Il lungo addio di Maria Grazia Chiuri

Si conclude l’era Chiuri da Dior: come è andata, cosa non ha funzionato (il femminismo venduto in comode t-shirt a 800 euro), cosa invece sarà difficilmente ripetibile persino da JW Anderson, e cosa dovremmo evitare la prossima volta che una donna diventa direttrice creativa
L’annuncio del suo addio era talmente atteso che qualche giornalista si è portato avanti e, solo due giorni fa, alla sfilata della Cruise 2025 nella villa Albani Torlonia, a Roma, aveva già parlato di “inchino finale”, “collezione testamento”. Quando è arrivato il comunicato ufficiale si è parlato invece del “segreto peggio nascosto della moda”. Maria Grazia Chiuri lascia la direzione creativa di Dior dopo 9 anni, con tanti complimenti di Delphine Arnault, presidente e amministratrice delegata del brand, che ha parlato di “lavoro straordinario”.
«Estendo i miei più calorosi ringraziamenti a Maria Grazia Chiuri, che, da quando è arrivata in Dior, ha compiuto un lavoro straordinario con una prospettiva femminista ispiratrice e una creatività eccezionale, tutto permeato dallo spirito di monsieur Dior, che le ha permesso di progettare collezioni altamente desiderabili. Ha scritto un capitolo fondamentale nella storia di Christian Dior, contribuendo in modo significativo alla sua straordinaria crescita e diventando la prima donna a guidare la creazione delle collezioni femminili».
https://www.youtube.com/watch?v=FSrHJE3t7yc (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)Un addio che era effettivamente nell’aria umida e piovigginosa di Roma, solo 48 ore prima quando ad anticipare la sfilata è andato in scena il cortometraggio di Matteo Garrone Les Fantômes du Cinéma. Con il visionario e talentuoso Garrone Chiuri aveva già lavorato in passato, con video realizzati ad esempio per la Couture 2021 ispirati ai tarocchi. Questo corto invece guardava ad una certa atmosfera romana degli anni sessanta più cinematografici, e prendeva direttamente spunto da La bella confusione (come avrebbe dovuto chiamarsi originariamente 8½ di Fellini, secondo consiglio di Flaiano, e come poi si è chiamato effettivamente il bel libro scritto da Francesco Piccolo, che racconta la rivalità leggendaria tra Fellini e Visconti, con aneddoti di un mondo che è ormai scomparso). Più che 8½, l’atmosfera ricordava più quella di Giulietta degli spiriti, altro capolavoro felliniano, grazie anche alla collaborazione con la Tirelli Costumi – che raccoglie moltissimi degli abiti realizzati dal costumista omonimo e da suoi colleghi celebri, da Gabriella Pescucci a Milena Canonero, autori degli abiti di film come Morte a Venezia di Visconti o Marie Antoniette di Sofia Coppola –così come dell’artista Pietro Ruffo e dei coreografi Imre e Marne van Opstal.
Un’atmosfera spettrale nella quale hanno fatto la loro apparizione anche 31 look della couture che quindi, come da annunci, non sarà presentata a luglio. E ha ragione Vanessa Friedman (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre) quando dice che l’ambiguità che ha circondato l’ultima sfilata non ha aiutato: ad averlo annunciato prima, questa occasione avrebbe avuto l’ufficialità dell’addio che la designer si sarebbe meritata, perché, al netto dei gusti personali, questa era forse una delle sue collezioni più riuscite e ciò che Maria Grazia Chiuri è riuscita a realizzare nei suoi 9 anni da Dior non ha molto di ordinario. Dal 2017 del suo arrivo i ricavi del brand sono più che triplicati (passati da 2,2 miliardi di euro a 9), anche se, come tutte o quasi le maison, il periodo più recente ha visto un’inflessione verso il basso, anche abbastanza comprensibile dopo 9 anni che hanno saturato il mercato e l’immaginario comune. E se molti le hanno sempre rimproverato una certa banalità nella realizzazione, l’istinto pressoché animale che Chiuri ha sempre avuto per ciò che avrebbe venduto non ha paragoni tra i suoi colleghi oggi: anche dopo la sua dipartita da Valentino, dove condivideva il seggio della direzione creativa con Pierpaolo Piccioli, il brand ha continuato a vendere (tante) studs, le décolletés con borchie da lei immaginate, almeno fino a quando nel brand non è arrivato Alessandro Michele, e l’accessorio è stato discontinuato.
https://www.youtube.com/watch?v=VuiFdXoKOGk (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)L’abilità di Chiuri è stata smantellare le crinoline e le sovrastrutture di Monsieur Dior, una stecca di balena alla volta, e rendere le Bar Jacket, ad esempio, pezzi d’abbigliamento disegnati effettivamente, con in mente un corpo femminile dotato di seno e punto vita, che poi è ciò che ha reso il suo Dior un brand commercialmente di successo, più di quanto lo sia mai stato durante gli anni dell’esplosione della creatività di John Galliano ( vi vedo pronti a urlare all’anatema). Più che la mancanza di una voce personale e distintiva, però, a rimanere criticabile nel suo operato rimane di certo l’approccio al femminismo, probabilmente sincero negli intenti, ma difficilissimo da traslare su un brand che nasce con l’obiettivo di fare profitto. Così, alle collaborazioni riuscite con artiste o con realtà artigianali che sono nate proprio grazie a un femminismo testardo (come quello della fondazione leccese de Le Costantine, di cui avevo parlato qui (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)) si sono affiancati esperimenti che sono passibili di pinkwashing, dalla famosa t-shirt a 800 euro We should all be feminist (citazione della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie) in giù. A livello italiano, ha giocato a suo sfavore anche l’aver fatto promuovere quel messaggio – e altri similari – a un’influencer come Chiara Ferragni, invisa per lo scandalo Pandoro e che, anche prima della sua caduta, non era nota per un’affezione alla causa, anche se nessuno esclude che la sua formazione femminista possa essere venuta in un secondo momento della sua vita.
Passi falsi che non hanno giocato a favore della percezione di Chiuri che pure, in un ironico gioco delle parti, ha dovuto lottare molto più dei suoi colleghi, pur essendo commercialmente intelligente il doppio, proprio perché donna. A Parigi gli insider parlavano di rapporti tesi con la proprietà, di soprannomi tipo “la romaine”, la romana. Certo, i francesi gli italiani della moda non li hanno mai amati: storicamente c’è stata Coco Chanel che dileggiava Elsa Schiaparelli chiamandola “l’italiana” (nella realtà Coco, orfana, povera e self made woman, detestava Schiaparelli che invece, pur se disconosciuta dalla famiglia dopo il suo divorzio, aveva natali nobili e amicizie intime con i più noti artisti del secolo scorso, da Giacometti a Dalì); poi c’è stata la protesta accorata di quando Gianfranco Ferrè venne nominato come direttore creativo di Dior, primo italiano a farlo. L’onta di uno straniero (italiano per giunta e quindi Arci-nemesi modaiola) che andava a dettar legge nei salotti couture della meglio aristocrazia francese sembrava irricevibile da quanti sui giornali si lamentavano di quella scelta. Alle donne però, il mondo della moda così come quello dei social, che oggi è in un giubilo un po’ fuori luogo (lo stesso di quando Virginie Viard lasciò Chanel) ha chiesto sempre tutto: per essere abbastanza, una donna deve essere una designer creativa, geniale, e anche commercialmente di successo, laddove agli uomini basta solo una delle due per risultare un designer meritevole di rispetto e retrospettive.
Si è urlato, oltraggiati ad ogni collezione di Chiuri, richiedendo con forza un cambio di passo, anche laddove se Chiuri è rimasta 9 anni al suo posto, magari in una condizione lavorativa non facile e in rapporti tesi con la proprietà, è stato proprio perché quella proprietà l’ha arricchita (buona fortuna a JW Anderson, che dicono sarà il suo successore, nel mantenere gli stessi livelli); ci si è lamentati di noia e tedio anche di fronte alle collezioni di McQueen realizzate da Sarah Burton, per poi rimanere sostanzialmente in un silenzio imbarazzato di fronte alla totale irrilevanza del suo successore, Sean McGirr, giovane, carino e molto occupato, ma privo di una visione e anche dell’abilità sartoriale che invece Burton portava in dotazione. Di lui, nessuno ha chiesto pubblicamente sui social il licenziamento – come accadeva continuamente con Chiuri e Viard – al netto di risultati creativi ed economici non esattamente strabilianti. Con l’addio di Chiuri e la probabile successione di Anderson – vale la pena ricordarlo – diminuisce ancora il numero di donne alla direzione creativa dei grandi brand, capitanati sempre più spesso da uomini bianchi, mentre il mondo della moda, che si sente assai moderno eppure muore di nostalgia ogni giorno di più, sogna ancora il ritorno a casa (cioè da Dior) di John Galliano.
https://www.youtube.com/watch?v=PJGxZKTEPW0 (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)Nel frattempo Chiuri si è già smarcata dalle dichiarazioni ufficiali con i ringraziamenti di rito: «Dopo nove anni, lascio Dior, lieta di aver ricevuto questa straordinaria opportunità. Vorrei ringraziare monsieur Arnault per aver riposto la sua fiducia in me e Delphine per il suo supporto. Sono particolarmente grata per il lavoro svolto dai miei team e dagli atelier. Il loro talento e la loro esperienza mi hanno permesso di concretizzare la mia visione di una moda femminile impegnata, in stretto dialogo con diverse generazioni di artiste. Insieme, abbiamo scritto un capitolo significativo di cui sono immensamente fiera». I rumor la danno in arrivo da Fendi, anche se sarebbe un peccato cannibalizzare il ruolo di un’altra donna, Silvia Venturini, che si è dimostrata ben capace di gestire tutto da sola. Oltre la moda però c’è vita, e Chiuri è già impegnata in un nuovo progetto, quello del Teatro Cometa, storico luogo romano battezzato nel 1958 dalla contessa Anna Laetitia Pecci Blunt, e chiuso nel 2020. La designer lo ha acquistato e inaugurato di recente, dopo due anni di restauro, con l’obiettivo di ridargli la sua missione originaria, essere centro propulsore delle arti, abbracciando le comunità creative della città. Nessuno sa cosa si celi nel futuro di Maria Grazia Chiuri, ma, a prescindere dai suoi meriti e demeriti, il suo percorso da Dior ha dimostrato chiaramente una cosa: che essere una designer donna (la prima storicamente a capo di Dior), una donna di potere, seppur con più intuizioni commerciali che visione creativa, non ti fa guadagnare le simpatie di nessuno. Anzi, fa arrabbiare un sacco di gente.
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https://www.youtube.com/watch?v=6viYpE8ltcY (S'ouvre dans une nouvelle fenêtre)La musica indie riparta da Coca Puma e dai Delicatoni, con questo bellissimo brano dalle vibe Bossa Nova anni 60, ché siamo stanchi di trentenni malvestiti che si lamentano di aver bisogno della Tachipirina.
Ci rivediamo la prossima settimana, G.