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Calcerò #02 - Senza fine

30 marzo 2022: ancora una volta l'Italia è fuori dai Mondiali. Calcerò si dà alla distopia, tra polemiche, dimissioni, elzeviri ampollosi e interrogazioni parlamentari

Ciao a tutti,

l’accoglienza per il primo numero di Calcerò - il futuro del pallone, un mese fa, è stata calorosa e incoraggiante. Grazie a tutti coloro che si sono iscritti prima, a quelli che lo hanno fatto subito dopo e a coloro che hanno contribuito al progetto. Ne siete parte e avete voce in capitolo, basta scrivermi. Chi si fosse perso il primo numero lo può recuperare qui (Opens in a new window).

Concluso il riscaldamento. Siamo sul pezzo: entriamo in campo. Questa è l’edizione della distopia.

Lo stesso concetto a caratteri cubitali sparati sulla foto del portiere in lacrime. 30 marzo 2022, è il day after della clamorosa sconfitta dell’Italia ai playoff per Qatar 2022. Gli azzurri al Mondiale non ci saranno. Di nuovo. E il titolo del quotidiano sportivo più venduto ha fatto il giro delle rassegne stampa della notte. Come cinque anni fa. Stesso concetto, cinque lettere in più. Foto simile, cambia solo il protagonista.

(la grafica è ovviamente un fake ed quella che è, ma ci siamo capiti...)

A questo punto non importa nemmeno per mano di chi sia caduta l’Italia, campione d’Europa otto mesi fa. Una vita fa, a giudicare da ciò che si legge sui social che grondano indignazione e sul web con le solite (e sempre uguali) gallery di meme.

Roberto Mancini ha annunciato le dimissioni già nella conferenza stampa di fine partita. Non ha intenzione di tornare indietro: «Mi prendo tutte le responsabilità, è un mio dovere». Smaltita la delusione, a luglio inizierà una nuova avventura su una panchina inglese, mentre l’interim azzurro sino al 30 giugno sarà affidato ad Alberico Evani. Toccherà a lui l’imbarazzo di guidare una Nazionale fuori dal Mondiale nell’inutile amichevole dell’1 giugno contro l’Argentina, un paradosso chiamato "Finalissima", e nelle gare di Nations League contro Germania e Ungheria, quest’ultima sfida tra due nazionali che condividono i colori della bandiera e l’esclusione del torneo più iconico. Chiellini, che ha annunciato l’addio in lacrime, verrà convinto a giocare l’ultima partita in una delle gare di giugno per non ritirarsi dall’azzurro, lui capitano dei campioni d’Europa, con una macchia tanto pesante.

Chi non ha alcuna intenzione di dimettersi è Gabriele Gravina, presidente federale che rivendica i risultati del proprio mandato, principalmente il trionfo europeo e l’aumento del fatturato della Nazionale da 285 a 374 milioni nel suo quadriennio, lancia strali sulla Lega di Serie A colpevole di non avere assecondato la richiesta di rinvio della giornata precedente le gare dei playoff, quella del 20 marzo, e lavora sottotraccia per riportare Antonio Conte alla guida della Nazionale da luglio.

Tra gli editoriali dei giorni successivi alla debacle, il sempiterno Italo Cucci ripropone - in un elzeviro ampolloso ed egoriferito, uno di quelli già letti in passato in almeno dodici occasioni su quindici testate differenti - «la riduzione del numero degli stranieri, che già un tempo qualcuno mi aveva promesso ma senza mantenere la parola» per un’Italia di «giovani italiani pronti a prendersi il futuro».
Gravina annuncia la stessa battaglia. Non potendo porre un tetto ai giocatori comunitari e senza voler toccare in senso restrittivo l’attuale norma sugli slot per gli extracomunitari sulla quale i club fanno muro, il calcio inizia a fare i conti con un nuovo status, mutuato dal calcio a 5, quello di “formato”, ovvero un giocatore residente in Italia dal compimento del decimo anno di età e dunque formatosi nei settori giovanili del nostro Paese: dalla stagione 2022-23 in A dovranno essere almeno 11 quelli a referto in ogni singola partita per ogni squadra, per poi diventare 12 nel 2023-24 e 14 nel 2024-25, con la riforma a regime.

Intanto a Montecitorio un deputato qualunque dell’area di governo presenta al ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, un’interrogazione parlamentare «per sapere quali considerazioni abbiano spinto la Rai a chiudere già nell’aprile 2021 il contratto per i diritti di trasmissione del Mondiale in Qatar, per chiedere chiarezza sulle reali cifre dell’offerta presentata e su quanto fosse superiore a quella dei concorrenti privati, senza peraltro avere certezze sulla qualificazione della Nazionale italiana al torneo», chiedendo contestualmente le dimissioni del presidente della tv di Stato, Marcello Foa e dell’ad Salini. E, in sovrannumero, pure quelle dell'accerchiato Gravina.

https://www.youtube.com/watch?v=e2t4RaeqW3w (Opens in a new window)

Dov'è Gravina? Eccolo... Quando vinci l'Europeo, poi ti va male il Mondiale, ma lo dico così, a scopo scaramantico...

Sin qui la distopia. Ma cosa accadrebbe se davvero l’Italia, per la seconda volta consecutiva, non centrasse la qualificazione al Mondiale?

Prima di tutto si tratterebbe di un record negativo, considerando che mai è accaduto in precedenza nella lunga storia azzurra, ma in fondo questo è solo un dato: significherebbe più che altro avere perso gli anni verosimilmente più esplosivi di numerosi giocatori. Dando per scontata la qualificazione a United 2026 (e come non farlo, considerando che le partecipanti saranno 48?), con l’Italia fuori da Qatar 2022 Nicolò Barella debutterebbe nella kermesse iridata a 29 anni, Federico Chiesa a 28, Gigio Donnarumma, Nicolò Zaniolo, Alessandro Bastoni e Gianluca Scamacca a 27, Gabriele Mancini a 30 e Alessio Romagnoli a 31, nella speranza che nel frattempo in difesa sia esploso qualcuno in difesa per sostituire Bonucci e Chiellini. Per carità, sarebbero giocatori nel pieno della maturità agonistica, ma già con una parte di futuro alle spalle. Poi, certo, in mezzo ci saranno le esperienze all’Europeo, ma non è nemmeno un paragone da azzardare.

Non andare in Qatar potrebbe poi incidere molto negativamente su almeno una generazione di potenziali appassionati, già peraltro distratti da diversi interessi lontani dal calcio. Provate a immaginare come sarebbe il vostro rapporto con la Nazionale se non aveste visto un Mondiale quando avevate un'età compresa, indicativamente, fra gli otto e i sedici anni, quando le emozioni sono più genuine e irrazionali, quando insomma si crea l’educazione sentimentale nei confronti del calcio. Sarebbe lo stesso? Verosimilmente no, e questo non è un ragionamento romantico ma economico, perché gli sponsor certi aspetti li studiano e, a medio-termine, le scelte di partnership potrebbero variare.

Già, gli sponsor. Dopo la mancata qualificazione della Nazionale di Ventura a Russia 2018 non si può certo dire che abbiano abbandonato l’azzurro, ma di qui a fine anno - che poi è la fine di un ciclo - vi sono in ballo alcuni rinnovi che potrebbero essere trattati al ribasso, stante il fatto che comunque qualche aumento era già scattato a seguito della vittoria dell’Europeo. Il problema c’è ma non appare troppo grave. L’unica certezza sarebbero i mancati introiti garantiti dalla qualificazione: una dozzina di milioni per chi esce nella fase a gironi, una ventina per chi non va oltre gli ottavi e via a salire, ma se si è fuori dal Mondiale non ha senso nemmeno andare troppo in là con la fantasia. Senza contare, poi, che si tratta di cifre estremamente più basse rispetto a quelle che la Champions League garantisce ai club, ma questo è un discorso diverso.

Dovrebbe invece fare i conti con un problema imprevisto la Rai, perché la cifra spesa per assicurarsi la diretta di tutte le partite del Mondiale - si è parlato di 180 milioni, ma la tv di Stato non ha mai confermato - difficilmente verrebbe coperta dagli incassi degli sponsor per i quali alcuni analisti prevedono un calo del 25%, e a quel punto diventerebbe fondamentale sbarazzarsi di almeno la metà delle partite, sublicenziandole magari ad Amazon o a Sky, ma a prezzi di mercato. Peraltro l’impatto televisivo di un Mondiale in autunno - con diverse partite in programma in orari lavorativi, e costringendo la Rai ad uno stravolgimento di palinsesti storicamente dedicati ad altro (gli one man show del sabato sera, i Fazio, i programmi musicali stile Carlo Conti) e che, con la Nazionale fuori dal Mondiale, richiederebbero lo spazio consueto.

Cosa significherebbe l’esclusione poi per la nostra Serie A? Ammesso e non concesso che si arrivi davvero a cercare un meccanismo per ridurre l’utilizzo degli stranieri - l’accenno al futsal fatto prima muove proprio dalle nuove regole della Divisione Calcio a 5 di Luca Bergamini, decise dopo un Mondiale disastroso - c’è da ricordare che l’attuale accordo per i diritti televisivi scadrà nel 2024 e non si può escludere che gli effetti ricadano anche sull’appetibilità televisiva del campionato. Lo stesso valore di diversi calciatori risentirebbe della mancata partecipazione al Mondiale, ma il discorso vale soprattutto per coloro che fuoriclasse non sono e che sono stati ipervalutati nel corso delle campagne trasferimenti anche grazie all’azzurro. Perché non vale per i fuoriclasse? Perché gente come Bale, Giggs, Litmanen o Weah - per non andare troppo indietro - che una rassegna iridata non l’ha mai disputata dimostra che chi è due spanne sopra non ne risente, ma appunto: c’è qualche fuoriclasse reale nell’Italia di oggi?

Difficile ragionare poi su quanto perderebbero ristoranti e bar per i quali, tradizionalmente, i Mondiali sono occasione di incontro e affari. Le stime del 2018 raccontavano di mancati introiti per 5-6 milioni per ogni gara in cui avrebbe eventualmente giocato l’Italia. Ogni paragone però è arduo: da un lato non esistono precedenti di Mondiali fra novembre e dicembre - periodo in cui il denaro esce per il Natale, più che per il calcio - e dall’altro siamo ancora oggi in pandemia. Sebbene le cose siano molto migliorate rispetto a due e un anno fa, c’è da considerare che in autunno i casi storicamente risalgono. Davvero è legittimo pensare che non ci saranno restrizioni di alcun tipo il prossimo autunno?

CAMPO PER DESTINAZIONE

ERRATA CORRIGE

In caso di errori e omissioni, c’è questo spazio. Ebbene, nel numero inviato l’11 febbraio via mail (la versione apparsa successivamente su Steady era stata corretta) sono stato capace di sbagliare lo spelling del cognome di Gezim Qadraku, inserendo una “u” dove non doveva stare. Alla Bart Simpson, l’ho scritto cento volte alla lavagna e prometto: non lo sbaglio più. Tutto questo però mi permette di ricitarvi il suo podcast “Sport Diplomacy” (Opens in a new window), che male non fa.

Triplice fischio, sperando tra un mese di ridere del catastrofismo di questo numero, dei condizionali e dei tanti “se”.
Chiunque volesse suggerire, contestare, contribuire, correggere, segnalare, può scrivermi direttamente qui: calcero.newsletter@lorenzolonghi.com (Opens in a new window)

Ci rileggiamo l’11 aprile. Alla prossima!

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