Quella volta che Sofia Coppola organizzò una sfilata (usando lo show di Marc Jacobs)

Con la moda in crisi reputazionale e nell’attesa degli show di settembre, fashion “is not fashioning”: è l’occasione per parlare di una sfilata degli Anni 90 che non ha nulla a che fare con la moda, che mise insieme Linda Evangelista, Steven Meisel e Chloé Sevigny.
1994, a New York si respira l’aria della primavera, e fa abbastanza caldo per permettersi di indossare solo una felpa con una t-shirt stampata, e probabilmente dei jeans: è quello che indossa una ventitreenne Sofia Coppola, intervistata dalle telecamere di House of Style, programma di Mtv di quella decade. Accanto a lei, quello che 5 anni dopo diventerà suo marito, e che all’epoca è solo una conoscenza, l’inizio forse di un flirt. Spike Jonze lei lo ha conosciuto l’anno prima, sul set del video musicale di 100%, canzone dei Sonic Youth, che lui dirige. Oltre ad avere un caschetto biondo di quelli che può produrre solo una riflessiva classe media americana, e un naso alla Owen Wilson, Jonze è all’epoca all’inizio della sua carriera: dirige video musicali di band indipendenti, fa bycicle motocross e va in skate, collabora con riviste di settore per scattare servizi fotografici, l’anno prima è apparso nel film Mi vida loca di Allison Anders, mentre il suo primo lungometraggio, Being John Malkovich, arriverà sugli schermi nel 1999. Nel frattempo annuisce in silenzio accanto alla futura regista del Giardino delle vergini suicide (ma anche a sua moglie). La protagonista di questa storia però non è lei, né il suo futuro marito: i due altro non sono che gli organizzatori di un evento che si tiene in quel momento per le strade di New York: più nello specifico una sfilata, del brand X-Girl.
Quel brand è nato pochi mesi prima, come costola di XLarge, brand di streetwear losangelino già avviato, che tra i proprietari e fondatori aveva Mike D, un nome che alla Gen Z non ricorda assolutamente nulla, ma che a chi ha più di 30 anni e ha vissuto la musica degli anni novanta, suona mitologico, perché Mike D è il nome di battaglia di Michael Diamond, il cantante dei Beastie Boys, gruppo seminale della decade, conosciuti come “i bianchi capaci di rappare come i neri”. A lavorare con varie mansioni in quel brand iniziale c’è la stylist Daisy von Furth, giovane di belle speranze che tra le sue più intime amiche ha una musicista all’alba dei quarant’anni che in quegli anni sta facendo conoscere il suo nome, e quello della sua band (dove militava anche suo marito, con il quale era sposata già da 10 anni). Una band, la sua, con la quale si esibiva sfidando un mondo, quello del rock, ancora a prevalenza maschile e machista, sfoggiando le gambe snelle in minidress a righe e kitten heel: la band era quella dei Sonic Youth, nel 1994 aveva sulle spalle già più di dieci anni di gavetta e stava finalmente divenendo noto anche al di fuori del circolo degli amanti del punk e della new wave. Lei si chiamava (e si chiama) Kim Gordon –ed è talmente iconica che ancora oggi è sulla copertina dell’ultimo numero di Dust e Gucci l’ha voluta per una delle sue più recenti campagne.

Va a finire che Mike D chiede a Kim Gordon se non sia per caso interessata a pensare a un brand al femminile: con l’aiuto di Daisy von Furth, Kim Gordon decide di accettare. Anche se eri una musicista amata dalla critica e considerata già pioniera di un genere che ai Sonic Youth deve molto (appunto, la new wave) i conglomerati erano nati da poco e di certo non guardavano ai brand di streetwear come potenziali investimenti. I soldi per far conoscere il brand, investire in public relations, semplicemente non c’erano. Ma Kim Gordon, che ha sempre rappresentato con la sua vita e la sua sola esistenza, la possibilità di un modello alternativo di femminilità, ribelle, anche politicizzato non si faceva certo fermare da così poco. D’altronde in quegli anni tra Seattle, Olympia e Portland, se eri una giovane donna con una inclinazione musicale, leggevi le fanzine e ti interessavi del mondo, non potevi non non esserlo, politicizzata: grazie alla riscoperta degli scritti di Gloria Steinem, la fotografia di Cindy Sherman, e anche l’esempio lampante di Kim Gordon – la sua autobiografia del 2015 si chiama Girl in a band (Opens in a new window), che basterebbe da sola a spiegare il tutto – le giovani donne reclamavano i loro diritti in un mondo pensato per gli uomini, attraverso l’arte, il punk, e le loro scelte di vita e di guardaroba. Quelle giovani donne si chiamavano Riot grrrl (qui un pezzo di The vision (Opens in a new window)in merito). Per questo l’idea che Kim Gordon avesse un brand suo suonava non solo in linea col tempo, ma anche necessaria. Il logo, lo sguardo di una donna con la scritta X-Girl appena sotto – che ricorda certi cartelloni dei film della Nouvelle Vague di Godard – viene realizzato da Mike Mills, graphic designer che poi lavorerà con Marc Jacobs, realizzerà video per Yoko Ono e copertine per gli album dei Beastie Boys.
Ed è qui che arrivano Sofia Coppola e Spike Jonze, che qualche mese dopo propongono a Kim Gordon e Daisy von Furth l’idea di una sfilata lontana dalle convenzioni per presentare la collezione. Il progetto è figlio del guerrilla marketing e approfitta della New York Fashion week per attrarre quanta più gente e addetti ai lavori possibili. L’evento si tiene per strada, a Soho – “la cosa interessante della strada come location, è che, sostanzialmente, è gratuita” dirà Spike Jonze all’epoca. Pochi civici accanto si sta tenendo la sfilata di Marc Jacobs: si spera nell’afflusso casuale di giornalisti, che, di fatto, sono già lì per quella sfilata. Su un telo bianco appeso al muro qualcuno ha scritto “X-Girl is #1”. Le modelle sono reclutate tra le amiche di von Furth, alcune sono nuovi volti che le agenzie concedono gratuitamente, per far fare gavetta a chi è alle prime armi.
https://www.youtube.com/watch?v=qTD8Yabvpx8 (Opens in a new window)I due ideatori dell’evento chiedono loro di camminare con una certa lentezza, per permettere la realizzazione di foto che non siano del tutto mosse, anche se l’entusiasmo degli Anni 90 è disposto a fare poche concessioni. Chloé Sevigny, nella maniera più Chloé Sevigny possibile, indossa un vestito con linea ad A bianco, una mano è stretta a quella di un suo amico che sfila con lei, l’altra aggrappa una bottiglia di champagne. Lo stile è a metà tra il preppy, con cardigan e cappelli da tennis, e skater girl con pantaloni morbidi dalle gambe svasate, con più di un occhiolino all’attitudine tomboy di Jean Seberg in Fino all’ultimo respiro. L’idea è quella di un guardaroba facile, da indossare tutti i giorni, con il quale sentirsi “faboulous”, nelle parole di Kim Gordon, che all’epoca è incinta e afferma di far fatica a trovare vestiti nei quali sentirsi a suo agio.“Sono al settimo mese, sarà una femmina: spero che diventi una riot grrrl”. L’idea di sovrapporsi allo show ufficiale di Marc Jacobs funziona: da alcune foto d’epoca si vedono, tra i partecipanti, nomi da novanta del mondo della moda: c’è, per ovvi motivi, Francis Ford Coppola, con l’aria di un padre divertito dalle marachelle della figlia, ma pure Linda Evangelista che ha appena finito di sfilare da Jacobs, e che osserva lo show con un certo interesse, insieme al fidanzato dell’epoca, Kyle McLachlan. Più distaccato, il misterioso e imperscrutabile Steven Meisel, con i maxi occhiali neri d’ordinanza e la cascata di capelli ebano liscissimi. Lo show attrae anche i poliziotti che però, valutata la situazione, decidono di non intervenire, e godersi la sfilata come dei semplici passanti.
Oggi quel brand è di proprietà di un gruppo giapponese (Opens in a new window), e di quell’avventura chissà se in Giappone qualcuno ha mai saputo qualcosa: nel frattempo Sofia Coppola e Spike Jonze si sono sposati e hanno divorziato; lui ha realizzato uno dei suoi più bei film, Her, per superare quel divorzio, e fino a qualche anno fa lei diceva di non averlo ancora mai visto; Kim Gordon ha continuato ad essere iconica, sua figlia Coco Hayley Moore ha ereditato in parte quel fascino ineffabile e distante, anche se nel frattempo Kim Gordon e Thurston Moore si sono lasciati; Marc Jacobs, che nel 1994 aveva 31 anni, non si è mai arrabbiato con Sofia Coppola per aver approfittato del traffico della sua sfilata, anzi. I due sono diventati amici negli anni, e Coppola è invitata fissa ai suoi show. A noi è rimasto solo il ricordo, di un momento nel quale, per organizzare una sfilata bastava una strada libera, qualche amico che si presta alla cosa senza prendersi troppo sul serio, e poi bè, Sofia Coppola e Spike Jonze come direttori artistici.
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https://www.youtube.com/watch?v=glxeX6hnQ_c (Opens in a new window)Nel 2012, un norvegese si trasferisce a Siracusa, comprando casa lì e decidendo di portarsi dietro pure la madre: non è l’inizio di un film comico del Neo realismo, ma la vera storia di Erlend Øye, che tra l’altro non è neanche l’ultimo dei norvegesi. Prima di trasferirsi in Italia, faceva il musicista e suonava in un gruppo di cui forse avete sentito parlare, i Kings of Convenience. Affascinato però dallo stile di vita e dalle bellezze del tricolore, Erlend prende la risoluzione di cambiare vita, portare armi e bagagli in Sicilia, e persino imparare la lingua locale, con la quale comporre nuovi motivi dalle vibrazioni che guardano ad un folk allegro, pacificato, e un’estetica Wesandersoniana, riscaldata dal mediterraneo. Nasce così La prima estate, uno dei primi brani del cantante in italiano (risale a nove anni fa), che ancora oggi per me segna l’inizio dell’estate al sud, il senso di aspettativa, l’ultima sessione di esami e la laurea prima di andare al mare. Nel frattempo Øye ha militato anche nei The Whitest boy alive, pur rimanendo nei Kings of Convenience, e poi si è deciso lo scorso anno a battezzare anche una formazione tutta italiana (tranne lui) dal nome dalle vibrazioni rètro, La comitiva (il loro primo album è dello scorso anno).
Questa canzone l’ho messa nella playlist realizzata per il Due lune Puntaldia (posto magico in Sardegna) che trovate qui, (Opens in a new window) e si chiama Disco Sole. L’estate non è ancora iniziata, ma portarsi avanti non ha mai fatto male a nessuno.
Noi ci rivediamo la settimana prossima, speriamo con notizie più fresche da raccontare.