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Albedo Newsletter - N°26

Ciao, questa è la newsletter Albedo, e io sono Sebastiano Santoro, scrittore di Duegradi. L’albedo è la capacità di un corpo di riflettere i raggi solari. I cambiamenti climatici stanno provocando, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai; e la scomparsa di queste estese superfici chiare sta alterando l’albedo terrestre. L’obiettivo di questa newsletter è creare uno spazio condiviso in cui idee e storie sull’Antropocene e sui cambiamenti climatici possano sedimentare e, allo stesso tempo, riflettersi e diffondersi un po’ ovunque. Come i raggi solari quando colpiscono il nostro pianeta, appunto. Uno spazio utile perché quella che stiamo vivendo è un’epoca di cambiamenti, non solo climatici. Albedo cercherà di raccontarli, in tutte le forme possibili, dalla fiction alla non-fiction, e lo farà in cinque parti.

  • La prima è una sorta di editoriale;

  • la seconda è un consiglio di lettura;

  • nella terza c’è un piccolo promemoria sugli ultimi articoli pubblicati da Duegradi;

  • la quarta contiene link per offerte di lavoro e corsi di formazione, perché anche il mondo del lavoro sta cambiando;

  • l’ultima, la quinta parte, è un tentativo di misurare in cifre i cambiamenti che stiamo vivendo.

Che cosa sono i diritti della natura?

Lo so, quello dei diritti della natura è un tema di cui abbiamo già parlato lo scorso dicembre (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre). Però, un po’ perché mi sto ossessionando, un po’ perché è successo che nell’ultimo mese ho lavorato a un reportage che tira le somme sulla questione, insomma mi trovo anche in questo numero a parlare dei diritti della natura. Il reportage per intero è in spagnolo ed è stato pubblicato sul giornale online El Salto (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre). Qui, ho deciso di pubblicarne una parte, quella finale, che è anche un modo di rispondere, attraverso interviste a persone che hanno avuto a che fare con questi diritti, alla domanda di sopra: “ok, ma cosa sono i diritti della natura?”. Prima di inserire il testo però ti faccio un breve riassunto, a mo’ di preambolo, della storia che riguarda la foresta Los Cedros.


Negli ultimi venti anni, l’Ecuador ha puntato fortemente sugli investimenti minerari come strategia di sviluppo economico. Si sono succeduti cinque presidenti, sia di sinistra che di destra, ma il mantra dell’estrazione mineraria non è cambiato. Questi investimenti statali hanno attirato capitali stranieri con concessioni sempre più vaste in termini di superficie (circa il 19% della superficie dell’Ecuador è interessato da una concessione attuale o potenziale: una cifra pazzesca). Ad oggi l’industria mineraria è un pilastro dell’economia ecuatoriana, e in futuro è prevista un’ulteriore crescita del settore. 

Tuttavia, questa politica ha generato gravi impatti ambientali e sociali, minacciando le comunità locali e gli ecosistemi interessati. Un caso emblematico è quello della foresta de Los Cedros, un’area di straordinaria biodiversità, dove il governo aveva concesso permessi di esplorazione mineraria a compagnie statali e straniere, coprendo circa il 68% della foresta.

Insomma, una pazzia. Fortunatamente, dopo un iter processuale che è durato circa quattro anni, nel 2021 la Corte Costituzionale ecuadoriana ha emesso una sentenza che ha annullato le concessioni, riconoscendo che l’attività mineraria avrebbe violato i “diritti della natura” della foresta Los Cedros. Secondo la sentenza de Los Cedros, la natura non è solo una risorsa da sfruttare, ma un soggetto giuridico con diritti propri, da tutelare e, nel caso di violazioni, da restaurare.

Dietro questa vittoria giudiziale c’è stata un’alleanza interculturale senza precedenti: persone che si occupano di biologia, scienza, diritto, agricoltura, attivisti e attiviste, artisti, abitanti delle comunità rurali e operatori e operatrici di ONG hanno unito le forze per difendere Los Cedros. Grazie a questo sforzo collettivo, è stato possibile costruire un precedente legale capace di sottolineare quanto è importante al giorno d’oggi, dove molte crisi si intrecciano, proteggere gli ecosistemi dal solito approccio estrattivista.

Bene, questo è il punto di partenza. Arrivati fin qui mi è sorta la domanda a cui accennavo prima: ma cosa sono allora i diritti della natura? Da qui in poi ti riporto il testo dell’articolo su El Salto tradotto in italiano.


Diritti più che umani

Per rispondere a questa domanda, per prima cosa l’ho chiesta ad Alberto Acosta, presidente dell'Assemblea Costituente che nel 2008 ha introdotto questi diritti nella Costituzione ecuadoriana. “Quando ha avuto inizio l’Assemblea Costituente del 2007, l’Ecuador stava vivendo un momento di profondi cambiamenti. I popoli indigeni, tradizionalmente visti come oggetti della politica nazionale, sono emersi come soggetti politici portatori di una propria visione del mondo” spiega Acosta. “Uno degli elementi fondamentali di questa visione è la vita in armonia con la natura, con la Pachamama, la Madre Terra. Per le comunità indigene, la Madre Terra non è una metafora, è una realtà concreta. Questo è un punto essenziale da considerare”.

Le cosmovisioni indigene sono state cruciali nella formulazione dei diritti della natura. Come evidenziato dall’etnografo Philippe Descola nel suo celebre studio Oltre natura e cultura, per la comunità amazzonica achuar gli elementi naturali non sono estranei all’essere umano, ma fanno parte di una società allargata in cui ogni essere vivente è considerato un soggetto con una propria intenzionalità. Secondo gli achuar, non esiste una netta separazione tra natura e cultura: piante, animali, fiumi e montagne possiedono una forma di interiorità simile a quella umana, differenziandosi solo nel modo in cui comunicano con noi esseri umani. Ogni essere quindi fa parte di una comunità interconnessa, la Pachamama, dove le relazioni non sono regolate da una gerarchia antropocentrica, ma da un sistema di reciprocità e rispetto. Una concezione simile a questa degli achuar è condivisa da molte altre popolazioni indigene, in Ecuador e altrove.

Ma non si tratta solo di visioni filosofiche o idee astratte: i diritti della natura implicano un ulteriore salto culturale rispetto a quello a cui noi occidentali siamo abituati. Un concetto chiave legato a questi diritti è il Buen Vivir. Ecco, ho usato la parola ‘concetto’, ma Alberto Acosta prontamente mi corregge: “Il Buen Vivir è più un’esperienza che un concetto teorico. Non è un’ideologia, è la vita stessa, una vita in armonia con sé stessi” afferma Acosta. “Ma per vivere in armonia con sé stessi, l’essere umano deve vivere in armonia con il resto della comunità di esseri viventi. Questa è, per me, una delle essenze del Buen Vivir, che si basa su molte esperienze, valori e pratiche concrete”.

A partire dal caso della foresta Los Cedros, ed esplorando cosa c’è dietro i diritti della natura, diventa allora evidente che persone che si occupano di diritto, agricultura, attivisti e attiviste, politici, artisti, scienziati e scienziate, leader comunitari, sia ecuadoriane che straniere, convergono verso un obiettivo comune: proteggere la vita. Nonostante le differenze, condividono la consapevolezza che la natura è la casa che ci accomuna, sia esseri umani che non umani. Non a caso, la parola “ecologia” deriva dal greco e significa “discorso (logos) sulla casa (oikos)”.

Ma Acosta sottolinea che non è necessario guardare esclusivamente alle cosmovisioni indigene per comprendere i diritti della natura. “Ci sono molteplici strade per arrivare a questa visione. Hai mai letto Il barone rampante di Italo Calvino? - (piccola pausa dal testo: sai quanto stravedo per Calvino, quindi immaginati la dimensione e quanto stavano brillando i miei occhi mentre Acosta mi parla di questo autore e lo lega ai diritti della natura…) - Il protagonista Cosimo Piovasco di Rondò, che vive sugli alberi, a un certo punto dell’opera disegna un progetto di Costituzione dove immagina una società di persone che vivono sugli alberi che rispettano e valorizzano la natura. Questo libro è stato pubblicato nel 1957. Tante persone, nel corso della storia, hanno capito che la Terra è una madre. Possiamo risalire al filosofo Baruch Spinoza o a San Francesco d’Assisi”. Poi Acosta conclude: “Si dice che tutte le strade portano a Roma. Ora posso dire che tutte le strade portano ai diritti della natura”.

A questo discorso fa eco il giudice Grijalva, ovvero il giudice che ha scritto la sentenza della Corte Costituzionale de Los Cedros di cui ti parlavo all’inizio: “Credo che i diritti della natura siano, prima di tutto, una critica. Non sono una teoria strutturata come il diritto ambientale, che ha una sua storia, le sue categorie e istituzioni. I diritti della natura sono, soprattutto, una riflessione e un grido di allarme di fronte ai disastri ecologici che stiamo vivendo”.

“Viviamo in una finzione, in un mondo irreale in cui cultura e natura sono considerate entità separate, ma questa separazione non esiste. Noi siamo parte della natura e dipendiamo da essa in ogni momento: respiriamo la sua aria, ci nutriamo di ciò che la terra produce, la nostra economia trasforma elementi naturali. Non abbiamo mai creato qualcosa dal nulla, e mai lo faremo” aggiunge Grijalva. “I diritti della natura mettono in discussione la nostra concezione dei diritti umani, dell’economia e della politica. Tutto andrebbe ripensato”.

Sulla stessa linea si colloca anche Natalia Greene, direttrice della Global Alliance for the Rights of Nature (GARN), un’organizzazione ecuadoriana che lavora per il riconoscimento giuridico di questi diritti. GARN riunisce attiviste, avvocati, scienziate e leader comunitari per trasformare il rapporto tra umani e ambiente. “I nostri governanti continuano a cercare la ricchezza attraverso l’estrazione di risorse. Ma se vogliamo preservare la biodiversità dell’Ecuador, dobbiamo cercare un altro modello di sviluppo basato su una ricchezza di altro tipo” afferma Greene.

Per Greene, i diritti della natura rappresentano “una luce di speranza” in mezzo alle molteplici crisi attuali. Sebbene il concetto non sia ancora diffuso a livello globale, Greene è convinta che stia crescendo, soprattutto tra le nuove generazioni. “Per i bambini è ovvio; il problema è che, crescendo, disimpariamo la nostra connessione con la natura”. E aggiunge: “Non importa se lo dice un religioso, un hippie o un avvocato: abbiamo bisogno di riconnetterci con la Terra”.

Dopo aver ascoltato tutte queste voci, appare chiaro che i diritti della natura non sono solo una questione giuridica, ma un cambiamento di paradigma. Non si tratta solo di proteggere la natura, ma di riconoscerla come soggetto, comprendendo che la sua salute è indissolubilmente legata alla nostra.

Le parole di chi ha partecipato a questo reportage si intrecciano in un discorso più ampio che ci invita a ripensare il nostro posto nel mondo. L’idea che la natura sia un’entità separata dall’essere umano diventa insostenibile di fronte alla crisi ecologica che stiamo vivendo. Forse, come suggerisce Acosta, ci sono molti cammini per arrivare a questa consapevolezza: dalla filosofia alla spiritualità, dalla scienza al diritto. Ma il punto d’arrivo è lo stesso: riconoscere i diritti della natura significa riconoscere la nostra interdipendenza con essa. È una questione etica, ecologica, ma anche profondamente pratica. È forse questa la lezione più importante che possiamo apprendere dalle cosmovisioni indigene, dall’esperienza giuridica dell’Ecuador e dalle lotte di chi, in tutto il mondo, difende il nostro futuro comune.


Albedo di marzo finisce qui (questa formula sta diventando ormai un’abitudine). Domani comincerà nel nostro paese la primavera. Le piante torneranno a verdeggiare (a parte quelle che a causa del cambiamento climatico sono già fiorite da un pezzo; ma vabbè, questa è un’altra storia). Ci saranno nuovi profumi, nuovi colori. L’ambiente in cui viviamo sembrerà di nuovo prendere vita. Pensateci se queste piante o questi alberti potessero diventare entità con cui entrare in relazione, stabilire un dialogo seguendo un linguaggio nuovo, inesplorato. Pensa se tutto questo fosse possibile. E non storcere il naso: questo non è il pensiero di un hippie o di una trasognata, è in realtà un pensiero molto realista e molto concreto di qualcuno o di qualcuna a cui è toccato vivere nel 2025. Forse, in verità, l’unico pensiero realista possibile. 


Noi ci sentiamo il mese prossimo. Se vuoi raccontarmi del rapporto con il tuo potus, o con il tuo animale domestico, o con qualsiasi altra entità non umana, scrivimi sempre al solito indirizzo, sebastiano.santoro@duegradi.eu (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre). Se invece vuoi regalarci un caffè, sostenere il lavoro che fa quotidianamente Duegradi, puoi farlo qui (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre). Io ti lascio con una serie di foto che ho scattato nella foresta Los Cedros e una canzone realizzata da alcuni artisti che hanno nominato la foresta Los Cedros co-autore del pezzo.

(S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)

Rio Magdalena, che nasce nella foresta Los Cedros.

L’inizio del sentiero che porta alla foresta.

Los Cedros è una foresta tropicale premontana, anche soprannominata foresta nebulosa. La nebbia perenne che avvolge il bosco bagna le foglie degli alberi più alti, poi condensandosi cade lentamente sul terreno del sottobosco. Il risultato è un suolo ricchissimo di acqua e nutrienti, dosati con la giusta misura, che generano una moltiplicazione della vita spettacolare.

L’amministratrice della Stazione Scientifica che si trova all’interno della foresta, Sulma Sanchéz, che mi indica qualcosa. Ma che ora non ricordo cosa.

Ingresso della Stazione Scientifica Los Cedros che si trova proprio nel mezzo della foresta, a due ore di cammino dalla strada principale.

Fausto Lomas, una delle persone che lavorano alla Stazione Scientifica. 

Sulma Sanchéz che mi indica (questa volta sì che lo ricordo) l’area della foresta su cui era stata approvata la concessione mineraria. 

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