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Sotto l’incantesimo di Lana Del Rey

Sotto l’incantesimo di Lana Del Rey

Lana Del Rey ha pubblicato Bluebird, il secondo singolo estratto dal suo nuovo album, The right person will stay, in uscita il 21 maggio. Per l’occasione è giusto spiegare il perché del suo fascino (anche) sulla moda, con questo pezzo, che è stato originariamente pubblicato su Dust (Abre numa nova janela) lo scorso anno.

La parola glamour è stata coniata nel 18esimo secolo dagli scozzesi: secondo la Treccani è una bizzarra alterazione ( o forse ampliamento) della parola inglese grammar, che a sua volta deriva dalla grammatica latina.Laddove quest’ultima intendeva in maniera generica l’istruzione scolastica, l’apprendimento, glamour si traduce come magia, incantesimo, malia. Questo succede perché, spiega la Treccani, c’è stata una popolare associazione dell’erudizione con le scienze occulte». Trasformatosi poi in un aggettivo – potremmo aprire lunghe parentesi sul dato che questa parola oggi si usi solo ed esclusivamente per definire le donne, eredi di quelle streghe medievali capaci di esercitare un’influenza maligna su quanti le circondano – si è tornati a parlare di glamour in riferimento al mondo cinematografico della Hollywood degli Anni 40, e delle sue principali protagoniste: attrici come Veronica Lake, Rita Hayworth, Lana Turner, Lauren Bacall, dotate di chiome dorate o rosse ( colore che nel Medioevo, guarda caso, era segnale primigenio che identificava le streghe, ma anche dei vampiri, insomma, in qualunque caso, personaggi magici e maligni) afflitte spesso da un passato traumatico, avvolto nel mistero, capaci di ammaliare gli spettatori. 

In questo senso, non c’è nessun artista oggi che incarni il concetto di glamour meglio di Lana Del Rey. E questo non perché la cantante newyorchese riprenda da sempre l’immaginario di quella Old Hollywood. Certo c’è la chioma ramata e morbida, à la Veronica Lake, della copertina del suo album d’esordio Born to die (2012), ci sono certi gorgheggi musicali degni della migliore Jessica Rabbit, prototipo della femme fatale, come in Sad Girl ( Ultraviolence, del 2014), ma non si tratta solo di mera adesione ad un personaggio, realmente sentito o creato a tavolino non importa. Perché quando Lana del Rey si è esibita a Milano il 4 giugno dello scorso anno, nella cornice degli I-days, i 67 mila presenti hanno esperito in prima persona il significato di glamour.

https://www.youtube.com/watch?v=Bag1gUxuU0g (Abre numa nova janela)

Laddove, per identificarti come star globale, alle donne – ma anche ai giovani uomini del K-pop, ad esempio – è richiesta la capacità di intrattenere il pubblico con balletti e coreografie, ammiccamenti e movimenti conturbanti dei fianchi, Lana Del Rey incanta (o strega) il pubblico, con la sua mera presenza. Un dato del quale ci si rende conto con un certo stupore, prendendo parte all’evento, circondati da una Gen Z entusiasta o da più riflessive geriatric millennial, coetanee di Lana (classe 1985) accompagnate da volenterosi fidanzati. Lana si siede su una sedia per eseguire una basilare serie di movimenti, e il pubblico se ne meraviglia (Oddio, si è seduta!); Lana fa emergere un casuale sorriso, mentre sembra immersa, catatonica, in un viale dei ricordi che le si staglia di fronte mentre esegue canzoni di un album di più di 12 anni fa, e le 13enni urlano come di fronte allo svelamento di un mistero mariano (Oddio, è bellissima!); Lana muove le mani durante Cherry, che più che una canzone sembra una lista di ingredienti utili ad un incantesimo “My cherries and wine, Rosemary and thyme, and all of my peaches” e si spande tra i presenti un entusiasmo euforico; Lana si abbarbica al palo della pole dance per una ventina di secondi, facendo scivolare con languore i suoi stivali glitterati di Christian Loboutin sull’asta in metallo e gli astanti vanno in deliquio. Sembra di rivedere quella scena finale di Profumo, nella quale il talentuoso Jean-Baptiste Grenouille, al centro di una pubblica piazza si versa sul capo l’eau de toilette definitiva, da lui creata, che rende chi la indossa degno di adorazione, e i presenti si ritrovano in preda alla perdita totale dei sensi.

https://www.youtube.com/watch?v=vBHild0PiTE (Abre numa nova janela)

Lana del Rey, al secolo Elizabeth Grant, non ha bisogno di intrattenere, le basta presenziare.

L’incantesimo è anche indubbiamente nel mettere insieme generazioni diverse, millenial e Gen Z: generazioni che sembrano dividersi su qualunque argomento, già avvezze a dileggiarsi e a guardarsi con sospetto, e che invece per lei sono raccolte sotto lo stesso palco, in alcuni casi chiedendosi una mano l’un l’altra con i brillantini da applicare sugli occhi (e d’altronde TikTok pullulava di video di giovanissimi che, in barba alle previsioni meteo, si preparavano per il concerto come se dovessero presenziare a un rito di massa, e non ad un live in uno sterrato con il pericolo pioggia dietro l’angolo). Tutto questo sancisce la contemporaneità di una donna che sfugge alle tendenze, perché capace di creare una dimensione temporale sospesa. Un universo noir, in bianco e nero, che accoglie i più giovani, nostalgici di quella Golden age dell’indie sleaze nella quale Del Rey ha esordito, dando forma a quella che oggi è nota come “estetica Tumblr”. Giovani alla ricerca di una mitologia stabile nel mezzo di un un’era social che mangia e digerisce artisti e ideali nel tempo dello scorrimento di un feed, che mitizzano quell’intervista degli esordi nella quale la cantautrice, ammetteva, delusa dalla ricezione della critica di settore del suo primo album, “I wish I was dead” con quel fatalismo implacabile che possono avere solo i ventenni.

https://www.youtube.com/watch?v=4mECX60FVJQ (Abre numa nova janela)

La amano anche quelli meno giovani, che magari con lei sono cresciuti, e sono sollevati che invece Lana Del Rey sia viva e vegeta, si sia costruita nelle avversità e molto spesso nonostante un’industria musicale americana che invece non l’ha mai molto amata, almeno agli inizi. Il suo quinto album, Norman Fucking Rockwell (2019), è stato valutato 9.4 dal sito Pitchfork, noto per la severità dei sui giudizi: “Lana del Rey canta di libertà e trasformazione e del peso di essere viva. Norman Fucking Rockwell la definisce come una delle più grandi cantautrici americane viventi», un parere condiviso più o meno con le stesse parole persino dal signore del genere “Americana”, Bruce Springsteen.

https://www.youtube.com/watch?v=ZFWC4SiZBao (Abre numa nova janela)

E nonostante i critici di settore oggi siano tutti abbastanza in linea con questa definizione, e le più grandi pop star della contemporaneità la citino in continuazione come riferimento senza il quale forse non avrebbero mai iniziato a fare musica (la due volte premio Oscar Billie Eilish o Taylor Swift, per citarne alcune) Lana Del Rey non ha un camino o una mensola in bagno sul quale troneggiano Grammy Awards. Al netto di otto album considerati un percorso coerente, e che si è arricchito di complessità e sfumature via via che il tempo passava, l’industry della musica non ha mai voluto riconoscerne l’unicità. Vox populi è che la decisione risalga al suo esordio, quando, con un album al primo posto delle classifiche, e una fama guadagnata principalmente tramite video su YouTube, nel 2012 viene invitata per la sua prima performance dal vivo nel popolare programma Saturday Night Live: l’esibizione così attesa dal pubblico pronto ad arruolarsi nelle fila di un nuovo culto è però deludente, Lana è nervosa, stona, la voce celestiale dell’album non sembra quella della giovane donna in abito bianco. Il web la massacra, i critici la definiscono “la peggior esibizione mai vista da SNL” , poche settimane dopo sullo stesso programma la comica Kristen Wiig ne fa una parodia, (Abre numa nova janela) per la delusione Del Rey annulla il minitour di 30 date negli Stati Uniti. (Pare che) i grandi manager dietro i Grammy Awards prendano allora la risoluzione di non concedere a questo fuoco fatuo nessun riconoscimento. 

https://www.youtube.com/watch?v=cE6wxDqdOV0 (Abre numa nova janela)

Che sia vero o meno, in occasione della performance al Coachella di aprile 2024 con la quale Lana Del Rey ha invece inaugurato la parte internazionale del suo album Did you know that there’s a tunnel under Ocean Boulevard? la cantante ha fatto intendere, nella sua maniera criptica, di portare ancora i segni di quel battesimo del fuoco.  Nei giorni precedenti alla sua esibizione da headliner, sui boulevard di Indio, in California, sono infatti apparsi dei cartelli pubblicitari dal gusto camp, una croce rossa su sfondo bianco, e la scritta “Has anyone else died for you?” In calce, in rosso “Lana Del Rey, SNL, 14 gennaio 2012”. Ciò che è venuto dopo e l’apertura del Coachella rappresentano la chiusura di un cerchio, una rinascita, ma rimane  indubbio che la dimensione del palcoscenico non sembra quella nella quale la cantautrice si senta più a suo agio: tra le poche cose che fan ormai convertiti o redenti post-SNL le rimproverano, c’è una set list stabile, al punto di essere divenuta stolida, che Lana esegue senza grosse interazioni col pubblico, a cui basta un cenno o un “Ciao Milano” per erompere, sdilinquirsi mentre la beniamina arriva sul palco sulle note del Padrino.

https://www.youtube.com/watch?v=_I0zYHil4D8 (Abre numa nova janela)

In realtà, abituati ad un music system che ormai flirta pesantemente con le maison, i fan le rimproverano anche la sua tenuta da concerto, sempre uguale (almeno per le prime tre date della parte europea del tour): un abito con cut out e gonna corta, ricoperto di glitter, realizzato in diverse varianti da Dolce & Gabbana. Un outift che si abbina alla perfezione con l’acconciatura anni 60, quell’alveare di lacca e ambizioni che Lana ha ereditato dalle Ronettes di Ronnie Spector, nate e cresciute nell’Harlem spagnola di New York, più che da Amy Winehouse da Camden. Ed è probabilmente ingiusto chiedere ad una cantautrice la cui uniforme prediletta sono sempre stati “blue jeans, White shirt” più applicazione su un argomento che magari la appassiona solo come spunto poetico che come arte applicata alla sua persona. D’altronde ciò che è più notevole nella sua figura è anche la sua imprevedibilità, l’incapacità di adeguarsi al manuale delle regole non scritte che ogni star del suo calibro dovrebbe rispettare. Se le altre firmano accordi, calcano tappeti rossi con la speranza di essere incoronate regine di stile, oltre che delle classifiche – anche perché un accordo da testimonial per la maison giusta, oggi, frutta quasi quanto un nuovo album – lei si presenta sui red carpet con vestiti che ha comprato al centro commerciale ( nel 2022, ai Grammy, di fronte alle domande di rito di chi la intervistava, e che le chiedeva di chi fosse il suo abito glitterato con una gonna che ricordava quelle usate negli anni 20 del charleston, rispose che lo aveva trovato mentre era in giro a fare compere al centro commerciale con il fidanzato, a cui mancava una cinta per la sera dell’evento).

https://www.youtube.com/watch?v=qolmz4FlnZ0 (Abre numa nova janela)

L’unico grande creatore di moda a cui Del Rey si è affidata in passato, divenendo testimonial del profumo Gucci Guilty, è stato Alessandro Michele (il più holliwoodiano tra i designer contemporanei). Capace di percepirne il potenziale, Michele è stato autore degli outfit più memorabili che si ricordino indosso a Lana, come quello con il quale si presentò insieme a lui e Jared Leto al Met Gala 2018, a tema Heavenly Bodies, fashion and the catholic imagination. Un vestito di un bianco virginale con profili dorati, con aureola in argento dotata di ali azzurre e un cuore sacro trafitto da spade posizionato sul petto, a ricordare la ferocia anatomica dell’immaginario cattolico. 

Ed in effetti più che santa, nella cultura americana Lana Del Rey assomiglia più ad una martire sopravvissuta a diverse crocifissioni mediatiche. Dopo quella di SNL, sul suo corpo si sono consumate battaglie che a volte non riguardavano soltanto lei e il suo peso fluttuante, oggetto comunque di commenti grassofobici dei quali Del Rey non si è mai curata.

“cause my body is my Temple, my heart is one too,  the only thing that still fits me is this black bathing suit” ( Black Bathing suit)

https://www.youtube.com/watch?v=Py_-3di1yx0 (Abre numa nova janela)

 In maniera persistente, è stata fortemente criticata dai media per una sua apparente non adesione alla causa femminista, per dei testi che secondo i detrattori “glamourizzavano” ( ancora una volta torna in gioco la magia) le relazioni tossiche. A poco è servito che la cantante dicesse che ciò di cui parla è la sua esperienza personale, per quanto imperfetta, o che ammettesse la sua ignoranza sulla storia del femminismo «Non ne so granché, non sono un interlocutore rilevante da portare in questa conversazione. Ciò che scrivo è talmente autobiografico che può servire solo come analisi personale» ammetteva con lucidità.  Negli anni si sono però consumate su Twitter cruente guerre tra maestrine dalla penna rossa convinte di poter definire quali esperienza personali possono essere ammesse alla corte del femminismo, e quali invece, pur non avendo nessuna ambizione ad ispirare repliche, sono da cancellare.

https://www.youtube.com/watch?v=QnxpHIl5Ynw (Abre numa nova janela)

Un percorso che l’Hollywood Reporter ( che l’ha messa in copertina lo scorso settembre, intervistandola, in un pezzo dal titolo Lana Del Rey forgives us) (Abre numa nova janela) ha tentato di spiegare. Il giornalista Mickey O’Connell si chiede se Lana Del Rey sia stata a lungo incompresa, per via del fatto che, semplicemente, al mondo toccava mettersi al passo con un’artista che era diverse miglia più avanti. “La tua musica ha esplorato temi controversi che giravano intorno allo stile di vita americano ben prima che quella tua prospettiva si trasformasse in una esperienza condivisa da molti di noi negli ultimi anni”. Lana Del Rey ne conviene, rispondendo che “forse, spiritualmente, avevo qualcosa da imparare anche io, nell’avere dei detrattori, in maniera così adamantina e dichiarata». Una compassione che forse si esprime al meglio in alcuni versi di Arcadia( Blue Banisters) 

I’m leavin’ them as I was, five-foot-eight/ Western belt, plus the hate that they gave/ By the way, thanks for that/ on the way, I’ll pray for ya/ But you’ll need a miracle

https://www.youtube.com/watch?v=ZkITTCz1mhk (Abre numa nova janela)

Forse la chiave della sua storia d’amore più lunga, con il suo pubblico, quello che era lì dall’inizio o che ha scoperto Born to die molti anni dopo (è stato 500 settimane all’interno della Billboard 200, un risultato storico) è che Del Rey sia diva globale ma con approccio locale, ad personam, capace di trasformare le minuzie e le ridicolaggini della sua vita, e delle nostre, in materiale epico, meritevole di una sua mitologia. Dalla tresca con il barista che si tramuta in una struggente ninna nanna sulle difficoltà del bilanciare pubblico e privato (Bartender) fino al suo utilizzo dei social: su Instagram, dove si chiama Honeymoon,  il suo account, per approccio artigianale, pare essere gestito direttamente da lei. Le foto sono imperfette, non editate, ci sono post sui matrimoni e i compleanni degli amici e delle grigliate in famiglia, frecciate agli ex sulle quali il suo fandom rimugina, oltre che più impersonali reminder dei suoi prossimi concerti . Alcuni suoi fan condividono tra l’orgoglio e lo stupore screenshot di alcune risposte da lei ricevute.  

https://www.youtube.com/watch?v=L6K8Uq88BEQ (Abre numa nova janela)

Apparire come noi, facendoci sentire in cambio, simili a lei, meno irrilevanti nella banalità delle nostre vite ordinarie, figlie del caso più che di un preciso progetto, contraddittorie e imperfette.

Del Rey è a disagio nelle occasioni ufficiali, come quando ai Grammy Awards l’amica Taylor Swift la prende per mano e la porta sul palco insieme a lei per festeggiare il premio di Album of the year (Midnight, al quale Del Rey ha collaborato con un featuring per Snow on the beach), ed è più facile trovarla a servire caffè in qualche Waffle House dell’Alabama. Non è una esagerazione: a luglio scorso si trovava a Florence, in Alabama, con la sorella Chuck e il fratello Charlie, in un diner della catena, dove, dopo diverse ore di permanenza, lo staff le ha chiesto se per caso non desiderasse indossare delle uniformi. Lana Del Rey ha fatto la cosa più Lana Del Rey possibile: ha accettato, stando al gioco e servendo qualche cliente dietro le indicazioni del manager, che ha messo online una clip di dieci secondi, subito divenuta virale. 

Lana Del Rey dà consigli sentimentali ai fan su Ig con accanto suo padre Rob Grant (“non capisco quella gente che scrive mi trovi in palestra, #goaloriented, sono tipo, no, è disgustoso, non scegliete qualcuno del genere, ma poi goal oriented su cosa?”, e il padre sul divano di casa sogghigna), ma poi si innamora inevitabilmente degli uomini sbagliati. Suoi colleghi, ma anche gente comune, come il poliziotto Sean Larkin con il quale si è presentata su alcuni red carpet (e il tema del fidanzato nelle forze dell’ordine, se sei una star globale, non lo rispolverava nessuno, almeno dai tempi di Guardia del Corpo) prima che la relazione si concludesse: mentre lui ha nicchiato sostenendo di aver mantenuto con la star buoni rapporti, in alcuni video su TikTok, la cantante ha fatto intendere che Larkin l’avesse tenuta all’oscuro di avere un’altra relazione, e di essersi addirittura sposato mentre i due erano in terapia di coppia. Disavventure surreali, che sembrano paradossalmente quelle che potrebbe raccontarci la nostra amica single dopo qualche appuntamento sfortunato su Tinder, fomentando ulteriormente la creazione di una relazione parasociale, un legame unilaterale che i suoi fan sentono di avere con lei, e che li spinge a presentarsi al concerto identificandosi con la loro beniamina, con fiocchi tra i capelli (come Lana sulla copertina di Did you know…) o coroncine di fiori, più simili a quelli che la cantante sfoggia in Lust for Life. Oltre all’estetica, però, Lana Del Rey come artista è un ologramma affascinante e incorporeo, come quello visto al concerto di Milano. Un’ologramma che attraverso la sua immagine fa parlare un coro indistinto di personaggi. Lana Del Rey è Sylvia Plath che balla con le sue scarpette rosse sotto le note di Dancing in the dark di Springsteen; Walt Whitman che compone le sue poesie a bordo piscina a Graceland; il fantasma di John Steinbeck che si muove affranto tra i camerini di Showgirls, dove gli ideali non esistono più, tutti sacrificati su un palco in onore di Money, power, glory ( money is the reason we exist, everybody knows, it’s a fact, kiss kiss); Billie Holiday che salta sul chopper di Peter Fonda in Easy Rider, mentre la radio passa Born to be wild degli Steppenwolf, e uno sperduto diner sulla strada per la Death Valley sembra l’unica destinazione possibile; Virginia Woolf che esce dalla sua stanza  “tutta per sé”, e organizza un sabba nel Giardino delle Vergini suicide, insieme alle sorelle Lisbon; un film di Lynch ambientato a Hyannis Port, mentre la barca a vela dei Kennedy si avvicina alla riva; Marilyn Monroe che si arruola nella famiglia Manson, infine redimendola.

https://www.youtube.com/watch?v=o_1aF54DO60 (Abre numa nova janela)

Una comédie humaine destinata probabilmente ad ampliarsi, visto che la cantante ha annunciato che a maggio arriverà The right person will stay, anticipato dai due primi singoli, Henry, come on e Bluebird. Un progetto che segue all’annuncio, l’anno scorso, di Lasso, album country prodotto dal fidato Jack Antonoff, sul quale lavorava da 4 anni, da molto prima che il westerncore arrivasse sulle passerelle di Louis Vuitton o indosso a Beyoncé. C’era già stata la cover di Take me home country roads di John Denver, classico del genere, la partecipazione a festival country americani, il brano Though insieme a Quavo, ma poi il fenomeno è divenuto globale, pop, più che popolare, e la cosa potrebbe aver stizzito Elizabeth Grant, che in un’intervista di qualche tempo fa diceva di aver riscontrato freddezza da parte dell’industria, nel momento dell’annuncio di un album country, solo per poi vedere quel fenomeno esplodere nelle mani di Beyoncè, Lady Gaga, ma pure Post Malone. Nel frattempo Del Rey si è sposata con Jeremy Dufrene, guida turistica della Louisiana conosciuta in un tour per l’avvistamento degli alligatori, con una cerimonia nel porticciolo contiguo a dove Dufrene ha la sua barca ormeggiata, con pochi amici e tavoli in mezzo all’erba, ma non ha forse abbandonato l’idea di raccontare l’America, con gli stivali da cowboy pronti nell’armadio. Le toccherà di nuovo raccontare al pubblico contraddizioni e dicotomie di un paese che oggi più che mai sembra disperso? Si spera soltanto che adesso gli Stati Uniti, e il resto del mondo, siano pronti ad ascoltarla.

We are the fashion pack

The tortured audiovisivo’s department

  • Woody Harrelson ammette di non aver accettato di far parte del cast di The White Lotus 3 perché aveva già prenotato le ferie. (Abre numa nova janela) Un eroe, uno di noi

    .

  • Sottoscrivo un abbonamento a chiunque si decida a portare The Pitt in Italia, perché pare che sia il medical drama migliore (Abre numa nova janela)dai tempi di ER

  • 5 film da rivedere (Abre numa nova janela) in occasione del 25 aprile (il libro invece assolutamente da leggere è I giorni di Vetro di Nicoletta Verna, per poi unirsi al coro degli indignati dopo l’esclusione del titolo dalla dozzina finale del premio Strega)

  • Un libro di fotografie (Abre numa nova janela) scattate da Corinne Day sul set de Il giardino delle vergini suicide? Mi serve assolutamente

  • In un’intervista piena di perle – ma pure dichiarazioni assai discutibili – Mogol ha sconfessato definitivamente la leggenda popolare che voleva Lucio Battisti un simpatizzante del fascismo (ma quando mai).

Colonna sonora ufficiale della settimana

https://www.youtube.com/watch?v=yuTMWgOduFM (Abre numa nova janela)

I Pulp hanno fatto una nuova canzone e si preparano a un nuovo album, dopo 24 anni (Abre numa nova janela). Ma non è questa la canzone di questa settimana: piuttosto, si tratta di un viaggio indietro nel tempo, fino al 1995, quando lo stesso gruppo, guidato dal frontman Jarvis Cocker – un artista che Hedi Slimane ha sicuramente nel suo empireo personale di icone, considerata l’attitude, la magrezza e l’abitudine a indossare completi neri slim-fit con cravattini stretti ben prima che lo prescrivesse lui stesso – dette alle stampe Common People, all’interno del loro quinto album, Different Class. Con le sue melodie che ammiccavano al pop e invece i testi assai abrasivi – che poi hanno fatto da ispirazione per una serie infinita di artisti, Baustelle compresi – Jarvis Cocker irrideva i ricchi che romanticizzavano la povertà, cantando di una ragazza benestante incontrata tra i corridoi della Saint Martins – che Cocker ha effettivamente frequentato – che sembrava rapita dalle minuzie della vita, come andare al supermercato, tanto da iniziare a provare attrazione sessuale per il cantante, che invece ricco non era. Una variazione anglosassone sul tema “radical chic” coniato originariamente da Tom Wolfe (Abre numa nova janela), che risuona a tutte le latitudini (a Milano, ad esempio, gli hipster ricchi di famiglia che romanticizzano la povertà come sinonimo di valori più genuini hanno inventato il concetto del “posto sincero” per liberarsi del loro senso di colpa di classe agiata). Una canzone, Common People, che divenne un grande classico del genere Britpop, e che, si scoprì poi, era stata ispirata a un incontro realmente avvenuto nella vita di Cocker: quello con Danae Stratou, che in effetti aveva studiato alla Central Saint Martins, e, come suggeriva il testo “came from Greece”. L’artista, ricca di famiglia – è figlia del fondatore di una delle più grandi aziende tessili del paese, la Peraiki-Patraiki – si è poi sposata con Yannis Varoufakis, ex ministro dell’economia greco. Cocker non ha mai smentito o confermato la notizia, ma mi piace credere che sia vera. Non so se il prossimo album dei Pulp sarà all’altezza dei brani che hanno partorito quando erano giovani, proletari e incazzati come possono esserlo solo gli inglesi, ma se hanno mantenuto quell’ironia tagliente, sono certa che ne varrà la pena. Anche perché Common People ha superato il test del tempo, risultando ancora oggi una canzone che definire attuale è un eufemismo. Avercene, così.+

Ci rivediamo presto su questi schermi,

G.

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