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LA NEWSLETTER DEL GIOVEDÌ DI ANDREA BATILLA

PERCHÈ SANREMO NON È SANREMO

Sanremo, il festival della musica italiana che si svolge in questi giorni, è diventato un concentrato di attenzione mediatica senza precedenti. È il Super Bowl Halftime Show italiano, la notte degli Oscars insieme agli Emmy, Grammy e Golden Globes. La prima serata dell’edizione 2025 è stata vista da 12,6 milioni di spettatori con uno share record del 65,3 %. È una specie di liturgia nazionale, una messa laica in diretta radiotelevisiva che questa volta è stata molto meno laica e più cristiano/cattolica. C’era pure un videomessaggio del papa.

Guardare Sanremo, in onda sulla più importante rete televisiva nazionale, Rai1, è un esercizio per capire qual è lo status della relazione tra potere e mezzi di comunicazione, tra politica e sentire comune, tra usi e costumi quotidiani e realtà dei fatti. Il verdetto, dopo la prima e la seconda serata, è che siamo messi veramente male e che nell’aria non c’è più l’elettricità di Amadeus ma il conservatorismo formale di Pippo Baudo che, anche se non era lì fisicamente, ha virtualmente condotto il festival.

Conti, Scotti e Clerici, conduttori anonimi e distanti della prima serata, hanno rappresentato il ritorno alla tradizione, al buonismo familiare degli anni ’80, in cui conflitti e tensioni sociali entravano sul palco dell’Ariston solo dopo essere state spettacolarizzate e aver perso ogni significato.

Nella seconda serata Conti ha più volte tentato di portare l’attenzione sul fatto che Bianca Balti è una malata oncologica ma lei, bellissima e intelligente, ha respinto spiritosamente ogni riferimento. C’era però Cristiano Malgioglio a recitare l’eterna macchietta del gay alla Cage Aux Folles, riportandoci indietro di decenni.

Che dire poi della quantità di ballad struggenti dedicate ad amori finiti o impossibili? O di Simone Cristicchi portabandiera di una narrazione del dolore consolatoria e irreale?

Anche i super ospiti sapevano di fiction da prima serata. Noa e Mira Awad hanno cantato Imagine di John Lennon in inglese, ebraico e arabo, dopo aver ascoltato il messaggio del Papa. Invece di sembrare un segnale di fratellanza contro la guerra, la loro esibizione aveva l’aria di uno show a Las Vegas.
Jovanotti, che sul concetto di oratorio ci ha costruito una carriera, ha chiamato il suonatore di sitar “persona che suonava”, mentre Damiano David è stato costretto a interpretare una lacrimevole canzone di Lucio Dalla con alle spalle, incomprensibilmente, un Borghi seduto su una panchina con un bambino. Che si è poi messo a piangere per la pressione emotiva.

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