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Odiare la fama

C’è una dinamica comune in certi ambienti. Consiste nell’odiare persone con cui si condividono molte idee ma che, per qualche motivo, sono riuscite a diventare più o meno note.

La fama viene letta come un’inevitabile causa di corruzione e da sola è sufficiente per marchiare chi la detiene come un “traditore” o un venduto. Credo sia vero che ogni forma di potere corrompe, resta però da chiedersi se questo bruciante fardello non sia meglio che capiti ad alcuni e non altri. Il paradosso di questa dinamica infatti è che si finisce a odiare più gli “imperfetti sodali” dei propri nemici.

Ricordo vecchi resoconti etnografici, non so quanto accurati – poteva forse essere Lévi-Strauss – in cui si raccontava come in certe tribù il ruolo del capo villaggio non volesse farlo nessuno, perché era responsabile di tutto e dunque odiato da tutti. Alcuni benefici servivano infatti da incentivo, come una migliore abitazione o molte mogli.

Il potere corrompe perché ti situa tra altri poteri e certe forme di purezza puoi permettertele solo quando sei al fondo della gerarchia, con poche possibilità di rappresentare un vero pericolo per qualcuno. Se abiti dove c’è libertà di parola la tua bocca potrà restare aperta, ma la tua vita sarà comunque asservita a dinamiche di potere imposte da altri. Se scali la gerarchia i rapporti cambiano e ogni tua azione avrà più peso sugli altri e anche su te stesso. Ci saranno però molte cose che non puoi fare o dire, perché avrai potere, sì, ma non abbastanza.

Chi ha potere determina le nostre vite e merita la nostra severità. Credo però che chi arriva ai vertici meriti anche la nostra cura e tolleranza, soprattutto se è qualcuno che porta avanti le nostre istanze. Il potere corrompe, ma è anche faticoso, non da ultimo perché tutti i tuoi vecchi amici avranno gioco facile a pensare che ti ha rovinato – e che ora il nemico sei tu.

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Lucio Fontana, Battaglia, 1955, Courtesy Casa d'aste Pananti (Opens in a new window)

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