscana per sancirne l’annessione al Regno di Sardegna. Napoleone III, dopo aver perso la faccia, non può che accettare: i plebisciti vengono indetti
per l’11 e il 12 marzo 1860. Emilia e Toscana passano così sotto Vittorio Emanuele II. L’Italia si sta formando. Il voto in Toscana e in Emilia mette in luce due aspetti importanti: primo, l’iniziativa piemontese può coincidere con quella popolare-insurrezionale; secondo, il principio dell’autodeterminazione dei popoli inizia a scalzare quello di legittimità. Poco dopo il voto, papa Pio IX, dopo aver perso alcuni territori in Emilia, si pronuncia sulla questione. Con il breve Cum Catholica Ecclesia del 26 marzo scomunica tutti i patrioti impegnati nella causa nazionale.
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