Quel “Metoo” che non mi hai mai dato

Gli appassionati di moda si accapigliano (giustamente) per il ritorno di Terry Richardson, che dopo anni di scandali e accuse, torna a scattare la copertina di Arena Homme+. Il problema è però in un sistema che ha ancora voglia di sacrificare uomini e donne sull’altare dell’artista maledetto.
L’unica di cui ci possiamo fidare, in questo traballante mondo della moda, è Anna Wintour. Se quest’affermazione vi sembra eccessiva – lo capirei – è perché il senso di questa frase lo capirete solo alla fine di questo articolo. Quindi, iniziamo.
https://www.youtube.com/watch?v=gcW2dzYDQws (Opens in a new window)Qualche anno fa avevo scritto un pezzo per un magazine indipendente. Quando ricevetti la mia copia cartacea a casa, mi resi conto con sgomento che una delle copertine era stata scattata da Bruce Weber, fotografo accusato nel 2017 di molestia sessuale (Opens in a new window) dal modello Jason Boyce. Nel 2019 a Boyce si erano unite le voci di altri cinque uomini, che lo avevano denunciato con l’accusa di traffico sessuale e molestie, descrivendolo come un “predatore sessuale seriale che usa il suo potere nell’industria della moda per costringere gli aspiranti modelli in maniera fraudolenta e con la forza, a essere coinvolti in atti abusanti” . Quell’accusa fu sempre negata da Weber, e la causa venne ritirata nel 2021, dopo un accordo extragiudiziale tra le parti. Bruce Weber era in effetti un nome di spicco dell’industria della moda, scattava celeb come Madonna e Richard Gere e copertine di Vogue, era il fotografo di riferimento di una certa idea di America, e infatti era molto amato da Abercrombie & Fitch, le cui campagne scattava sul finale degli Anni 90, e il cui ex Ceo Mike Jeffries è tutt’ora a processo, senza possibilità di scampo o accordi extra giudiziali, per traffico di esseri umani a scopo di prostituzione (Opens in a new window) (un processo al quale non parteciperà perché nel frattempo gli è stato diagnosticato l’Alzheimer e il giudice del caso lo ha ritenuto “inadatto a presenziare”, (Opens in a new window) in quanto, per via della demenza sviluppata, non capirebbe le accuse che gli sono rivolte). Tornando però a Bruce Weber, “quer pasticciaccio brutto” Wyoming Version, gli costò comunque una serie di collaborazioni: sia a lui che a Mario Testino, accusato di amenità similari (Opens in a new window) (riportate con dovizia di dettagli dagli stessi accusatori dal NYT, e a volte corroborate dagli stessi assistenti del fotografo che a certe scene assistettero) venne bandita la collaborazione con i magazine di Condé Nast. Tramite diverse dichiarazioni ufficiali, (Opens in a new window) Anna Wintour e l’allora ceo Bob Saurberg si dissero “profondamente disturbati nell’apprendere di queste accuse. Per il futuro, non prevediamo di commissionare ai due fotografi del lavoro”.
Per questo, veder riapparire la firma del fotografo, pochi anni dopo, su un magazine indipendente del quale conoscevo personalmente il direttore – reputandolo professionista meritevole di stima – mi colpì. Avendo con lui un rapporto informale, che prevedeva anche uno scambio di opinioni franche, fui abbastanza chiara nel dare voce al disagio che avevo nel vedere il mio nome appaiato a quello di un personaggio del genere (infinitamente più rilevante di me), e di come quella scelta definisse anche l’importanza – pressoché nulla – che quel giornale dava alle storie di abusi e alle sue vittime (se lo aveva capito Vogue, una potenza globale che con Weber aveva collaborato per anni, e per il quale sicuramente lo strappo era stato più doloroso, potevano capirlo anche gli altri, privi di rapporti personali pregressi con lui). Non di meno, considerato il potenziale contraccolpo negativo che sarebbe arrivato quando quella copertina sarebbe stata condivisa sui social, il progetto di per sé mi sembrava frutto di una “pazza idea”, senza i divertissement correlati di cui cantava Patty Pravo. Ricevetti delle giustificazioni blande, degli “hai ragione”, ma d’altronde ero irrilevante (e lo sono ancora).
https://www.youtube.com/watch?v=m1EiBszwtf4 (Opens in a new window)Per tutto questo pregresso personale, non mi ha stupito come mi stupì qualche anno fa, la scelta di Arena Homme+, decantato magazine indipendente di moda, di far scattare una delle sue ultime copertine a Terry Richardson, un fotografo per le quali accuse di molestie i giornali scomodarono improvvidamente titoli sul “Metoo della moda”. Spoiler: non è mai successo. Autore di ritratti arci noti – dal presidente Obama a Amy Winehouse – contraddistinti da un set minimalista con sfondo bianco e flash all’ennesima potenza, la sua figura controversa è stata epitome dei primi Anni 2000. Se Weber era fotografo di riferimento di Abercrombie & Fitch, Richardson ricopriva più o meno lo stesso ruolo in American Apparel, fondato dal canadese Dov Charney. In maniera più o meno curiosa e similare a quella di Mike Jeffries, Charney nel 2014 fu licenziato dal brand da lui fondato per accuse di molestia sessuale (Opens in a new window): strano come questi personaggi vadano sempre in coppia, e a scattare le campagne di brand i cui Ceo sono conclamati predatori sessuali non ci sia mai un fotografo non dico in odore di santità, ma almeno mai inquisito dalle autorità. Per Charney c’era inoltre l’accusa di appropriazione indebita di fondi, ma se dovessi spiegare tutto, compreso il fatto che l’ex Ceo riteneva abbastanza normale andare in giro per l’azienda in mutande (Opens in a new window), non finiremmo più. Negli anni Richardson è stato ripetutamente accusato di mostruosità variegate, dall’aver obbligato le modelle a performare sesso orale su di lui mentre scattava, ad aver condiviso video registrati sul set senza il consenso delle modelle, e quindi senza la firma della liberatoria necessaria. Due accuse formali (Opens in a new window)presentate in California nel 2005 vennero archiviate dopo accordi extragiudiziali; nel 2010 Rie Rasmussen, all’epoca modella abbastanza nota, lo accusò di essere un manipolatore (Opens in a new window) il cui lavoro degradava le donne, e il cui unico obiettivo era avere rapporti sessuali con le modelle che fotografava; nel 2014 Richardson rispose alle accuse (Opens in a new window)con una lettera pubblicata sull’Huffington Post dove paragonava il suo lavoro a quello di Robert Mapplethorpe ed Helmut Newton, sostenendo che tutto ciò che avveniva sui set era consensuale, non negando, quindi, i rapporti sessuali con le protagoniste dei suoi shooting. A latere, sarebbe da studiare la fiducia in se stesso dell’uomo bianco di mezza età, neanche lontanamente somigliante ad Alain Delon, capace di credere che delle donne poco più che maggiorenni, a volte provenienti da Paesi dell’est e quindi incapaci di parlare inglese, si possano approcciare con un consenso entusiasta a un rapporto sessuale con un uomo molto più potente di loro, che ha letteralmente nelle mani la loro carriera.
Nel 2017 questo clima teso convinse Condé Nast – che formalmente aveva già bloccato i rapporti con il fotografo nel 2010 ma che aveva deciso di dargli un’altra chance negli ultimi anni – a non collaborare più con Richardson: secondo la BBC (Opens in a new window) l’allora vice-presidente James Woolhouse inviò una mail interna a tutti i direttori dei diversi paesi nei quali i magazine Condé Nast erano distribuiti, invitandoli a fermare la collaborazione, e che "tutti i servizi già realizzati, ma non ancora pubblicati, dovranno essere sostituiti con altri”. Nello stesso anno, il New York Times scrisse un pezzo intitolato “Terry Richardson è solo la punta dell’iceberg” (Opens in a new window), raccontando di come, oltre al modus operandi più o meno discutibile del fotografo, il problema risiedeva in tutte le agenzie che, consapevoli di quella fama, mandavano sui suoi set le giovani modelle che lui selezionava, perché, essendo Richardson un uomo di potere nella moda, la sua capacità di rendere una modella famosa faceva sembrare il rischio di una molestia un dazio più o meno obbligatorio da pagare.
https://www.youtube.com/watch?v=PIrFI08lczo (Opens in a new window)La stessa stylist Katie Grand diceva nel pezzo: “Non voglio difenderlo, ma penso che sia importante mettere in prospettiva il dato che ogni modella ha nel suo passato la storia di un fotografo, di un cliente, di un direttore creativo, di uno stylist, che si è comportato in maniera inappropriata». Sospenderei il giudizio sulla problematicità di una dichiarazione che implica che, siccome insomma, nella moda il migliore ha la lebbra (come direbbe mio padre) sostanzialmente “A chi tocca non si ingrugna”. Nel 2023 la modella Minerva Portillo lo denunciò (Opens in a new window) per molestia. Secondo Portillo, nel 2004 il fotografo le avrebbe dato da bere un drink drogato appena arrivata sul set, lasciandola in uno stato di confusione, per poi costringerla a praticargli del sesso orale, e infine pubblicare senza il suo consenso le foto dell’incidente; due giorni dopo, un’altra modella Caron Bernstein, fece la stessa cosa.
Al netto di questo lunghissimo cahiers de doléances è legittimo chiedersi perché da Arena Homme+ abbiano sentito la pruriginosa necessità di fargli scattare nel 2025 una copertina (Opens in a new window)(dedicata al lavoro di David Lynch, e, ad onor del vero, parte di un reportage nel quale non sono presenti modelle). Il post Instagram dedicato – così come gli altri post del loro feed – non permette commenti, a dimostrare che si era perfettamente consapevoli già da prima della probabile reazione negativa del pubblico e si è optato per il contenimento dei danni. La realtà è che Arena Homme+, come il magazine per il quale lavoravo io anni fa e che pubblicò il servizio di Bruce Weber, accetta di collaborare con il fotografo caduto in disgrazia del caso (e ce ne sono tanti ancora in giro) perché al momento la loro parcella è molto meno salata di quanto non fosse qualche anno fa; il fotografo accetta perché trovare qualcuno che lo pubblichi, oggi, è un miracolo. Un incontro tra due disperazioni che non fa felice nessun altro, né i nuovi fotografi, privi di carichi penali pendenti, che aspettano la loro occasione per essere pubblicati sui magazine ritenuti autorevoli e che si vedono scartati in favore di una vecchia gloria ammaccata, né i lettori di quei magazine che hanno ragione di sentirsi “traditi” nel loro rapporto di fiducia con la rivista (e però i meme (Opens in a new window)già prodotti, in merito, fanno davvero ridere).
https://www.youtube.com/watch?v=9h6RMUcqgPI (Opens in a new window)Il problema, alla fine dei conti, non sono neanche i fotografi/art director/stylist/designer con le mani lunghe e l’ego gonfio, quanto chi ha potere quanto loro, e che per quieto vivere, per ignavia, non fa nulla. Finirà che l’unica pasionaria rimarrà incredibilmente Anna Wintour, che, da subito, consapevole del potenziale danno d’immagine, ha negato al suo giornale le collaborazioni con personaggi ritenuti “divisivi”. Di recente, intervistata (Opens in a new window)da Sua santità Premio Pulitzer della critica di moda Robin Givhan per il Washington Post, in merito al suo ultimo Met Gala che celebrava la comunità nera in un anno nel quale il presidente degli Stati Uniti cerca di sopprimere tutte le policy di diversità e inclusione messe in atto dalle grandi aziende ed enti culturali, ha detto “Sono tempi difficili, e ora più che mai serve coraggio”. Ecco, nel mio piccolo, per sicurezza, ho mandato un messaggio al direttore dell’unico magazine indipendente con il quale collaboro oggi, avvisandolo della mia indisponibilità a proseguire la collaborazione nel caso succedesse quello che è successo da Arena Homme+. Mi ha rassicurato che non succederà, non certo perché la mia posizione in merito cambi qualcosa, ma “perché oggi è più interessante dare spazio a voci più contemporanee”. Il mio gesto è stato di per sé più una presa di posizione simbolica che un atto con una qualunque tipo di conseguenza dirimente. E però non vorrei mai finire con il cinismo di chi dice “a chi tocca, non si ingrugna”.
We are the fashion pack
Dopo Armani e Dior, tocca anche a Valentino confrontarsi con la gravosa problematica delle borse realizzate in Italia da opifici cinesi (Opens in a new window) . Nel frattempo, si sono concluse le indagini delle autorità italiane sulla catena di produzione di Dior, che hanno trovato il brand estraneo ai fatti (Opens in a new window).
L’iconico spot di Light Blue di Dolce & Gabbana ha due nuovi protagonisti. (Opens in a new window) I can’t
La prima sfilata di Loewe firmata da Jack McCollough e Lazaro Hernandez è programmata per ottobre (Opens in a new window). Vivremo nell’attesa
Quell’odiosa abitudine degli americani di credere che i leggings siano un capo d’abbigliamento, spiegata bene (Opens in a new window)
C’è un nuovo libro su Rick Owens, (Opens in a new window) edito da Rizzoli, e bisogna averlo subito
Altro che direttore creativo: per il suo futuro, Hedi Slimane pare avere altri progetti (Opens in a new window)
La villa La pausa di Gabrielle Chanel torna a nuova vita, e con le migliori intenzioni (Opens in a new window)
Mac Cosmetics nomina il suo direttore creativo, ed è una vecchia conoscenza della moda (Opens in a new window). In tutto ciò, questa attitudine a nominare direttori ovunque sembra un po’ ridicola.
The tortured audio visivo’s department
Ryan Murphy ha completato il casting per American Love Story, (Opens in a new window) incentrato sulla storia d’amore tra John John Kennedy e Carolyn Bessette. Giuro che se si inventa una sottotrama camp a caso giusto per il gusto di, mi metto a urlare.
Sempre Ryan Murphy – che pare l’unico regista con voglia di lavorare ad Hollywood – adatterà Le schegge (Opens in a new window), l’ultimo libro (e il più brutto, personal opinion) di Bret Easton Ellis
Michael J. Fox torna a recitare, in una delle mie serie preferite (Opens in a new window)
Volevo salutare caramente tutti quelli che dicevano che Lucio Corsi all’Eurovision sarebbe stata una dèbacle, e invece ha fatto meglio (Opens in a new window) di Blanco e Mahmood nel 2022
Mubi lancia una sua casa editrice (Opens in a new window): hipster di tutto il mondo, gioite.
Soundtrack ufficiale della settimana
https://www.youtube.com/watch?v=rDLRcZpEUPs (Opens in a new window)Andrea Laszlo De Simone è tornato (e tutti gli altri cantautori indie italiani, per quanto mi riguarda, possono solo accompagnare, sorry Pinguini, Slow Animals e tutto il variegato zoo). La forza di questo cantautore con quella faccia a metà tra Frank Zappa e Rino Gaetano, oltre a delle melodie e a dei testi che sembrano rimandarci indietro agli Anni 60 (Giorgio Poi, ti vedo che stai copiando il compito di De Simone, fai il tuo), è nella sua totale mancanza di narcisismo, nel suo volerci essere solo quando ha senso esserci, e mai neanche un filo in più. Lo intervistai anni fa per CAP 74024 (un’intervista che se si riuscisse a mettere online sarebbe favoloso, ma dubito che succederà mai), e mi stupì l’idealismo quasi romantico con il quale approcciava il suo mestiere. Non mi stupì, invece, la decisione che prese qualche anno dopo, sul finale del suo tour a Bari – io c’ero – di ritirarsi momentaneamente dalle scene, perché voleva occuparsi della sua famiglia e non amava l’idea che “i miei figli possano crescere, guardando la gente che applaude al papà”. Era il 2021. Godiamoci questo ritorno, perché io della sua poesia, sentivo molto bisogno.