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Calcerò #24 – Debord

Di rappresentazioni e realtà. E di un problema

Ciao a tutti.

Ci siamo quasi, mancano pochi giorni: non so voi, ma io mi sono già preparato, ho tutto pronto, dal cibo con cui attendere il gran giorno in giù. Non ha senso, del resto, arrivare all’ultimo momento in situazioni del genere, perdersi nelle code del mare magnum di quelli dell’ultimo minuto. Il 21 dicembre è qui. No, non è un refuso: non Natale – e comunque auguri a tutti, eh – ma la pronuncia della Corte di Giustizia Europea sul caso della European Super League.

Con giornalistica curiosità attendo: è quasi due anni che trovate cosine e cosucce al riguardo qui su Calcerò, finalmente ci sarà un punto fermo, poi vedremo.

Benvenuti all’ultimo numero del 2023. Sarò rapido. E mi raccomando: anche a voi e famiglia.

Fischio d’inizio.

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TIPSTER

Ora, non sono in grado di pronosticare cosa accadrà, tanto già un minuto dopo che la pronuncia diventerà definitiva, qualunque cosa accada, usciranno quelli che avevano già capito tutto.

Detto ciò, essendo tutto fuorché passatista o apocalittico, sarei attratto solo da qualcosa di dirompente: in certi contesti rovesciare il tavolo è l’unico modo per mescolare le carte e mettere in crisi i bari. Tanto, parliamoci chiaro: del capitalismo neoliberista nel calcio abbiamo visto solo il peggio. Non è detto che ci sia un meglio, ma l’ibrido ipocrita, intriso di populismo, è l’unica cosa da evitare. Occhio dunque, nel caso, all’effetto Gattopardo.

INFLUENCER

Sarà, intanto negli ultimi giorni testate più o meno importanti hanno rilanciato la notizia secondo cui la UEFA, ai prossimi Europei, darà accrediti agli influencer. C’è chi ha titolato “rivoluzione” (Si apre in una nuova finestra), senza senso del ridicolo, utilizzando una parola che ha un significato vitale in maniera irresponsabile. Amen: questo è il giornalismo, e del resto alcuni influencer – il termine qui è generalissimo, e messo così ha poco senso, me ne rendo conto – calcistici e non solo negli stadi già da tempo ci vanno, invitati o accreditati dagli sponsor, per mostrare i consueti inside dal mondo del nulla, che in fondo non sono peggio di questo stesso giornalismo del nulla, dove tutto è già mediato o castrato da altri.

Qui, sì, sono passatista, faccio coming out. Non perché abbia qualcosa contro gli influencer, ma perché gran parte di quelli che ho visto per farmi un’idea di chi siano – non posso dire che li seguo: non è vero; e di molti che ho visto nemmeno ricordo i nomi – non mi hanno lasciato impresso nulla. Fazione, polarizzazione, qualche bersaglio (questa o quella squadra, questo o quel tecnico, questo o quell’allenatore), una generale piattezza lessicale, rari sprazzi di originalità. Alcuni sono però dei formidabili falsari, dei capiscer facilmente riconoscibili da chi è del mestiere, ma molto meno dal pubblico, ma attenzione: non è solo un problema di determinati influencer, ma anche di alcuni giornalisti che hanno grande seguito e che, in fondo, non varrebbero certo di più degli influencer stessi, ma hanno un palcoscenico con un residuo di autorevolezza. Gente che magari non sa chi è Debord, ma ne ha reso realtà la teoria (economica e filosofica) secondo cui “il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere. Ciò che per esso è sacro non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità”. 

Walsall, 2012: West Bromwich Albion training center

Mi piace l’idea che tutto ciò si possa trasferire alla narrazione attuale del calcio, e per questo mi dispiace per gli influencer che ora possano fare la gara a farsi accreditare dall’UEFA per dimostrare di essere quelli meglio introdotti. Perché una volta che si entra nel giro, si fa quello che dicono i padroni: andranno anche nelle mixed zone, ma quello che finirà nei reel, o in quelle cose lì che sa chi è più digitale di me, saranno le briciole che verranno lasciate. Nemmeno più, o nemmeno tanto, il rubato e lo spontaneo, che tanto è ciò che si vuole lasciare intendere sia tale, anche se viene fatto a favore di smartphone o telecamera: la rappresentazione che diventa realtà, appunto.

Ecco: a questa newsletter (che non vuole insegnare a nessuno) sono iscritti giornalisti, appassionati, persone a vario titolo interessate ai temi di cui si tratta. Ebbene, sono convinto che nessuno degli iscritti, oggi, avrebbe meno diritto – per conoscenza della materia, capacità di ragionamento, passione – di entrare in uno stadio, da accreditato, rispetto a gran parte dei giornalisti-tifosi che li frequentano attualmente e degli influencer che sono già o verranno in futuro accreditati, perché gran parte di questi hanno vissuto un calcio ripiegato su una comunicazione fasulla e plastificata. Ed essendo convinti che sia sempre stato così, già si sentono dei privilegiati. Invece no. La verità è che vi pisciano in testa e vi dicono che piove vi hanno preso tutto, e vi chiedono di ringraziare.

Perché il problema non è il calcio moderno. È la narrazione del calcio moderno, sono i padroni di questa narrazione, i loro scherani, i loro vassalli.

Triplice fischio.

Buone feste.
Ci rileggiamo l’11 gennaio.

Calcerò - il futuro del pallone è la newsletter mensile sul domani del calcio. Il giorno 11 di ogni mese arriva puntuale nella tua casella. È curata da Lorenzo Longhi (Si apre in una nuova finestra).