Calcerò #03 - Ho visto correre il tempo
Una profezia azzeccata, la rielezione scontata di uno che è stato frainteso, i minuti che scorrono e chi li vorrebbe fermare. E poi, sì: andiamola a rivedere
Ciao a tutti,
L’11 del mese questa volta arriva di lunedì, e questo significa che Calcerò sarà il caffè che vi aiuterà a iniziare la settimana, qualsiasi cosa siate chiamati a fare. Un caffè scorretto, ovviamente.
Prim’ancora di entrare nel merito di questa newsletter, vale la pena tornare su quanto scritto il mese scorso (Öffnet in neuem Fenster), quella distopia che pretendeva di essere un giochetto - per quanto non campato per aria - e invece si è tramutata in realtà. Buon profeta o latore di sfiga (balle, ovviamente), Calcerò qualcosa l’ha già azzeccato - le mancate dimissioni di Gravina, mai in ipotesi, e una caterva di articolesse sugli stranieri quale problema del calcio italiano - e qualcosa no, tipo le dimissioni di Mancini che non ci sono state e questa, al netto di errori evidenti e di un sistema mediatico che lo idolatra per partito preso, è una buona notizia. Occhio però: le previsioni erano tante e a breve altre si riveleranno azzeccate mentre l'onore azzurro, anche questa volta, lo terremo alto al massimo al biliardino.
Fine del riscaldamento.
Lo scorso 31 marzo, per la sorpresa di nessuno, Gianni Infantino ha annunciato al congresso Fifa di Doha la ricandidatura per il suo terzo mandato alla guida della Fifa. Lo ha fatto sostenendo di non avere mai proposto il Mondiale biennale (bella questa, vero? Lo ha comunque definito «fattibile», hai visto mai) e pochi giorni più tardi il Sun, tabloid al quale è difficile appioppare l’aggettivo “attendibile”, se ne è uscito parlando dell’idea di una Coppa del Mondo triennale (Öffnet in neuem Fenster), ripreso da testate e sitarelli senza alcuna verifica perché nel grande gioco dei click uno vale uno, soprattutto quando si parla di stupidaggini, e tutto questo nonostante sia facile attribuire a Infantino idee bislacche e scelte discutibili: ha un palmares titolatissimo. A proposito: al congresso di Doha c’erano il segretario della federcalcio russa Alaev e il presidente del comitato promotore di Russia 2018 Sorokin, mentre Andriy Pavelko, a capo della federazione calcistica ucraina, ha inviato un videomessaggio nel quale la prima cosa che si notava era il giubbotto antiproiettile. Nulla da aggiungere.
La rielezione del numero uno del calcio internazionale è scontata e lo è principalmente per un motivo economico: come ha notato Matt Slater su The Athletic, nell’ultimo quadriennio la Fifa ha aumentato di sette volte i contributi alle singole federazioni (a Zurigo le entrate sono aumentate di un terzo e le spese diminuite) e in quello corrente conta di generare revenues per 7 miliardi di dollari, una cifra mai ottenuta in precedenza. Figurarsi allora se le federazioni, che spesso di pelo sullo stomaco ne hanno eccome, non sono disposte a concedergli strafalcioni (tipo l’imbarazzante passo dell’intervento al Consiglio d’Europa di cui si è scritto qui (Öffnet in neuem Fenster)), fughe in avanti, retromarce e la più classica delle risposte politiche, sostenere cioè di essere stato frainteso.
Tant’è, e allo stesso modo la sua apertura al tempo effettivo è un pour-parler: «Non è possibile - aveva detto a gennaio a Radio anch’io sport - che le partite durino 47-48 minuti su 90, devono durare almeno 60 minuti effettivi», e nei giorni scorsi a Firenze un suo ragionamento nello stesso solco ha portato alcune testate a scrivere di un’ipotesi di allungamento strutturale del recupero sino ai 100 minuti addirittura per Qatar 2022. Smentito da Infantino, ma è certo che la questione sia oggetto di dibattito. L’Ifab peraltro già più volte ha ragionato dell’ipotesi, sollecitata dalla Fifa stessa. Ci si può attendere il tempo effettivo nel calcio in futuro?
No, o almeno non così come siamo abituati a vederlo ad esempio nel futsal o nel basket. Posto che non è garanzia di spettacolo (chi ha tempo da perdere e gusto per l’orrido può andarsi a rivedere i primi 9 minuti di Juventus-Villarreal, ritorno degli ottavi di Champions: tutto tempo effettivo in cui non è accaduto letteralmente nulla), è difficile immaginare che il calcio possa modificare una regola così impattante per tutta una serie di motivi. Tralasciando la tradizione - il volley, in questo senso, si rinnova spesso e si è giovato nel 1998 dell’introduzione del rally point system che andò a incidere addirittura sul calcolo del punteggio, uscendone migliore e rendendo incomprensibili ai più giovani gli episodi di Mila & Shiro - vi sono punti delicati come la rigidità delle procedure di sostituzione dei giocatori (una situazione ben diversa da quella nella quale i cambi sono illimitati e possono essere effettuati in qualsiasi momento), l’attuale immanenza del Var che già allunga a dismisura i tempi morti o, banalmente, le dimensioni del campo, aspetto quest’ultimo che ha a che fare con la disponibilità immediata di palloni e raccattapalle. Chi segue il futsal sa che una gara di 40 minuti effettivi può durare tanto un’ora e mezzo quanto due ore e venti. Davvero il calcio può permettersi quest’alea?
A fine febbraio in Portogallo si era diffusa la voce secondo cui le gare della fase finale di questa edizione della Taça Revelaçao Under 23, in programma da lunedì 18 aprile, si sarebbero svolte con due tempi effettivi di 30 minuti l’uno. Lo scrisse Record, gli andarono dietro O Jogo e una marea di altre testate raccontando di un’idea della Fpf (la federcalcio lusitana) in accordo con l’Ifab, alla quale spetta il benestare al test, altrimenti impossibile. Già era improbabile pensare a una modifica delle regole in corsa, inoltre Fpf non aveva mai confermato e, in effetti, non sarà così: addirittura non c’è nemmeno stato un incontro tra Fpf e Ifab e proprio un paio di giorni fa Record ha parlato di riunione posticipata alla prossima stagione. Vedremo, ma occhio che non è così semplice.
Ha maggiore senso parlare di accorgimenti che possano far perdere meno tempo, ottimizzando soprattutto il recupero che, quello sì, potrebbe oggettivarsi in un tempo effettivo se agli arbitri verranno date, come è allo studio, linee guida in tal senso, ma appunto oggi l’allungamento dei tempi morti si deve anche alla tecnologia.
Ecco, appunto, parliamo rapidamente di Var, e facciamolo in maniera laica: il secondo tempo dell’ultimo Juventus-Inter è terminato al minuto 55 e sarebbe stato interessante un calcolo, su tutta la gara, del tempo perso per i vari check e review. Spannometricamente siamo sui sette minuti abbondanti. Come si conciliano queste due tensioni opposte in tema di tempo di gioco?
Avremo modo di parlarne in futuro, perché è evidente che l’uso della tecnologia subirà modificazioni: il fuorigioco full automated, tramite sistema di rilevamento delle posizioni in campo, nell’arco di un biennio dovrebbe diventare lo standard e agire come la Goal Line Technology, ma sarebbe il caso probabilmente di agire sulle regole di ingaggio delle review, magari con un numero molto ma molto limitato - basta uno - di chiamate per squadra. Da un lato l’ombrello video (dove c’è un altro arbitro) toglie autorevolezza al direttore di gara che va in campo - gli atteggiamenti dei calciatori lo dimostrano: guardatene la comunicazione non verbale - senza contare che, dai e dai, qualcosa di televisivo lo si trova sempre, e dall’altro il tempo sospeso, oltre ad allungare i tempi, castra le emozioni, le ritarda, ricaccia le urla in gola. In una parola: stanca. Senza l’immediatezza il calcio ha solo da perderci e, peraltro, più la tecnologia allontana il calcio della base da quello dell’élite, più ne cambia lo spettatore.
Ma ne parleremo nei prossimi mesi, in un numero dedicato.
“Ho visto correre il tempo”, la frase che dà il titolo a questo numero, è così suggestiva che non vorrei pensaste nasca da me. No, è l’incipit di un immortale articolo di Dino Buzzati sul Corriere della Sera, anno 1949, quando lo scrittore era inviato a seguito del Giro d’Italia. Evocava, con quelle parole, i primi segnali di declino di Gino Bartali.
Ho visto correre il tempo, ahimè, quanti anni e mesi e giorni, in mezzo a noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocità spaventosa, benchè non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo da che mondo è mondo.
CAMPO PER DESTINAZIONE
Cosa ci perdiamo a Qatar 2022 (Öffnet in neuem Fenster) e cosa ci dobbiamo attendere da United 2026, quando l’Italia tornerà finalmente ai Mondiali (Öffnet in neuem Fenster) (nessuna scaramanzia qui: Calcerò ci ha azzeccato un mese fa, ci prenderà ancora)? Ne ha scritto The SpoRt Light (Öffnet in neuem Fenster) in maniera esaustiva e originale. Abbonatevi: sono 30 euro all’anno ben spesi, e questa è autopromozione bella e buona.
Andiamo indietro di una decina di anni, ma se lo trovate è un colpaccio: I piedi dei Soviet. Il futból dalla Rivoluzione d’Ottobre alla morte di Stalin (Öffnet in neuem Fenster)di Mario Alessandro Curletto è un must have e, forse mai come in questo periodo, la storia è necessaria molto più del nostalgismo per capire alcuni risvolti non solo del calcio, ma del nostro tempo.
Sabato 9 aprile, Serie C, una cartolina da Modena che ha girato su centinaia di gruppi WhatsApp, con tanti saluti dal calcio orizzontale. Perché ok la scienza, gli xG, il possesso, poi però nel calcio il pubblico gode, si dispera e racconta a figli e nipoti queste cose qui (ecco, magari senza commento, perché infantilismi come «non ci credo» non si possono sentire):
Triplice fischio anche oggi.
Chiunque volesse suggerire, contestare, contribuire, correggere, segnalare, può scrivermi direttamente qui: calcero.newsletter@lorenzolonghi.com (Öffnet in neuem Fenster)
Ci rileggiamo l’11 maggio, nel mese delle finali!
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L’archivio dei numeri precedenti (due, oltre ad altrettante puntate introduttive) si può consultare qui. (Öffnet in neuem Fenster)
Calcerò - il futuro del pallone è la newsletter mensile sul domani del calcio. Il giorno 11 di ogni mese arriva puntuale nella tua casella. È curata da Lorenzo Longhi (Öffnet in neuem Fenster)