Calcerò #34 – 16 milioni (and counting)
Verticalizzazioni, 7/24 - No, il problema della Figc non sono stati gli Europei
Ciao a tutti, ben ritrovati.
Calcerò vi arriva oggi dopo la semifinale di Euro 2024 tra Francia e Spagna, prima di quella tra Inghilterra e Paesi Bassi. L’Italia? Com’è andata lo sappiamo tutti. Ebbene: parliamone, e guardiamo al domani.
Fischio d’inizio.
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16 milioni
Tanto per cominciare, ecco un dato: la sventurata campagna tedesca ha costretto i ragionieri della Figc a tirare una riga e a chiudere la somma dei premi spettanti alla nostra federazione a quota 12,25 milioni. Considerando che a Euro 2020 l’Italia, vincendo, portò a casa l’intero bottino di 28,25 milioni, parliamo di 16 milioni in meno solo per quanto riguarda questa voce di ricavi, un crollo solo in parte mitigato dalla consapevolezza di non dover premiare i calciatori per il risultato conseguito (tre anni fa il montepremi a loro distribuito fu di 6,5 milioni). Fra tutte le nazionali che hanno preso parte a Euro 2024, l’Italia è quella che ha visto il peggior saldo tra le due manifestazioni, mentre la Turchia ha aumentato il proprio premio di oltre il 60%: nel 2021 portò a casa solo i 9,25 milioni di premio partecipazione, tre anni dopo se n’è andata dalla Germania con 15,25 milioni.
Ecco: sarebbe interessante ora capire quali clausole l’eliminazione agli ottavi non ha fatto attivare nei contratti con diversi sponsor perché, se è vero che tre anni fa la sorprendente vittoria a Wembley ha aumentato il valore della maglia e di tutte le partnership, è vero altresì che, da allora, la Nazionale non si è qualificata al Mondiale (per la seconda volta consecutiva, la prima a ricadere sulle spalle di Gravina) e all’Europeo ha fatto questa figura qui. Hanno scritto e detto, in tanti, che per questo Gravina si sarebbe dovuto dimettere. Non sono del tutto d’accordo, o meglio: Gravina, lo avevo accennato nell’ultimo numero, si sarebbe dovuto dimettere ben prima, e per altri motivi rispetti a quelli di campo.
À la Macron
Il presidente federale a dimettersi non ci ha mai pensato, e, anzi, per restare in sella ha tentato la mossa spiazzante, convocando per il prossimo 4 novembre l’assemblea Figc per il rinnovo delle cariche. Una mossa à la Macron, in qualche modo simile a quella del presidente francese che, immediatamente dopo la valanga di voti all’estrema destra alle Europee, ha giocato d’azzardo sciogliendo l’Assemblea nazionale e convocando nuove elezioni per bloccare la scalata lepenista. Non che avesse in mano chissà quali carte (aveva “al massimo una coppia vestita”, ha scritto Gigi Riva su Domani), ma ce l’ha fatta. Gravina fa lo stesso per spiazzare gli avversari, tentando di accorciare il loro tempo. Ce la farà?
Tutto da capire, con un aspetto che fa inabissare il paragone: per la presidenza Figc non vota il popolo, ma sono i 276 delegati delle varie componenti federali, attraverso un sistema a voto ponderato, a scrutinio segreto, nel quale insomma i voti si pesano e poi si contano. Come si vince? Con i buoni rapporti e con le promesse, più che con le idee. Ed ecco allora che, dei nomi usciti sinora, tra graviniani e rivali (chiunque si riconosca in Lotito o nella Lega A al di fuori delle big), si sono stagliate figure che non solo non avrebbero nulla di nuovo (Abete, Marotta, Balata che è attualmente il presidente della Lega di B), ma mostrano la totale mancanza di ex calciatori. Che, a mio avviso, è esattamente ciò che manca in questa difficile fase storica alla governance internazionale del calcio. Intendiamoci: siamo al 10 luglio, molto deve ancora uscire e i papi di adesso difficilmente diventeranno cardinali, ma attenzione a ogni mossa.
Governo-Figc-Uefa
Detto ciò, torno rapidamente al discorso iniziale: Gravina avrebbe dovuto dimettersi per motivi diversi, a mio avviso. Promosso dal punto di vista economico per l’aumento delle entrate federali (almeno sino a pochi mesi fa, sicuramente a suo vantaggio) e per i passi avanti nel calcio femminile (a rimorchio dei club, però), è bocciato per la gestione del periodo post-pandemico, una gestione pessima (e diversi commenti inappropriati) della giustizia sportiva, la sudditanza nei confronti di Ceferin e i pastrocchi derivati (l’Europeo 2032 a metà con la Turchia, la richiesta di minacciare l’intervento per il decreto Mulé), la difesa ostinata di una Covisoc da azzerare per opere e omissioni, nonché per la totale incapacità di fare sistema – absit iniuria verbis – con la Lega di A e il governo. E bocciato, anche e soprattutto, perché se ti eleggono nel 2018 non puoi proporre una riforma di format nel 2024, diamine: la proponi e la predisponi subito, questo devi fare.
Insomma: una gestione del potere decisamente italiana, plasticamente evidente anche a favor di telecamera: Gravina non va negli stadi per caso e non si siede accanto alle persone per caso.
Vale anche per Ceferin, l’uomo con il quale Gravina ha stretto la sua santa alleanza: Gravina gli ha fatto da stampella nel caso Superlega, ne ha ricavato la vicepresidenza Uefa, lo sta di fatto sostenendo andando alla crociata contro il Mondiale per club (contro gli interessi degli stessi club italiani…), ne ha ricavato appunto la minaccia di esclusione dei nostri club per l’ingerenza governativa sulla Covisoc.
Da leggere
Consigli di lettura estivi:
Di oro, di fango e di piombo di Michele Spiezia, un giornalista che non vive di copia incolla ma di ricerche e unisce i puntini, in questo caso, di trent’anni di sport, di intrecci ambigui con la peggiore politica, di figure di potere e pratiche molto italiane. Vicende che non nascono nel vuoto e che, anche quando lontane, concluse in fondo non sono mai. Coltura edizioni, lo si può acquistare qui (Abre numa nova janela).
Ingiustizia sportiva (Abre numa nova janela), di Federico Ruffo e Jacopo Ricca. Nonostante un editore potentissimo (Mondadori), sono abbastanza sicuro che non ne abbiate sentito granché parlare. Il motivo? Beh, unire i puntini sulle malefatte di qualche santo non può piacere troppo a chi rivendica una del tutto presunta egemonia morale…
Triplice fischio.